Visita a Elisabetta Riflessione dettata dal rettore alle famiglie riunite in ritiro il 10 maggio 2015 presso il Santuario San Giuseppe in Spicello di San Giorgio di Pesaro.
LA COMUNICAZIONE
Parole di autentica relazione
(Testo di riferimento: Lc 1, 39-47)
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Nel messaggio per la giornata prossima delle Comunicazioni sociali, il Papa si esprime con queste parole: “Ho ritenuto opportuno che il tema della prossima Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali avesse come punto di riferimento la famiglia. La famiglia è, del resto, il primo luogo dove impariamo a comunicare. Tornare a questo momento originario ci può aiutare sia a rendere la comunicazione più autentica e umana, sia a guardare la famiglia da un nuovo punto di vista”.

Per raggiungere lo scopo, il Papa invita a riflettere sull’episodio della visita di Maria ad Elisabetta, che è modello di vera comunicazione, in quanto c’è un dare ma anche un ricevere.
Infatti, cosa serve dire, parlare e comunicare se l’interlocutore non risponde?
Ebbene, il racconto evangelico citato usa espressioni e verbi che ci indicano la vera comunicazione in cui c’è lo scambio personale di pensieri, parole e gesti.
Vediamone la ricchezza, riflettendo sulle parole che sono espresse nell’episodio.
“In quei giorni Maria si alzò”.
Per Luca, “alzarsi” è il verbo che rimanda alla “risurrezione”. Come Gesù, morto e sepolto sotto terra, ad un certo momento si alza per salire di nuovo sulla terra, così fa Maria mettendosi in viaggio.
Da Nazaret si alza per salire verso una città di Giuda che, secondo la tradizione sarebbe Ain Karim, a circa 150 chilometri di distanza da Nazaret e sette da Gerusalemme.
Parte da sola?
Molto probabilmente Giuseppe ha organizzato il viaggio. Si sarà preoccupato di trovare una carovana nella quale Maria potesse viaggiare in sicurezza, e forse egli stesso l’avrà accompagnata almeno sino a Gerusalemme; alcuni commentatori pensano che l’abbia accompagnata anche sino a Ain Karin, per poi ritornare subito a Nazaret, dove aveva il suo lavoro.
Questo “alzarsi” e partire di Maria, è l’atteggiamento di chi non può non rispondere ad una specifica chiamata. Ha lo stesso significato dell’analoga espressione che Luca userà per Gesù che sale verso Gerusalemme, qualche tempo prima della sua passione e morte: “Gesù si avviò “deciso” (“facendo la faccia dura”) verso Gerusalemme”.
Infatti, egli non poteva ritirarsi dalla missione affidatagli dal Padre, anche se gli costava non poco.
Noi, siamo preparati e pronti ad affrontare sacrifici e ostilità per compiere la nostra missione di cristiani, innanzitutto, e per il “di più” della consacrazione?
Nell’episodio su cui stiamo riflettendo, qual è la chiamata e la missione di Maria?
La comprendiamo mettendo insieme le successive espressione, su cui continuiamo a riflettere.
“Andò in fretta”. Non è un fatto che si manifesta esteriormente, non è che si sia messa a correre. Non è la fretta che, come a volte succede a noi, ci mette in agitazione.
Ma è quella di aver compreso l’urgenza della chiamata. La grazia dello Spirito Santo, infatti, non comporta lentezze.
Pertanto, si muove con sollecitudine, senza perdere tempo, con grande gioia del cuore, con la calma e la serenità, senza correre e agitarsi inutilmente, come spesso succede a noi, soprattutto nell’età giovanile.
Comunque, anche se la sua presenza fisica si sarebbe realizzata dopo circa sette/otto giorni, di fatto il suo pensiero, il suo cuore, la sua preghiera, erano continuamente presenti dentro la casa di Elisabetta.
Vi si recava non solo per dare aiuto alla partoriente, come è ovvio, ma anche e soprattutto, per comunicare quello che era avvenuto in lei.
Infatti, le cose grandi compiute da Dio nella nostra vita non si possono tacere!
Comunque, da qualsiasi angolatura si guardi, è sempre un atto di squisita carità!
“Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta”. Non si tratta del consueto saluto che avviene nell’incontro tra persone. Qui c’è un “di più”. Trasmettendo la propria esperienza di Dio, c’è una vicendevole comunicazione di grazia, cosicché ognuna diventa dono per l’altra.
Tale comunicazione di grazia non avviene solo fra Maria ed Elisabetta, ma soprattutto tra Gesù e Giovanni. Risulta chiaro che Giovanni è consacrato sin dal grembo materno.
Notiamo, inoltre, il dialogo “comunicativo” tra Elisabetta e Maria. La prima esprime il riconoscimento per le grandi meraviglie compiute da Dio ed esclama: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo. A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?”. Come a dire: non potevo avere un dono più grande.
L’altra risponde con il cantico: “L’anima mia magnifica il Signore”, proseguendo il quale descrive ancora le grandi opere compiute dal Signore sia su di sé che lungo i secoli precedenti.
Applichiamo a noi su due fronti.
Primo. Nelle due persone vi è grande differenza di età: Maria di 15 anni circa, Elisabetta di 80 circa. Ci insegna a metterci nell’atteggiamento di non escludere nessuno, evitando anche lo scontro tra le generazioni di giovani e dei meno giovani.
Solo mettendo insieme le caratteristiche dell’uno, meno esperto, e dell’altro, di maggiore esperienza, ci si arricchisce vicendevolmente e si progredisce in armonia e santità. I giovani hanno lo slancio, ma nel contempo hanno bisogno di equilibrarlo con l’esperienza degli anziani!
Secondo. Nel mettere insieme le qualità che ognuno possiede, evitando certi atteggiamenti, certe parole e certi comportamenti.
Il vero dialogo, la vera “comunicazione”, non può partire semplicemente e solo compiacendosi delle proprie qualità e capacità, ispirate prevalentemente da orgoglio e da ripiegamento su se stessi; ma neppure compiacersi per quelle degli altri, allo scopo di volersi aggraziare la persona.
Ben vengano gli elogi e siano accolti con gratitudine, ma non possiamo assolutamente né cercarli, né tanto meno pretenderli.
Facciamo bene ad elogiare gli altri, ma con discrezione. Siamo chiamati a farlo come atto di carità: lo si fa per amicizia e stima, ed anche per incoraggiare e far superare eventuali insicurezze.
Però, attenzione al rischio che il comportamento potrebbe suscitare verso altri che non hanno raggiunto un certo livello di formazione. Intendo dire il rischio di un certo tipo di gelosia, cosa che, creando dissapori e antipatie, divide persone e comunità,.
Su quale consapevolezza dobbiamo fondare e quale la maturità spirituale da raggiungere?
Non dobbiamo mai dimenticare che, quanto abbiamo, sono doni gratuiti del Signore, distribuiti non per nostro merito, ma secondo il criterio che il Signore ritiene opportuno. L’importante è che da noi accolti con umiltà e riconoscenza, ritenendo che non sono per la nostra gloria, ma da spendere per l’utilità di tutti. Solo con questo spirito riusciamo a riconoscere e stimare anche i doni ricevuti dagli altri sono, perché sono una ricchezza anche per noi, come pure viceversa.
L’importante, allora, è sempre lodare Dio per ogni dono elargito, sia a se stessi che agli altri.
Solo così non ci dominerà l’invidia e la gelosia, saremo un cuor solo e un’anima sola, vivremo liberi e gioiosi, sia interiormente, sia nelle comunità, sia nei gruppi.
Non avvenga che siamo bravi a lodare il Signore durante alcuni tipi di preghiera, ma poi non siamo capaci a vivere la stessa lode nell’esperienza quotidiana.
Tornando al dialogo comunicativo fra le due donne, Maria ed Elisabetta, così scrive papa Francesco: “Questo episodio ci mostra la comunicazione come un dialogo che si intreccia con il linguaggio del corpo. La prima risposta al saluto di Maria la dà infatti il bambino, sussultando gioiosamente nel grembo di Elisabetta. Esultare per la gioia dell’incontro è in un certo senso l’archetipo e il simbolo di ogni altra comunicazione, che impariamo ancor prima di venire al mondo. Il grembo che ci ospita e la prima scuola di comunicazione…. Ed è una esperienza che ci accomuna tutti, perché ciascuno di noi è nato da una madre”.
Se tutte le mamme, compresi i padri, comprendessero quanto sia importante che il concepimento avvenga nella grazia del Signore; se le madri, che portano in grembo il frutto dell’amore, vivessero il vero rapporto con il Signore, evitando ogni peccato!
E’ proprio vero che l’educazione del figlio, da parte dei genitori, inizia ancor prima del suo concepimento, da come essi stessi vivono il rapporto con il Signore ed il rapporto di coppia!
Poi il papa prosegue ricalcando il concetto che: “La preghiera è la forma religiosa della comunicazione”.
In altre parole, pregando noi ci mettiamo in comunicazione con Dio, con la conseguenza vantaggiosa non solo per se stessi, ma anche per altri.
Maria ed Elisabetta, mentre si salutano, pregano; mentre pronunciano le parole citate, che descrivono le meraviglie di Dio, pregano; persino il balzo di gioia di Giovanni nel grembo della madre è preghiera.
Questa per dirci che tutta la vita deve essere preghiera, cioè un legame con Dio con cui comunichiamo incessantemente, secondo l’espressione evangelica che ci invita a “pregare sempre, senza stancarsi mai”.
Da qui comprendiamo che la preghiera non consiste nel compiere o recitare le così dette pratiche di pietà, distribuite nella giornata, tanto da dire che ha molto pregato chi ha recitato molte formule.
Le formule sono delle “preghiere”, ma non sono la “preghiera”. Le formule hanno il compito di mantenere vivo il rapporto con Dio; diventano necessarie quando il rapporto non c’è più o rischia di perdersi.
Analogamente a come, essendo già buio, o iniziando a farsi buio, clicchiamo l’interruttore.
Nella preghiera, innanzitutto, Dio parla e noi ascoltiamo; poi noi parliamo a Dio ed egli ci ascolta.
Notiamo bene che l’“ascolta” non è nel senso che ci dà automaticamente quello che gli chiediamo, ma che darà sempre la risposta necessaria e utile per noi, cosa che non avverrebbe se non gli parliamo e non gli chiediamo.
L’episodio della Visitazione, inoltre, ci apre anche alla verifica sulla comunicazione di coppia.
Trovate un metodo di tale verifica, esaminandovi sulle “dieci regole di una retta comunicazione” che trovate nella dispensa che avete in mano, a pagina quattro.