Santa Famiglia vetrata ingresso SantuarioRiflessione dettata dal rettore alle famiglie riunite in ritiro il 09 febbraio 2014 presso il Santuario San Giuseppe in Spicello di San Giorgio di Pesaro
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Il brano ascoltato (1 Cor 12, 12-27) fa seguito ai versetti precedenti in cui Paolo parla del dono dei carismi. Con questo brano ascoltato oggi, lo spiega meglio.
Cosa aveva detto prima?
Aveva detto come ognuno di noi - le considerazioni di Paolo sono sul piano spirituale - ha doni personali, concessi a tutti dall’unico Spirito. Questi doni non sono per l’utilità propria, ma per il vantaggio della comunità di appartenenza.
Paolo, poi, spiega come l’azione sia analoga a quella che avviene nel nostro corpo. Esso ha diverse membra, tutte mosse da unica volontà, per il bene di tutto il corpo.
Ogni membro è chiamato ad essere se stesso, non può sostituirsi all’altro. Però ognuno ha bisogno dell’altro, come ben descritto da Paolo: “Non può l’occhio dire alla mano: non ho bisogno di te; oppure la testa ai piedi: non ho bisogno di voi”.
Questo vale sui diversi livelli di ordine spirituale e soprannaturale. Il primo di essi - direttamente inteso da Paolo - è la Chiesa, detta anche Corpo di Cristo. In essa Gesù è il capo e noi siamo le sue membra dell’unico corpo, il tutto mosso dallo Spirito.
Analogamente vale per ogni persona, vale per ogni famiglia naturale, vale per la Famiglia Paolina, vale per l’Istituto Santa Famiglia, vale per qualsiasi comunità, associazione, gruppo e realtà ecclesiale.
La Famiglia Paolina, ad esempio, è composta da varie Istituzioni, ognuna con carismi e compiti propri, voluta e mossa dallo Spirito attraverso una persona: San Paolo.
A tal proposito è importante rileggere quanto dice l’Alberione, il quale giustamente è da noi considerato fondatore, ma che ci tiene a dire questo: “La Famiglia Paolina è stata voluta da San Paolo; egli ne è il padre, ne è la luce, ne è il protettore, ne è il maestro, tutto”.
Papa Francesco, parlando della Chiesa e riferendosi a San Paolo, tra l’altro dice: “La Chiesa non è un’associazione assistenziale, culturale o politica, ma è un corpo vivente, che cammina e agisce nella storia. E questo corpo ha un capo, Gesù, che lo guida, lo nutre e lo sorregge”.
Tutto questo, alla lettera, si può applicare alla Famiglia Paolina, sostituendo Gesù con San Paolo.
Dunque, ogni istituzione della Famiglia Paolina, non è una associazione che opera nel sociale, ma è un corpo comunionale, i cui membri certamente operano nel mondo, ma a modo di fermento. Perché questo avvenga con efficacia, è necessario che ognuno sia se stesso: non è imitare alla lettera l’altro o sostituirsi all’altro.
La chiesa, nei primissimi tempi, non era l’edificio, ma era una famiglia in cui si ritrovavano insieme altre famiglie per celebrare i divini misteri. Quindi era bel chiaro che la Chiesa era una famiglia composta di famiglie, convocata per celebrare i divini misteri.
In seguito crescendo il numero dei partecipanti si è pensato di costruire un luogo adatto e capace di contenere molte famiglie nell’unica Famiglia di Dio convocata. Questo luogo ha mantenuto il termine di chiesa, cioè di famiglie convocate a lode di Dio. Non è qualificata dai mattoni, ma dalle persone che vi si radunano.
In questa santa convocazione tutti sono chiamati ad essere attivi, ognuno con un proprio compito a vantaggio di tutti.
Non è né il prete né nessun altro, ma è il Signore che chiama alla convocazione. La risposta di chi ne è consapevole è sempre “eccomi”.
Non è, pertanto, semplicemente un precetto da osservare, quanto una risposta d’amore. Se uno manca abbassa il livello della grazia e della gioia. Se uno è passivo e muto abbassa il livello gioioso di tutti.
In questa convocazione ognuno ha un compito specifico, a cominciare dal presbitero presidente, dai diaconi e ministri dell’altare, dai lettori, dagli animatori del canto, sino all’assemblea, nella totalità.
Ognuno non può e non deve far tutto, ma il proprio servizio è in armonia e a vantaggio di tutti. Questo vale anche per l’ISF.
Qui si aprono orizzonti e applicazioni quanto mai pratiche.
Si tratta di essere consapevoli e vivere il senso di appartenenza, in cui ognuno ha un ruolo per l’utilità comune, sia a livello personale che di gruppi. Per cui nessuno può essere passivo, o peggio criticone, delegando altri: con tale atteggiamento si abbassa il livello di tutti è si perde la gioia della vocazione, della convocazione e dell’appartenenza, pronunciando quella famosa frase: “L’Istituto non mi dà nulla”. Per ricevere è necessario dare.
Se si vivesse veramente il senso di appartenenza, non succederebbero tanti comportamenti in opposizione tra loro, tante divisioni e discordie!
Lo abbiamo ascoltato anche due domeniche fa: “Mi riferisco al fatto – è sempre San Paolo in prima Corinzi – che ciascuno di voi dice ‘Io sono di Paolo’, ‘Io sono di Apollo’, ‘Io invece di Cefa’,’E io sono di Cristo’. È forse diviso il Cristo?”.
Se si vivesse questo non ci sarebbero rimpianti per il passato, soprattutto se riferite a persone! Come se l’opera fosse di qualcuno e non del Signore!
Cosa succederebbe se un membro del corpo fosse paralizzato? C’è ancora e sembra unito agli altri, ma con quale funzione? Quanti pesi morti nei vari gruppi! Sono sulla carta e guai se li rimuovi! In realtà sono paralizzati e morti.
Quando succede questo è segno che qualcosa sta sfaldandosi. Se si sfalda è perché non si è scelto primieramente Gesù Cristo: solo lui è la roccia che non crolla.
Altrimenti si è solo un agglomerato di persone che cercano pure di andare d’accordo, ma la loro unità è fondata sulla sabbia.
Tutti ne siamo testimoni di come questo sia vero!
Abbiamo detto sopra che non siamo un’associazione, ma una realtà voluta da Dio stesso; ne segue che il senso di appartenenza acquista una modalità diversa.
E’ vero: anche nelle associazioni c’è un senso di appartenenza; però c’è una modalità diversa. Dove sta la differenza tra le due realtà?
Nelle associazioni, soprattutto se fondate su Statuti, c’è un senso di appartenenza. Esso è tenuto vivo da questi fattori:
- Il membro personalmente sceglie l’aggregazione o gruppo che più si addice ai suoi talenti o più risponde ai propri gusti, ma la sua appartenenza non è vincolata in maniera stretta, per cui si sente libero di uscirne quando e come vuole.
- Il membro è valutato ed è accolto dalla comunità in base alle sue capacità di rispondere agli scopi dell’organizzazione, altrimenti non sarebbe accettato.
- Il membro si sente automaticamente escluso quando per malattia, anzianità o altro non può rispondere agli scopi dell’organizzazione.
Per queste motivazioni, le Associazioni non possono avere i connotati della stabilità e della continuità, perché durano tanto quanto c’è l’efficienza dei suoi membri ed è presente il leader.
L’appartenenza, invece, ad una realtà voluta da Dio, - ora prendiamo in considerazione l’ISF - ha le stesse modalità ma anche con cambiamenti radicali, soprattutto per il primo e terzo aspetto.
- Non si entra nell’ISF per una decisione personale, ma per aver risposto ad una vocazione, a cui è necessario aderire liberamente: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi”. Di qui la risposta, come Maria: “Avvenga di me secondo la tua parola”.
Il chiamato accoglie la volontà di Dio. La comunità di appartenenza accoglie con gioia il chiamato.
A questo punto, però, è necessario chiarire una cosa, non chiara per tutti.
Non è detto che il chiamato sia migliore degli altri. Il Signore non chiama i qualificati, ma chiamando qualifica.
Forse perché il prete non è quello che deve essere, con ciò non vale la Messa e la sua assoluzione. Forse perché il medico ha avuto la tua stessa malattia, non sono valide le sue prescrizioni? Forse perché un padre di famiglia ha mandato in rovina la famiglia stessa, non rimane sempre padre per i suoi figli?
- E’ chiaro che, per essere accolti sull’ottica del piano umano, sarebbero richiesti ed è bene avere certi requisiti, elencati dallo Statuto, ma non è strettamente necessario. Sappiamo come il Signore, per compiere le sue meraviglie, si serve anche delle debolezze e incapacità: “Quando sono debole, è allora che sono forte”.
- Ogni membro continua ad appartenere a pieno titolo anche quando è malato, anziano o perdesse il senno: se non fa altro svolge certamente a tempo pieno l’apostolato della preghiera e della sofferenza.
- Non vi apparterrebbe invece se paralizzato. In questo caso è necessaria una operazione: se il membro fosse di voti perpetui è necessario chiedere la dispensa.
Tutto questo perché non solo apparteniamo all’Istituto, ma perché siamo Istituto Santa Famiglia.
Analogamente e a maggior titolo, quanto detto è trasferibile alla Chiesa. Con il Battesimo, sappiamo, si entra a far parte della Chiesa.
Dovremmo più propriamente dire: con il Battesimo diventiamo Chiesa, diventiamo Corpo di Cristo. Non siamo solo membra di Cristo Capo, ma, se rimaniamo uniti a lui, siamo Gesù Cristo.
Non siamo solo membri dell’ISF, ma siamo la Santa Famiglia. L’affermazione è stata preannunziata dal canonico Chiesa, il direttore spirituale dell’Alberione: lo svilupperemo più specificatamente nel pomeriggio.
Il corpo, dunque, ha molte membra, ma nessuna è uguale all’altra. Come si suole dire: una pluralità diversificata. Ognuno ha un suo compito per cui dovremmo essere grati ad ognuno, perché diventa bene di tutti.
Ma è proprio qui che il maligno lavora! Vuol rendere inutili e, anzi, dannosi per la comunità i doni che ciascuno ha. Questo avviene su due fronti.
- Il primo: agisce su colui che li possiede. Lo tenta perché i doni siano ritenuti meriti e bravure personali, e quindi lo provoca a utilizzarli con senso di orgoglio e di superiorità, creando con ciò un istintivo rifiuto da parte della comunità.
- Il secondo: agisce su colui che non coltiva i propri ma guarda quelli degli altri. E’ provocato a divenirne geloso e invidioso. Questo crea le divisioni e le fazioni nelle comunità. Si tratta di accettare la mutua dipendenza.
Non è detto che, se uno parla di meno ed anche opera di meno, conseguentemente vale di meno. Lo afferma Paolo: “Le membra del corpo che sembrano le più deboli sono le più necessarie”.
Non è detto che, se giudichiamo uno meno meritevole, conseguentemente le dobbiamo emarginare. Lo afferma Paolo: “Le parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggiore rispetto”.
Non è detto che, se uno fosse colpevole di colpe anche gravi, è da condannarsi. Si condanna il male, si ama il peccatore. Lo afferma Paolo: “Le parti del corpo che riteniamo indecorose sono trattate con maggiore decenza”.
Per cui, nessuno deve ritenersi indegno se è stato chiamato dal Signore, però è chiamato a vivere in continua conversione, di modo che si realizzi quanto sopra detto: “Il Signore non chiama i qualificati, ma chiamando qualifica”.
Nessuno vale più o meno dell’altro, purché ognuno eseguisca il compito che le è affidato.