sangiuseppe1di FRANCESCO SCANZIANI

Sulla scia delle parole di Papa Francesco dovremmo chiederci «Come Giuseppe è stato padre? Quali tratti della paternità emergono in lui?». Evidentemente, la sua fu una vicenda singolare. Ma ciò a maggior ragione, mette in evidenza alcune coordinate che potremmo raccogliere attorno a tre assi: la paternità di Giuseppe cosa dice di lui (ossia del suo essere uomo e della sua persona)?
Cosa rivela del suo rapporto con Maria e il Bambino (ossia dei legami familiari)? Cosa dice di Dio (ossia, come la paternità di Giuseppe mette in gioco il suo rapporto con Dio)? Giuseppe è presentato, nel Nuovo Testamento, con pochi ma essenziali tratti. Non dice neanche una parola, poche righe gli sono riservate e solo nei vangeli dell’infanzia. Di lui si dice solo che era «uomo giusto»: una virtù tanto umana quanto divina, apprezzata e condivisibile da tanti. A Giuseppe è chiesto solo questo per essere nientemeno che il padre di Gesù: un tratto che sintetizza una solida maturità e che aprirebbe a un confronto interessante riguardo alle qualità umane. Tuttavia, per la mens biblica, questa virtù è ancora più ampia, poiché include il rapporto con Dio: l’uomo giusto è la cifra ideale del pio israelita. Dunque, incarna in una maniera sintetica la figura religiosa del tempo, in cui le qualità umane erano integrate in una sintesi spirituale. Allo stesso tempo, però, meraviglia che, proprio lui, pur conoscendo la legge, decide di «congedare Maria in segreto» (cfr. Matteo, 1, 19). Cosa impossibile. Anzi, “fuori legge”. Che significa? La sua giustizia non si limita all’esecuzione letterale dei precetti. Giuseppe va ben al di là dell’ideale del tempo, persino di quello religioso. In questa sua presentazione si anticipano lineamenti evangelici, che propongono la singolarità del Dio di Gesù Cristo. Non si accontenta, in altri termini, della sola giustizia umana, ma osa un’elasticità che fa riferimento ad altri parametri: non la legge, ma l’amore; non i soli precetti, ma la norma del bene. La sua giustizia è l’applicazione della miseric o rd i a . Se una lettura della figura del padre lo identifica come colui che rappresenta la norma entro la famiglia, Giuseppe sembra non omologarsi del tutto a questa visuale. O meglio la dilata. Anche rispetto agli ideali del suo popolo, non dimostra la rigidità che i vangeli denunciano verso i farisei: rigidi osservanti delle norme e dei precetti, ma con il rischio di perdere la misericordia. Non a caso Papa Francesco, commentando la figura di Giuseppe, aveva insistito sulla tenerezza, quasi “sdoganando” un tratto raramente valorizzato nella tradizione cristiana e ancor meno, forse, utilizzato per le qualità maschili. Il prendersi cura, il custodire chiede bontà, chiede di essere vissuto con tenerezza. Nei vangeli, san Giuseppe appare come un uomo forte, coraggioso, lavoratore, ma nel suo animo emerge una grande tenerezza, che non è la virtù del debole; anzi, al contrario, denota fortezza d’animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all’altro, capacità di amore. Proprio il suo modo di essere giusto apre a un altro tratto qualificante lo stile di Giuseppe: è un sognatore, ma anche un uomo concreto. Nella sua vita familiare si trova ad affrontare situazioni inattese e, spesso, problematiche: dalla notizia della maternità inedita di Maria, all’esodo drammatico in Egitto dopo le notizie di Erode fino al suo rientro prudente. Giuseppe sa guidare la sua famiglia, dimostrandosi uomo concreto, altra virtù apprezzata dei padri. Non si muove secondo un copione prestabilito, ma sa essere attento alle vicende e sceglie con o culatezza. Di nuovo, un atteggiamento libero dall’illusione di un piano rigido — foss’anche divino — o da un modello ideale di padre da applicare. Qui entra quel particolare curioso ma costante che presiede alle sue decisioni: il sogno. Finzione letteraria? Forma simbolica? Ci fa incontrare un uomo che ha un progetto di vita — le nozze con Maria, la famiglia con lei — e che si scontra, come accade a tanti, con eventi inattesi. Che fare? Giuseppe non si limita ad adattarsi passivamente alle vicende, parte da esse e poi si confronta con Dio: così arriva a decidere. Per la Scrittura il sogno non è fuga dalla realtà, ma immagine per dire il dialogo — misterioso eppur reale — con Dio. Di qui la duttilità di Giuseppe, uomo concreto, attento al reale e mai succube delle situazioni, per quanto imprevedibili e sconvolgenti. In che modo? Nei vangeli dell’infanzia, di fronte agli eventi che lo scombussolavano, si muove con un ritmo costante: parte dalla situazione che gli capita, ascolta la voce di Dio nel sogno e, dopo, mette in atto ciò che ha maturato. Le sue scelte non sono solitarie, ma affiorano da un dialogo intimo con Dio. Così matura una visione nuova della vita che va ben oltre ciò che sapeva o s’attendeva.

© Osservatore Romano - 16 luglio 2014