Testi liturgici: Gs 5,9-12; Sl 33; 2Cor 5,17-21;Lc 15,1-3.11-32
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Questa quarta domenica di quaresima presenta una nota di particolare gioia espressa nell’antifona d’ingresso: “Rallegrati Gerusalemme… Esultate e gioite, voi che eravate nella tristezza…”.
Per quale motivo? Per la grande ed infinita misericordia di Dio, oggi espressa con una parabola, quella ascoltata nella proclamazione evangelica.
È una delle pagine tra le più belle e amate del vangelo, ma anche tra le più sfruttate e non sempre in maniera consona. Infatti, al centro non ci sta il così detto figlio sconsiderato, ma, piuttosto, quello rimasto a casa; o, meglio, al vero centro ci sta il padre misericordioso, chiara figura del Padre celeste, che gode e fa festa quando ritrova qualcosa che sembrava perduto.
L’amore di Dio cerca sempre la relazione con i figli, come i figli sono sempre chiamati a tenere la relazione con Dio e fra di loro. Nella parabola, il figlio minore l’ha momentaneamente interrotta, poi è tornato, per riacquistarla; il maggiore, non sembrerebbe, non ha mai avuta una relazione vera con il padre ed, anzi, peggiora al ritorno del fratello, prendendosela proprio con il fratello stesso e ancor più con il padre.
Indubbiamente, i criteri con cui Dio giudica sono davvero molto diversi dai nostri. Quante possibilità avremmo dato noi al figlio scapestrato? Ci saremmo fidati ancora di lui? Del maggiore, invece, avremmo detto bene: che bravo ragazzo!
Eppure, il padre non si pone nemmeno il problema: per lui, l’unica realtà è che prima riteneva di avere un figlio fuori casa, come morto, e ora quel figlio è tornato in casa ed è in vita. Cosa importa tutto il resto? I calcoli, i giudizi e le colpe non gli interessano. Ecco perché festeggia.
Dio fa festa per ognuno di noi quando, pentendoci sinceramente del peccato, torniamo a lui. Non gli interessa nemmeno sapere se per l’avvenire continueremo a rimanere ancora con lui, oppure no. Al momento siamo tornati e questo gli basta.
Non è, allora, una domenica di particolare gioia?
Solo chi ama può comprendere questo. Il figlio maggiore non lo ha compreso, segno che non amava il padre, anche se, agli occhi della gente, era un ragazzo per bene, un lavoratore, un non sprecone.
Quale lezione per noi, che ci lasciamo troppo condizionare da quel che dirà la gente. Crediamo di essere a posto semplicemente quando abbiamo salvato la facciata! E per di più ci crediamo in regola, perché andiamo a Messa e compiamo le diverse pratiche religiose!
La parabola poi, dopo aver dimostrato l’amore del padre verso il figlio minore - che è stato accolto, abbracciato e per il quale è stata ordinata la festa - fa entrare in scena quello maggiore. Egli ha un ruolo tutt’altro che marginale. Infatti, è lui che ha bisogno di convertirsi! È lui che ha bisogno di scoprire l’amore del padre!
A pensarci bene, non siamo anche noi, come lui, a doverci convertire?
Non conta il nostro passato, l’importante è quello che vogliamo essere da questo momento.
Bella e confortante, in tale senso, l’espressione di San Paolo: “Se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco ne sono nate di nuove”.
Anche se uno è stato un grande peccatore e poi, pentito, si è avvicinato, è tutto nuovo, il passato non esiste più.
Questo è il pensiero di Dio.
E’ anche il nostro?
Sac. Cesare Ferri, Rettore Santuario San Giuseppe in Spicello