Quinta Pasqua C Comandamento nuovoTesti liturgici: At 14,21-27; Sl 144; Ap 21,1-5; Gv 13,31-35
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Provare soddisfazione quando qualcuno dimostra di stimarci per le qualità che abbiamo e per quello che facciamo, è cosa normale e quanto mai desiderabile.
Questo vale anche per Gesù il quale, all’infuori del peccato, è in tutto simile a noi.
Se vogliamo usare il linguaggio evangelico di oggi, possiamo dire che, quando qualcuno ci stima, noi siamo glorificati. È quello che esprime Gesù: “Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui”.
Però, secondo la logica umana, i conti non tornerebbero.
Gesù come può dire di essere glorificato dopo aver subito un fallimento, dopo essere stato rifiutato, osteggiato e perfino tradito da uno dei suoi collaboratori più stretti, ed essere appeso ad una croce?
In realtà, quello che a noi sembra un fallimento, per lui invece è il momento in cui il Padre sta per manifestare al mondo la potenza della croce e il valore del sacrificio del Figlio.
È Gesù stesso che lo rivela: “Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito”.
In cosa consiste questa glorificazione?
Lo comprendiamo riflettendo sulle conseguenze.
Quella che all’apparenza è una sconfitta, di fatto è una vittoria.
Infatti ne segue la restituzione della vita dopo la morte. Gesù risorge per una vita che non muore più. E questo non solo vale per lui ma anche per tutti noi.
Non è una glorificazione e una gioia il vincere la morte per non morire più?
È vero che Giuda, tradendolo, lo ha consegnato alla morte, ma in realtà lo ha consegnato alla vita immortale.
Ed è proprio quello a cui si riferisce l’espressione ascoltata nella seconda lettura: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose”.
È proprio una novità il morire per vivere!
Cosa ne segue concretamente per noi?
Si tratta di acquistare una certezza di fede. Certe volte, quello che a noi sembra una sconfitta o un fallimento nel corso della vita, in realtà è un momento di grazia nel quale Dio vuol manifestare la sua potenza.
Ciò che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio. Dobbiamo imparare a guardare quello che non va nella nostra vita, non come una sconfitta, ma come una occasione che Dio ci dona, sia pure attraverso una sofferenza.
È quello evidenziato da Paolo e Barnaba, all’inizio della prima lettura, per confermare e incoraggiare i discepoli a restare saldi nella fede: “Perché dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni”.
La seconda parte del Vangelo ci richiama la cosa più importante per essere veri cristiani e discepoli di Gesù: “Da questo sapranno che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri”.
L’amore è stato sempre inculcato, ma deve salire di qualità, deve diventare nuovo, come dice Gesù: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi”.
La novità consiste nell’amare alla maniera di lui, senza esigere un tornaconto. Si tratta di mettere da parte il povero “nostro io”, che riesce solo a fare ombra e tanto fumo e null’altro.
Amando alla maniera di Gesù sorgerà anche l’alba di un mondo nuovo, non più basato sul povero modo di amare umano, fragile e imperfetto, traballante e incostante, ma fondato sull’amore divino: “Come io ho amato voi”.
Certo è una meta molto alta, ma visto che la nostra tendenza al peccato tende a tirarci sempre verso il basso, dobbiamo puntare molto in alto per restare un po’ più su del suolo, per rendere almeno il sufficiente.
Sac. Cesare Ferri rettore Santuario San Giuseppe in Spicello