Omelia delle domeniche e feste Anno A
"Vieni al Padre, fonte di Misericordia"
26 marzo 2025 * S. Felice vescovo
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Via Verità e Vita
Testi liturgici: At 6, 1-7; I Pt 2, 4-9; Gv 14, 1-12

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Interessante e bella l’espressione di Gesù: “Nella casa di mio Padre vi sono molte dimore … Vado a prepararvi un posto”.
Se domenica scorsa egli aveva affermato di essere la “porta” per poter entrare nel recinto della salvezza, cioè nel paradiso che è la dimora del Padre, analogamente oggi afferma di essere lui la strada per poterci arrivare: “Io sono la Via”.
Leggiamo la dinamica del brano.
Tommaso e Filippo, felici di poterlo seguire, domandano a Gesù che riescano anche loro a raggiungere il luogo verso il quale egli è incamminato.

Rispondendo a Tommaso dice che, essendo lui la Via, per il fatto che lo stanno seguendo vuol dire che sono sulla strada giusta.

Rispondendo a Filippo Gesù afferma che non è solo la strada giusta, ma è anche quella per cui siamo in grado di vedere il Padre, potendo con lui conoscere la Verità e godere una Vita di gioia senza fine: “Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre”.  

Pur tuttavia, per raggiungere tale orizzonte, cioè quello di vedere in maniera definitiva e diretta il volto del Padre, vi è un esame, vi è un passaggio obbligato, quello della passione, croce e morte, valido per Gesù, ma valido anche per ogni suo discepolo.

Come si rivela questa verità, nella vita quotidiana, sia personale che comunitaria di Chiesa?

La prima lettura ci rivela proprio questo. Vogliamo un poco rifletterci.

Gesù nel discorso della montagna aveva detto: “A ciascun giorno basta la sua pena”; e questo vale, come appena detto, non solo per il singolo, ma pure per la comunità da lui fondata.

Ed ecco la pena sofferta dalla prima comunità cristiana, quella di come risolvere il fatto che: “Aumentando il numero dei discepoli, quelli di lingua greca mormoravano contro quelli di lingua ebraica perché, nell’assistenza quotidiana, venivano trascurate le loro vedove”.

 Questa episodio ci aiuta a capire che la Chiesa, ed ovviamente ognuno di noi, non si costruisce una volta per tutte, ma è necessario un discernimento costante, di certo fatto con l’aiuto dello Spirito, per conoscere e rispondere alle nuove problematiche che emergono giorno dopo giorno nel rapporto con il tempo e con la storia, con le cose e con le persone.

Per avere luce su questo ben venga, pertanto, anche la “mormorazione”, non però quella che spesso facciamo noi e che non costruisce nulla, anzi diventa male perché normalmente è una mancanza di carità.

Con la “mormorazione”, vista e intesa in senso positivo, dovremmo esprimere il nostro punto di vista e il nostro parere per risolvere costruttivamente un certo problema. Solo in tal senso diventa un atto di carità.

Noi abbiamo questo modo per raggiungere una finalità positiva e costruttiva quando parliamo degli altri?

I nostri interventi aiutano a migliorare la situazione, o sono solo critiche sterili e demolitrici e quindi, come dicevo, mancanze di carità?

È facile puntare il dito sul comportamento degli altri, ma non dovremmo dimenticare l’espressione di Gesù: “Chi di voi è senza peccato, scagli la prima pietra”.

Quando costatiamo certe situazioni di male, il nostro intervento è utile, anzi è necessario e doveroso. Si tratta di parlarne direttamente con la persona interessata, come correzione fraterna; oppure farlo presente a chi può fungere da intermediario perché possa intervenire con le dovute maniere.

Solo questi sono i comportamenti utili e necessari per cambiare in meglio certe situazioni.

Sotto questo profilo, la mormorazione dei discepoli di lingua greca è stata veramente utile e costruttiva.

Da essa è nato il dono e il collegio dei diaconi!

Sac. Cesare Ferri rettore Santuario San Giuseppe in Spicello

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"... io piego le ginocchia
davanti al Padre,

dal quale ogni paternità
nei cieli e sulla terra." (Ef. 3,14-15)

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