Buon PastoreTesti liturgici: At 13,14.43-52; Sl 99; Ap 7,14-17; Gv 10,27-30
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Abbiamo ascoltato alcune parole pronunciate dai Giudei, che si riferiscono a Paolo e Barnaba. Sono state dette per il fatto che molta gente li seguiva: “Quando videro quella moltitudine, i Giudei furono ricolmi di gelosia e con parole ingiuriose contrastavano le affermazioni di Paolo”.
Che brutta cosa la gelosia e l’invidia!
Purtroppo, a volte, sono capaci di intossicare anche le intenzioni di persone fondamentalmente buone, le quali se la prendono con altre persone ugualmente buone, proprio perché dominate dal tarlo dell’invidia e della gelosia.
Consapevoli di colpa o meno? Non sta a noi giudicare. Però, il fatto esiste!
Tale fatto, però, non può e non deve scoraggiare coloro che agiscono seriamente e disinteressatamente per amore di Dio e del prossimo, anche se il comportamento dispiace e fa soffrire molto.
Eppure, agli occhi della fede, quello che avviene potrebbe essere visto anche come una grazia concessa dal Signore.
È proprio quello che dobbiamo ricavare dall’episodio ascoltato.
Con esso gli apostoli si rendono conto che Dio è capace di utilizzare persino il comportamento ostile e astioso dei Giudei per donare la sua salvezza a coloro che sembrerebbero esserne esclusi, cioè i pagani.
In altre parole, è servito per la diffusione del cristianesimo.
Pertanto, se ci trovassimo in situazioni analoghe, guai a lasciarci condizionare.
Il Signore sa ricavare il bene anche dal male!
Veniamo, ora, al brano evangelico.
L’immagine del pastore che guida il suo gregge è una delle metafore più significative che si leggono nel Bibbia.
Oggi a noi potrebbe dire ben poco, ma per gli Israeliti, che esercitavano prevalentemente questo mestiere, era molta significativa ed eloquente.
Essa esprime una relazione di appartenenza e di fiducia vicendevole.
Infatti, il pastore è necessario e indispensabile per il gregge che, senza di lui, neppure esisterebbe; ma anche il gregge è una ricchezza per il pastore perché gli da modo di vivere.
Cosa dice a noi, oggi?
Dice che noi apparteniamo a Dio, attraverso Gesù che si è definito il pastore buono e bello, che è il pastore per eccellenza. Per tale fatto afferma: “Le mie pecore ascoltano la mia voce ed io le conosco ed esse mi seguono”.
Noi riconosciamo tutto questo e intendiamo aderirvi; ecco perché nel salmo responsoriale abbiamo ripetuto: “Noi siamo suo popolo e gregge che egli guida”.
Coloro che nella Chiesa chiamiamo pastori, sono il prolungamento di Gesù; ci trasmettono la sua parola, ci conducono al vero pascolo, a quello intramontabile della vita eterna.
Noi cristiani, senza ascoltare la voce di Gesù attraverso gli attuali pastori, andremmo fuori strada. Come pure, dall’altra parte, è anche vero che il Signore, senza di noi, non può compiere meraviglie.
Poi, c’è da sottolineare una parola molto consolante; le pecore sono state ben pagate con l’offerta della vita di Gesù: “Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano”.
Quindi, fra noi e lui c’è un rapporto di amore così stretto e inscindibile, che nemmeno la morte può rompere.
Di conseguenza, il nostro impegno è quello di non allontanarci da tale gregge per nessun motivo al mondo, anche se lupi rapaci – come tutti esperimentiamo - sono sempre presenti lungo la strada, cercando di allontanarci da lui che è la via della vita.
Sac. Cesare Ferri rettore Santuario San Giuseppe in Spicello