Amore non gode ingiustizia
Riflessione tenuta dal rettore alle famiglie riunite in ritiro il giorno 8 ottobre 2017 presso il Santuario San Giuseppe in Spicello di Terre Roveresche.
L'amore non gode dell'ingiustizia ma si compiace della verità 
(Testo di riferimento: Gv 16, 20-24)
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Introduzione

Stiamo continuando a riflettere sul brano del così detto “Inno alla carità” di San Paolo Apostolo nella prima ai Corinzi.
Qualcuno potrebbe preferire tradurre anche con “Inno all’amore”, come del resto è stato scelto per le nostre schede.
In realtà, sarebbe più esatto usare il termine “carità”, anche se pure questo potrebbe indurci ad un impoverimento del suo originale e vero significato.
Cosa è la carità?

Quando diciamo “carità”, non intendiamo riferirci e limitarlo semplicemente all’amore umano, che assume tanti significati positivi e, purtroppo, anche negativi; e neppure ad un semplice servizio o ad un gesto di generosità reso agli altri, come da diverse persone è concepito, ma significa “amare alla maniera di Dio”.
A tal proposito, non dobbiamo dimenticare che questo amore di Dio non è rimasto circoscritto nel suo ambito trinitario, ma è stato da lui donato “gratuitamente” a tutti noi. Noi esprimiamo questa sua gratuità con il termine “grazia”. Sia la grazia di fondo, che chiamiamo “Grazia santificante”, sia gli aiuti che continuamente ci dona e che definiamo “Grazia attuale”.
Infatti, quando diciamo di essere in grazia di Dio, ciò significa che non abbiamo rifiutato il suo amore e che intendiamo corrispondergli come si merita, nonostante tutte le difficoltà e le tentazioni, ma sempre possibile in forza del suo aiuto.
Ed è proprio in forza di questo aiuto e dono di Dio, che anche noi possiamo amare come lui ama.
A conclusione delle considerazioni fatte, possiamo affermare che la carità è anche amore, ma non ogni nostro amore è carità.
Ne segue, ad ulteriore conclusione, che mai arriveremo ad amare gli altri a cominciare dal coniuge, proprio come Dio ama ciascuno di noi, nonostante tutto il nostro impegno.

Riflessione

Volendo applicare le riflessioni sinora fatte al brano di oggi, dovremmo dire che Dio nel suo amore “non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità”, ed è quello che dobbiamo imparare da lui.
Cosa è l’ingiustizia, cosa è la verità? C’è opposizione tra queste due realtà?
Potremmo dire di sì.
Infatti, la ingiustizia consiste nella negazione della verità. Siamo ingiusti quando, ad esempio, non teniamo conto della verità dei fatti, quando giudichiamo solo dal nostro punto di vista, quando non riconosciamo le reali esigenze dell’altro, quando vediamo solo in negativo le azioni dell’altro, quando solo sparliamo dell’altro e mai parliamo di come fare per aiutarlo.
La verità è la forma più alta della giustizia. Dobbiamo fare verità anche nella nostra vita personale. Significa, fondamentalmente ed innanzitutto, rendere giustizia a noi stessi, cioè tener conto chi siamo, senza troppo elevarci e neppure senza motivate autocondanne.
Quindi, non dire mai che non valiamo niente – sarebbe un’offesa a Dio - ma neppure credere di essere chissà che cosa. Siamo quel che siamo, e siamo in tutto nelle mani di Dio. Il Signore per primo ci accetta così come siamo e si serve di noi, se ci lasciamo fare da lui, per compiere meraviglie sia per noi stessi, sia a vantaggio di altri.
In altre parole, dobbiamo avere una giusta opinione di noi stessi, dobbiamo riconoscerci per come siamo e per quel che siamo, diventando nella vita utili al disegno di Dio, cosa che lo sarà più o meno in proporzione alla nostra fiducia in Dio stesso.
Il brano evangelico che abbiamo ascoltato vuol condurci, in qualche modo, proprio a questo.
Gesù prima della passione istruisce i suoi discepoli dicendo: “Voi piangerete e gemerete, mentre il mondo si rallegrerà”.
Di che cosa si rallegrerà?
Del fallimento di Cristo, come se in maniera sottintesa dicessero: “È morto in croce, è un fallito! Abbiamo vinto! Perciò siamo contenti!”.
In realtà, anche se tali persone apparentemente sembrano felici, di fatto non lo sono. Non si può essere felici, infatti, quando si vuole il male degli altri.
Dice il Papa (nei brani di ‘Amoris laetitia’ che avete in mano) che la vera carità: “Si rallegra per il bene dell’altro, quando viene riconosciuta la sua dignità, quando si apprezzano le sue qualità e le sue buone opere.
Questo è impossibile per chi deve sempre paragonarsi e competere, anche con il proprio coniuge, fino al punto di rallegrarsi segretamente per i suoi fallimenti”.
La tentazione, a cui spesso siamo soggetti, è quella di poter essere come l’altro e meglio dell’altro, di qualsiasi altro. Ma questo a quale scopo?
Se entra nell’atteggiamento della “santa invidia” (come dicevamo in una precedente riflessione), niente da dire. Ma se ci si mette in competizione per poterlo superare e così poterci affermare pensando, di conseguenza, di riuscire ad essere felici, dovremmo accorgerci che è una illusione, che in realtà è tutto il contrario, con la conseguenza da diventare gli eterni scontenti e infelici.
Proprio per questo il Papa subito aggiunge: “Quando una persona che ama può fare del bene a un altro, o quando vede che all’altro le cose vanno bene, lo vive con gioia ed in quel modo dà gloria a Dio, perché ‘Dio ama chi dona con gioia’, nostro Signore apprezza in modo speciale chi si rallegra della felicità dell’altro.
Se non alimentiamo la nostra capacità di godere del bene dell’altro e ci concentriamo soprattutto sulle nostre necessità, ci condanniamo a vivere con poca gioia, dal momento che, come ha detto Gesù ‘si è più beati nel dare che nel ricevere’.
Ammesso pure che due persone entrano in rapporto conflittuale, ma a loro volta sono entrambi animati dalla carità e da uno spirito di vera giustizia, risolveranno in radice il conflitto, addirittura prima che esso sorga e si manifesti, perché l'uno afferma la verità e l'altro la accetta.
Il termine “Carità”, proviene dal greco e vuol dire “Comunione”, cioè lo star bene insieme.
A tal proposito, un autore afferma: “La carità non è buonismo. La carità non può prescindere dalla verità che fonda la giustizia. Non c'è carità se è lesa la giustizia e negata la verità.
Carità non è far finta che vada tutto bene, ma si hanno serpenti nel cuore. Carità non è tacere la verità per una pace che risulterà solo esser finta.
Carità non è perdonare a tutti i costi e amare chi ha commesso del male, lasciando che il male resti dov'è.
La vera Carità è rischiare di essere perseguitati a causa della verità perché emerga la giustizia.
Carità è cercare di aprire gli occhi del fratello che sbaglia nonostante egli non voglia vedere la verità e che per ciò stesso ti perseguiterà.
La vera Carità è quindi la realizzazione piena della giustizia”.
Infatti, se non c'è giustizia, se cioè non siamo sinceramente alla ricerca della verità, non possiamo stare bene insieme, non possiamo costruire una vera comunione, né fra gli uomini, né fra Dio e l'umanità.
Pertanto, solo dove c'è giustizia ci sono i presupposti per costruire la carità come comunione e perfetta unità.
La carità è anche capacità di perdono ed è l'essenza della vera giustizia in quanto unico strumento umano per una composizione reale ed efficace dei conflitti vicendevolmente fra gli individui e nel contempo fra gli individui e la collettività.

L’immagine che porta Gesù
Per la conseguenza che proviene dalla vera carità che si compiace della verità e, per far comprendere la gioia profonda che ne proviene anche in mezzo alle sofferenze, Gesù porta una immagine tratta dalla vita di famiglia, dicendo: “La donna, quando partorisce, ha tristezza, perché è venuta la sua ora. Ma quando ha partorito il bambino non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è nato un uomo al mondo”. 
Noi dovremmo essere capaci di vivere sempre alla luce di tale tipo di gioia.
“Questo gioia che è la nota prevalente del cristiano – leggiamo nella riflessione di Laura Paladino - non impedisce di vedere le storture del mondo, ma apre su di esse una prospettiva soprannaturale, che consente di affrontare con occhi nuovi le difficoltà della storia e le imperfezione dell’esistenza propria e di quanti ci sono accanto, offrendo la capacità di scorgervi germi di bene e possibilità di bellezza: è questo il senso del “compiacersi della verità” che Paolo indica come una caratteristica dell’amore autentico.
Esso non mente mai: soccorre chi è nella prova, non finge di non vedere il male, sa guardare e valorizzare gli aspetti positivi di ognuno, non gioisce dei fallimenti altrui ed è disposto a richiamare il fratello per ricondurlo sulla buona via.
Questa caratteristica dell’amore è necessaria alla vita di famiglia: essa consente di fare della casa un contesto di crescita per tutti, uno spazio in cui in cui ognuno è accolto così come è, senza mettere una maschera, o temere di non essere amato”.