Adultera
Testi liturgici: Is 43,16-21; Fil 3,8-14; Gv 8,1-11

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In questa lettura evangelica abbiamo ascoltato una delle pagine più belle, non solo del Vangelo, ma di tutta la storia umana.
Chi può restare indifferente di fronte a questa scena?
Una donna, che è sorpresa in adulterio, viene portata da Gesù.
Non la portano per tirarla fuori dalla situazione e per salvarla, ma per accusarla e così poterla condannare. E non solo per questo, ma pure per mettere alla prova Gesù, e così aver motivo di condannare anche lui.

Gli accusatori, però, non hanno tenuto presente che il Signore non è il Dio del castigo e della morte, ma della misericordia e della vita.

Infatti, se andiamo a scorrere le pagine della Bibbia, ci accorgiamo che in esse non si parla tanto di prostitute, quanto di atti di prostituzione. Questo per farci capire che la persona va al di là degli atti che compie.

Al di là di questi atti, per quanto sbagliati che siano, resta in ognuno una insopprimibile dignità, quella di essere figlio di Dio.

Qual è quel genitore che non ama tutti i figli, nonostante i limiti mentali e i difetti fisici che possano avere? Anzi, sono proprio questi i maggiormente compresi e custoditi!

Ebbene, tornando sul piano spirituale, chissà quante volte anche noi abbiamo giudicato gli altri solo sulla base di certi comportamenti!

Ammesso doverosamente che non possiamo giudicare buona una cosa che di fatto è cattiva, non per questo possiamo esprimere un giudizio sulla piena responsabilità di chi l’ha commessa, senza darle nessuna speranza di riscatto.

È proprio per questo che dobbiamo sempre distinguere il peccato dalla persona che pecca. Non possiamo rifugiarci nel dire che va bene, perché fanno tutti così, e neppure sentirci tranquilli perché la legge civile lo permette, quali ad esempio il divorzio, l’aborto, l’eutanasia e così via.

Quello che è male, è male!

Tutto questo emerge chiaro nell’episodio. Gesù le fa capire che non si è comportata bene, però mette fiducia e speranza in lei, esortandola a non peccare più.

Dobbiamo guardare agli altri con lo stesso sguardo di Dio. Il Signore ci vede per quel che siamo e tuttavia, anche se cattivi, ci ama sempre e comunque, nella speranza di un futuro migliore.

Questo ci collega anche ad una espressione della prima lettura: “Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche!”.

È un nostro difetto, quello di guardare al passato, di considerare quanto abbiamo perso o di quanto non abbiamo realizzato, tanto da vivere di nostalgie e rimpianti inutili.

Il Signore, invece, vuol farci uscire da questo stato di tristezza, non solo inutile ma pure dannosa. Ci ricorda che, proprio mentre noi perdiamo tempo a piangere su ciò che non c’è più, la sua misericordia sta già preparando nuovi scenari di amore per noi.

Si tratta di avere sempre speranza per un futuro migliore.

Il Signore assicura tutto questo e ce lo spiega attraverso l’immagine dell’acqua che scorre nel deserto.

Dove sembrava che nulla potesse crescere, proprio in quel luogo si apre una nuova possibilità di vita.

Con questo, Dio ci invita a guardare sempre avanti, senza fermarci.

Non importa per quanto abbiamo sbagliato, o per quanto possiamo aver fallito, o per quanto avremmo potuto fare meglio nel nostro passato.

Egli, assicurandoci di essere sempre al nostro fianco, vuol far rinascere in noi la speranza e la gioia. Con questo spirito abbiamo acclamato: “Grandi cose ha fatto il Signore per noi”.

Anche Paolo lo sottolinea con questa espressione: “Ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo”.

Però, è un cammino, è l’impegno di ogni giorno, come ancora sottolinea Paolo: “Non ho raggiunto la meta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correrla, per conquistarla”.

L’importante è impegnarsi in tutto questo. La cosa vale nei confronti di noi stessi, per non scoraggiarsi; vale nei confronti degli altri, per non giudicarli.

Sac. Cesare Ferri rettore Santuario San Giuseppe in Spicello