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Chi di noi non vuol essere felice e contento, non vuol vivere nella serenità, nella pace e nella gioia?
Siccome questo, purtroppo, non si verifica sempre, è necessario porre un’altra domanda.
Da dove proviene la gioia, quella che non si rischia di perdere?
Notate bene, ho usato il termine “gioia” e non felicità, perché la felicità, in quel che pur potrebbe soddisfare, ad un certo momento passa.
Non ho detto neppure contentezza, perché uno potrebbe essere contento, ma non soddisfatto.
Nel Vangelo ascoltato abbiamo tre esplosioni di gioia unite all’esultanza.
La gioia di Elisabetta quando le arriva il saluto di Maria. Si manifesta benedicente: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!”.
Nello stesso tempo la gioia di Giovanni nel grembo di Elisabetta: “Appena il tuo saluto il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo”.
Infine, la gioia di Maria che esploderà nel cantico: “L’anima mia magnifica il Signore”.
Sono tre tipi di gioia che evidenziano la grandezza di quanto Dio sta operando non solo nello loro vita, ma anche in quella di tutti gli uomini, di tutti i tempi.
Dove sta, allora, la vera gioia anche per noi?
Nell’essere consapevoli che Dio non ci abbandona, che Dio è sempre con noi, che ci sostiene e ci aiuta in ogni difficoltà e tribolazione.
Ovviamente, non in maniera superficiale e passeggera, ma quella che proviene dalla fede. Essa, nonostante che tutto possa essere contrario nella vita, non trascura di darci serenità interiore, perché è questa che conta.
Per forza di cose, questo non è comprensibile da chi non è in sintonia con Dio e con lo stile di Dio; chi non sa accogliere la vita nella semplicità e nella ordinarietà di tutti i giorni.
È proprio quello ci ha voluto dire Michea, con la profezia ascoltata nella prima lettura.
Essa mette in evidenza che Dio, per la nascita del Salvatore, non sceglie una grande e rinomata città, ma una piccola e sconosciuta borgata, quella di Betlemme. Per di più, neppure una casa, sia pure povera; ma addirittura sceglie una stalla.
È una profezia che non ci parla di gloria e di potenza, ma di piccolezza, nascondimento, umiltà.
Con il Natale, ormai alle porte, la liturgia ci invita a considerare questa strada scelta da Dio per l’incarnazione.
È stato anche il modo di essere e di agire che ha caratterizzato la vita e la missione di Gesù. Pertanto, deve caratterizzare la vita di ogni cristiano, se vuol chiamarsi tale.
Se durante questo avvento più volte abbiamo parlato di conversione, oggi siamo giunti alla vetta: se siamo discepoli di Gesù non possiamo non imitarlo nella sua povertà, nella sua semplicità, nella sua umiltà, nel suo servizio di amore.
È forse un natale cristiano quello che molti si preparano a vivere?
Non che non si possano fare regali, che non si possa accendere maggiore luce, che non si debba stare gioiosamente e meglio degli altri giorni a tavola.
Però non vi sembra che spesso vi è del superfluo, del non necessario, una specie di gara con altri nel seguire la strada del consumismo?
Sac. Cesare Ferri rettore Santuario San Giuseppe in Spicello