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Una cosa è certa. La famiglia in questo tempo è una delle realtà più attaccate e più sconvolte. Raramente si sente parlare di famiglia, ricavandone un senso di gioia e di pace.
La festa di oggi vuole aiutarci, ad acquistare incoraggiamento nel sostenere la famiglia e per avere da essa maggiore consolazione.
In che senso?
Nel senso che la famiglia è qualche cosa di grande. È il luogo che Dio stesso ha scelto. Vi abita per donarci la gioia della salvezza.
La famiglia umana è immagine della famiglia trinitaria. È una pallidissima idea della gioia che si vive nella famiglia di Dio, a cui siamo chiamati per viverci nell’eternità.
Ebbene, la liturgia di oggi ci presenta l’esempio di due famiglie: quella di Anna e Elkanà e quella di Maria e Giuseppe.
È utile riflettere su ambedue, per vedere sino a che punto le nostre famiglie si assomigliano ad esse.
Anna, umiliata per la sua sterilità, chiede a Dio il dono di un figlio che, nel caso fosse venuto, lo avrebbe consacrato a lui, come di fatto avverrà.
Questo figlio sarà chiamato Samuele; sarà un grande personaggio nella storia della salvezza; sarà lui a scegliere e consacrare Davide, dalla cui discendenza nascerà il Salvatore.
Leggendo la storia di Anna, la sensazione più forte è quella della sua sofferenza prima della nascita, perché umiliata e considerata inutile; altra sofferenza quella dopo la nascita di Samuele, perché deve allontanarsi dal lui.
Ci insegna che in ogni famiglia non si può sfuggire alla sofferenza. Questa, per un motivo o per un altro, non manca mai; ivi compresa quella di distaccarsi dal figlio, non volendolo modellare a propria immagine, rischiando di rovinare la sua vita e quella della sua eventuale nuova famiglia.
L’altra sensazione è che lei è molto amata, soprattutto dal marito che non vorrebbe vederla soffrire; che acconsente a realizzare il suo voto; che l’accompagna al tempio per realizzarlo.
Comunque, tutta la sofferenza di Anna è sostenuta dal marito; ed Anna, da parte sua e per amore del marito, non smette di pregare, fino ad essere considerata ubriaca.
Fino a che punto in ogni famiglia ci si ama veramente, a cominciare tra marito e moglie?
Poi, abbiamo l’altra famiglia, quella di Maria e Giuseppe.
Questa, tra l’altro, cosa ci insegna?
Fanno l’esperienza che Gesù non sta dove si aspetterebbero che sia, ma hanno bisogno di cercarlo. Ed una volta trovato, sentono la risposta: “Devo occuparmi delle cose del Padre mio”.
Ancora una volta quello già detto pocanzi: i genitori devono avere la capacità di distaccarsi dal figlio.
Quanti matrimoni, anche, vanno in fallimento per l’ingerenza indebita di genitori e suoceri!
Sac. Cesare Ferri rettore Santuario San Giuseppe Spicello