5 Domenica C Pesca miracolosaTesti liturgici: Is 6,1-8; Sl 137; I Cor 15,1-11; Lc 5,1-11
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“Sulla tua parola – dice Pietro - getterò le reti”. È l’espressione chiave che oggi permette anche a noi di poter aprire, gustare e mettere a servizio i doni di Dio.
Con il passare degli anni ci si invecchia. Non solo nella vita naturale, ma anche in quella della fede e della vita spirituale, sia a livello personale che a livello comunitario, perdendo lo smalto dell’entusiasmo iniziale.
Quando Luca scrive il Vangelo, erano già passati diversi anni dalla morte e risurrezione di Gesù. Incontrando le comunità cristiane si accorge che hanno perduto la carica iniziale. Allora, per rincuorarle, richiama alla memoria i primissimi tempi in cui avevano risposto a Gesù e che, aderendo a lui, avevano messo al centro la Parola di Dio, la predicazione, l’istruzione.
Che la predicazione non attira le folle, anzi le respinge, è sotto gli occhi di tutti. Perché andare ad ascoltare parole che, prima ancora di essere pronunziate, sono vecchie e stanche, sono noiose; senza dire che, a volte, non sono messe in pratica neppure da chi le legge e le spiega.
Ciò nonostante, i pastori continuano, giustamente, a seminare la Parola. Perché, ci domandiamo, spesso non porta frutto?
Rapportate alla pesca, potremmo dire con Pietro: “Abbiamo predicato tutta la notte e non abbiamo preso nulla”. Quante prediche di noi preti, ed anche di genitori e nonni, educatori e catechisti che non ottengono nulla.
Quali sono i motivi?
Torniamo alla pesca. Il non aver preso nulla nella notte – ci domandiamo - è colpa dei pesci che non c’erano, è colpa del mare che era in tempesta, è colpa delle reti che erano rotte, o è colpa di qualche altra cosa o persona?
Non è stata forse colpa di Pietro che si era scoraggiato?
Ci voleva la parola di Gesù, da lui accolta con: “Sulla tua parola getterò le reti”, che gli ha fatto riacquistare fiducia, tanto da ottenere oltre il previsto: “Presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano”.
Ma, torniamo ad applicare a noi e alle nostre comunità.
Certo, i motivi che rendono la missione della Chiesa sterile possono essere molti, a seconda dei tempi e delle situazioni. Vi concorrono anche fattori esterni non favorevoli, a volte perfino ostili. È giusto pertanto cercare antidoti, sostegni, impulsi. Ma c’è qualche altra cosa.
C’è il peccato. Questo può colpire ognuno; può colpire i pastori e gli operatori pastorali, i catechisti e gli animatori di gruppi, i genitori e gli educatori in genere. Il peccato è cedere ad un attivismo esagerato e a troppe parole, ma inadeguate a produrre frutto.
A volte, con tristezza, si sente ripetere: “Qui c’è da fare; altro che pregare!”. Ci vuole l’uno e l’altro: l’azione apostolica senza preghiera è sterile; la preghiera, senza l’azione e l’impegno, adeguato al proprio stato di vita e alla missione di ognuno, non è perfetta. Potrebbe, infatti, essere fatta come pratica di dovere e frettolosa, ma che non crea l’anima di ogni azione, soprattutto apostolica. È il peccato in cui tutti possiamo cadere. Anche Pietro c’è caduto e lo ha riconosciuto: “Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore”. Il Signore Gesù gli ha fatto scoprire in cosa era consistito il suo peccato. Nella notte si era fidato solo della sua capacità di pescatore esperto; successivamente, fidandosi anche della parola di Gesù, ha raccolto un frutto abbondante.
Analogo riconoscimento, davanti alla grandezza di Dio, è stato anche quello di Isaia: “Uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito”.
La risposta, a seguito di tale riconoscimento, è stata: “E’ scomparsa la tua colpa e il tuo peccato è espiato”.
Tutti possiamo sbagliare. Una volta riconosciuto, il peccato è perdonato.
L’importante è ripartire, con una ottica nuova, contando più sul Signore che sulle nostra capacità.
Sac. Cesare Ferri, Rettore Santuario San Giuseppe in Spicello