Non voi avete sceltoEsercizi Spirituali 2015
Rilessione dettata a famiglie
che il rettore Sac.Cesare Ferri ha svolto in San Giovanni Rotondo nei giorni 04-07 giugno
Terza riflessione
NON VOI AVETE SCELTO ME

Per il documento: clicca qui
Premessa
Nella parabola della vite e dei tralci appare evidente una cosa: l’una dipende dall’altra. Il tralcio non può “portare” frutto se non è unito alla vite; anche la vite non può “produrre” frutto senza la presenza dei tralci.
È chiaro che l’immagine della vite e dei tralci, evidenzia la necessità della nostra unione indissolubile con Gesù.

A questo punto, è necessario considerare due cose.
Da una parte la “fedeltà” di Dio, la quale, purtroppo, potrebbe non far presa su di noi; dall’altra parte la “fedeltà storica” di Dio, alla quale non è più possibile mettere in scacco il suo disegno di salvezza.
La fedeltà di Dio
Cosa è avvenuto e come è avvenuto?
L’immagine della vite e della vigna era presente anche nell’Antico Testamento.
In un passaggio del Salmo 79, leggiamo delle espressioni che si riferiscono alla vite che viene divelta dall’Egitto per essere trapiantata nella Terra promessa.
Vi si legge: “Hai divelto una vite dall’Egitto, per trapiantarla ha espulso i popoli. Le hai preparato il terreno, hai affondato le sue radici ed essa ha riempito la terra. La sua ombra copriva le montagne e i sui rami i cedri più alti. Ha esteso i suoi rami sino al mare, arrivarono al fiume i suoi germogli”.
In questo salmo è il popolo di Israele che viene paragonato alla vite. Purtroppo, esso non corrispose alle cure di Dio, quale agricoltore.
Era venuta meno la sua “responsabilità collettiva”. Di conseguenza, il disegno di Dio si era bloccato.
Il Salmo così prosegue, descrivendo le conseguenze: “Hai abbattuto la sua cinta e ogni viandante ne fa vendemmia. La devasta il cinghiale del bosco e se ne pasce l’animale selvatico”.
Questa situazione nel Salmo, poi, diventa preghiera: “Dio degli eserciti, volgiti, guarda dal cielo e visita questa vigna; proteggi il ceppo che la tua destra ha piantato, il germoglio che ti sei coltivato”.
La preghiera è esaudita e si realizzerà con Gesù, come vedremo.
A tal proposito, Gesù racconterà la parabola dei cattivi vignaioli, che ha riferimento con il Salmo citato. Userà queste parole: “Un padrone di casa piantò una vigna, la circondò di una siepe, vi scavò un pressoio, vi costruì una torre e, affidatala a coloni, partì”.
La parabola poi dice che, avvicinandosi il tempo del raccolto, il padrone manda i suoi servi, che sono uccisi. Manda poi il Figlio che viene pure ucciso per avere l’eredità.
Gesù concluderà: “Sarà tolto a voi il regno di Dio e sarà dato ad un popolo che lo farà fruttificare”.
Poi dirà che di lui non si può fare a meno. Ed in proposito richiama le parole della Scrittura: “La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata pietra di base”.
L’episodio così conclude: “I sommi sacerdoti e i farisei, udendo la parabola, capirono che parlava di loro, Cercavano perciò di ucciderlo”.
Noi, attraverso questa parabola, comprendiamo la nuova invenzione dell’amore di Dio.
Se il popolo di Israele, con le proprie infedeltà, aveva impedito di realizzare il progetto di Dio, egli mette in atto un altro tipo di fedeltà, che abbiamo chiamata “storica”.
Affida il compito di essere “vite” non più ad un popolo, ma a suo Figlio Gesù. La sua incarnazione è la manifestazione della fedeltà storica di Dio.
Gesù, a sua volta, chiama tutti noi e con il Battesimo ci innesta in lui, alla maniera del tralcio sulla vite.
Per conseguenza ora, non c’è più in causa la responsabilità collettiva di un popolo, ma quella personale.
Con quali conseguenze per la nostra vita?
Necessità della comunione con Cristo
Diventano chiare, allora, le asserzioni evangeliche: “Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimante un me”.
Non ci si può staccare dalla vite, pena l’autocondanna.
Per indicare questa unione a Gesù, si usa il termine “inabitazione”. L’inabitazione significa la presenza continua di Gesù nella nostra vita, se gliela permettiamo. La cosa è garantita da Gesù stesso, al momento dell’Ascensione: “Io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo”.
Come è presente, oggi, in noi?
Due persone nel rapportarsi possono essere presenti sia fisicamente, che spiritualmente.
Fisicamente: è la presenza di una persona “vicina” e “accanto” ad un’altra. Per Gesù è avvenuta negli anni della sua vita terrena.
Spiritualmente: una persona non è fisicamente presente ad un’altra, però nello stesso tempo può non essere assente, in quanto la pensa, la desidera, l’ama; il pensiero della mente la rende viva; il cuore vibra al solo ricordo. Da ciò si comprende che l’assenza fisica non è per nulla un impedimento all’amore.
Analogamente al fatto che una persona è presente a noi attraverso la linea telefonica.
Tutti abbiamo esperienza che, nella vita di ogni giorno, tra persone che si amano, non è sempre possibile essere vicini fisicamente. Rimane invece la possibilità e la gioia di essere uniti spiritualmente, sempre; cosa che non disturba in nessun modo l’impegno concreto del momento, anzi lo può motivare in modo più stabile.
Guai se non si coltivasse questo tipo di presenza!
L’esigenza di una continua presenza fisica, infatti, rivela una grande immaturità; porta a quello stato d’animo che chiamiamo “gelosia”. La gelosia è la morte dell’amore.
Il modo e la maniera della presenza di Gesù
La sua presenza è consolante: “Chiedete quel che vorrete e vi sarà fatto. Tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo concede”.
Perché a volte non otteniamo? Perché certi problemi non si risolvono?
Le motivazioni del non ottenimento le abbiamo riflettute nella prima meditazione.
Ora aggiungiamo che la presenza di Gesù non garantisce l’assenza di problemi. Ecco perché nella parabola si parla di potatura. Le prove della vita, accolte con questa ottica, ci garantiscono una maggiore fecondità.
A questo punto, pertanto, occorre entrare nel significato anche delle altre parole di Gesù: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi”.
A motivo del dono della libertà il limite, tra la “scelta” da parte nostra e la “chiamata” da parte di Gesù, è molto sottile. Il rischio di trasformare la chiamata in una scelta è sempre presente.
Non si tratta di scegliere, ma di scoprire la chiamata e, conseguentemente, accoglierla. Non ci capiti che venga accolta solo se piace a noi, come viene evidenziato in alcuni episodi evangelici. Ne cito qualcuno.
Perché Pietro rimprovera Gesù quando annuncia la sua fine ignominiosa sulla croce?
Pur avendo risposto alla chiamata iniziale, non si sentiva di aderire a questa ultima scelta di Gesù. Aveva risposto alla chiamata, ma quella della croce non era la sua scelta.
Perché rifiuta di farsi lavare i piedi?
Non poteva acconsentire a quella scelta di Gesù, che era considerata così umiliante da non pretenderla neppure da uno schiavo. Aveva risposto alla chiamata, ma umiliarsi a così tanto non era la sua scelta.
Perché dopo la morte di Gesù gli apostoli tornano al mestiere di prima?
Perché sono rimasti delusi circa le attese cullate con tanta speranza. Avevano risposto alla chiamata, ma quella fine ignominiosa di Gesù non era una loro scelta.
Era andato a monte il posto privilegiato nel suo Regno, malamente inteso, come risulta dalla lite scoppiata sul chi doveva essere il primo!
Applichiamo a noi, alla vita di coppia e di famiglia, all’apostolato.
Quante prove, quante crisi, quante delusioni! Non potrebbero essere provvidenziali? Non le potremmo considerare una “potatura”? Non potrebbero essere motivo di crescita?
Infatti, la chiamata a seguire Gesù non si esaurisce nel “sì” iniziale.
La vocazione è una risposta quotidiana da scoprire continuamente; è quella che chiamiamo “conversione”. Consiste nello scoprire ogni giorno la volontà di Dio e impegnarci a compierla.
Attenzione a non correre il rischio di identificare le attese di Gesù con quelle nostre!
Il fine del rimanere in Gesù
Quali sono le conseguenze di quello che abbiamo chiamato “inabitazione”?
Consiste nel vivere il comandamento nuovo: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più brande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici se fate quello che vi comando”.
Il “dare la vita” è molto più ampio di quanto potremmo pensare; è viverla con amore vero, senza risparmiarsi.
Lo scopo è quello di portare frutto abbondante: “Ogni tralcio che porta frutto lo pota perché porti più frutto”.
A cosa è finalizzato il portare frutto?
Non si limita solo a questa vita temporanea. Si tratta della vita eterna, che già possediamo come germe su questa terra, ma riceveremo in pienezza nell’altra vita.
La vita eterna sta nel possedere la pace e la gioia senza fine, con Dio e alla maniera di Dio: “Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”.
E come altrove dice: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace; non come la dà il mondo io la do a voi”.
La gioia annunciata da Gesù, pertanto, non è quella superficiale e passeggera che offre il mondo. E’ molto profonda, è una serenità interiore tale che, in questo mondo, può convivere anche tra sofferenze e prove.
Convive anche con l’odio messo in atto da quelli del mondo: “Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato