Testi liturgici: Ml 3,1-4; Sl 23; Eb 2,14-18; Lc 2,22-40
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Quest’anno la quarta domenica del tempo ordinario cede il posto alla festa della Presentazione del Signore. L’episodio è stato narrato dal Vangelo. Si potrebbe chiamare anche l’incontro di Cristo con Simeone e Anna.
È detta anche – nella tradizione popolare - festa della “Candelora”.
La sua origine risale ad una antica processione romana, a carattere penitenziale, che si svolgeva in riparazione delle nefandezze che avevano luogo, in quel giorno, durante una festa pagana.
Tale liturgia è mantenuta ancora oggi. Si celebra nella benedizione e processione con le candele, ispirata al versetto del cantico di Simeone: “Luce per illuminare le genti”.
Veniamo, ora, a riflettere sulle letture.
Quanto è descritto nel Vangelo è una scena ordinaria, come si vedevano tutti i giorni nel tempio di Gerusalemme: una giovane coppia di coniugi presenta e offre al Signore il proprio figlio primogenito, come prescritto dalla legge di Mosè.
Ma, per chi sa leggere i segni di Dio, in questa particolare scena che si discosta, in qualche maniera, dalle altre di tutti i giorni, vi è il compimento di quanto era stato sempre detto e atteso: la venuta del liberatore o, per dire meglio, del Salvatore.
Solo che questa liberazione non avrà i toni trionfalistici che tutti si sarebbero atteso. È, invece, liberazione dal peccato, è redenzione, è salvezza eterna; essa passa attraverso il silenzio, il nascondimento, il rifiuto e la croce stessa, tutte cose che subirà Gesù.
Tutto questo è ben evidenziato dall’episodio.
Simeone, illuminato dallo Spirito, lo comprende subito ed esclama: “I miei occhi hanno visto la tua salvezza”.
Poi, rivolto a Maria, preannuncia innanzitutto quello che dovrà soffrire Gesù: “Egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione” e poi quello che lei stessa dovrà soffrire: “Una spada ti trafiggerà l’anima”.
C’è allora da meravigliarsi anche se la nostra vita è costellata di sofferenze e prove?
Queste ci sono per tutti, credenti e non, praticanti o meno.
Utilizzarle o sprecarle?
Perché acquistino maggior valore al cospetto di Dio, il credente le offre a Lui. Con ciò ottiene maggior forza per affrontarle, come ci assicura la lettera agli Ebrei: “Egli (Gesù) proprio per essere stato messo alla prova a aver sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova”.
Tanto più se queste sofferenze e prove provengono dal fatto che siamo coerenti alla nostra fede!
Da notare, poi, una cosa importante: l’incontro avviene nel tempio, nel luogo del culto. Questo è sintomatico, in quanto esprime la volontà del Signore di fare del culto un momento in cui egli si rivela incontrando il suo popolo.
Come è importante, allora, l’incontro soprattutto domenicale nel tempio parrocchiale o in qualche santuario, come sta avvenendo in questo momento.
Noi siamo qui per incontrare il Signore, non tanto individualmente, ma come comunità in preghiera. Tornano in mente, a questo punto, le parole di Gesù che si leggono in altri contesti: “Dove due o più si riuniscono in preghiera, io sono in mezzo a loro”.
Ma non si ferma qui.
L’incontro deve portare a vivere in maggiore fraternità con i presenti per poi portare agli altri la ricchezza e la gioia dell’incontro.
Pertanto non è solo soddisfare un precetto, compiuto a livello personale di fronte a Dio, per tacitare la coscienza, ma è creare maggior comunione con tutti gli altri.
Sac. Cesare Ferri rettore del Santuario San Giuseppe di Spicello