Quarta avvento C
Testi liturgici: Mi 5,1-4; Eb 10,5-10; Lc 1,39-45
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Elisabetta è la prima che viene a sapere come quel bambino, che la cugina Maria porta nel grembo, non è una persona come le altre, ma è Dio stesso.
Ecco perché, senza incertezze, qualifica Maria: “Madre del mio Signore”.
Con questo comprendiamo che, come Maria santissima è piena di grazia sin dal suo concepimento, anche Elisabetta, per l’occasione: “E’ colmata di Spirito Santo”.
Sono due persone che, per il fatto che vivono secondo Dio, possiedono in pienezza lo Spirito Santo per cui, quando si incontrano, non possono non esplodere di gioia.
Maria ed Elisabetta sono veramente piene di gioia.

L’una lo è per la contemplazione del mistero di Dio che le fa dire: “Benedetta tu fra le donne…”; l’altra lo è per lo stesso motivo e che, a sua volta, la fa esplodere nel cantico: “L’anima mia magnifica il Signore”. Non solo loro, ma anche il bambino che porta Elisabetta, a suo modo, manifesta il suo sentimento: “Ha sussultato di gioia”.

Pertanto, tutto il quadro è pervaso di gioia, perché – come già detto -  quando possediamo lo Spirito Santo, non possiamo non esperimentare e manifestare la vera letizia.

E’ una grande lezione per noi, che stiamo vivendo in un mondo immerso e schiacciato da mille problemi, per cui tutti ci lamentiamo e ci rattristiamo, con la conseguenza che, quando ci incontriamo, spesso rimaniamo anche freddi, chiusi e sospettosi.

Questo atteggiamento è senz’altro comprensibile, esso manifesta come sia desiderabile vivere diversamente. Infatti, chi di noi non vuol essere felice e contento? Chi di noi non vuol vivere nella serenità, nella pace e nella gioia?

Forse il vero problema sta nel fatto che non abbiamo l’idea precisa di cosa significhi vivere nella gioia, per cui neppure possiamo gustarla.

Attenzione, quindi!

Il termine “gioia” è molto di più che “felicità”. La felicità che pur soddisfa, ad un certo momento passa, lasciandoci ancora nelle nostre prove, sofferenze e tristezze, nei problemi di sempre, senza poterle dare una motivazione.

Non ho detto neppure “contentezza”, perché uno potrebbe essere anche contento di qualcosa, eppure non è ancora pienamente soddisfatto.

Invece, se possediamo la gioia, essa continua a rimanere nonostante tutto. 

Allora, in cosa consiste e dove sta la vera gioia?

Nell’essere consapevoli che Dio non ci abbandona, che Dio è sempre con noi, che ci sostiene e ci aiuta in ogni difficoltà e tribolazione.
Attenzione ancora!

Questo avviene anche se contiamo poco davanti agli altri, ed anche se non siamo pienamente soddisfatti di noi stessi.

Per concludere, prendiamo in considerazione l’espressione iniziale del brano evangelico: “Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa”.

In questo caso, cosa vuol dire il termine: “in fretta?”.

Forse ci viene da pensare a quella nostra frenetica, al fatto di essere costretti a fare tutto e sempre di corsa.

La fretta di Maria è tutta diversa, si sviluppa in altro fronte. Non è la fretta della “corsa”, ma è la “sollecitudine” dell’amore. Maria ha voluto imitare l’amore che Dio ha per ciascuno di noi.

Se da una parte l’andare da Elisabetta si potrebbe ridurre all’esempio della dedizione di una giovane donna verso una parente più anziana, dall’altra ha un valore teologico. Esso è il segno dell’amore di Dio che, dopo il peccato, non abbandona l’uomo, ma lo visita ancora con un prodigio unico, mandando il Figlio come Salvatore.

Le due donne, anche se a livello di opinione e considerazione pubblica del tempo contavano ben poco, sono servite al Signore per compiere prodigi.

E questo cosa dice ancora a noi?

Ci dice che non dobbiamo essere turbati o tristi quando siamo poco considerati, proprio perché il Signore è attraverso le persone povere e umili che compie grandi cose, come confermato all’inizio della prima lettura: “E tu, Betlemme di Efrata, così piccola per essere fra i villaggi di Giudea, da te uscirà colui… che sarà grande sino agli estremi confini della terra”.

Sac. Cesare Ferri rettore Santuario San Giuseppe in Spicello