Testi liturgici: At 10,37-43; Sl 117; Col 3,1-4; Gv 20, 1-9
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Tutti siamo soliti scambiarci gli auguri di buona Pasqua. Però, espressi solo così, non dicono la motivazione cristiana, anche se si suppone che sia sottintesa.
Per capirci, faccio una similitudine.
Siamo in strada, potremmo aver bisogno di fermare un’autovettura per chiedere un “passaggio”; però è necessario sapere e manifestarsi vicendevolmente dove è diretto l’autista e dove siamo diretti noi.
Ebbene, nel nostro caso dobbiamo sapere che la Pasqua – che significa appunto “passaggio” - è diretta verso la risurrezione, evento nel quale tutti dobbiamo arrivare. Pertanto, sarebbe più corretto dire: buona pasqua di risurrezione.
Ma cosa significa “risurrezione”?
È una parola che viene dal latino. Sono tre parole unite insieme e che esprimono tre concetti che si integrano a vicenda. Per ben comprenderla in italiano, ha bisogno di essere espressa con una circonlocuzione. Significa un cambiamento di senso, passare da un modo di essere ad un altro e cioè: dal basso, all’alto; dal chiuso, all’aperto; dalle tenebre, alla luce; dalla morte, alla vita.
Riferita a Gesù, dicendo che è risorto, significa il suo passaggio dal chiuso del sepolcro, all’aria aperta; dal buio della tomba, alla luce del sole; dalla morte, alla vita; dalla corruzione del sepolcro, ad una vita immortale.
Anche noi, nel giorno del battesimo ed in forza della sua morte e risurrezione, abbiamo fatto analogo passaggio: dal peccato, alla grazia; da semplici creature, a figli di Dio; da persone isolate, a viventi nella comunità che è la Chiesa; da poveri, ad eredi del paradiso.
Lo facciamo anche in ogni confessione sacramentale: passiamo dal peccato alla grazia e a maggiore grazia.
Sappiamo, purtroppo, come facilmente ricadiamo nel peccato.
Ecco, pertanto, cosa significa l’augurio pasquale pronunciato nello spirito cristiano: “Ti auguro che possa fare il passaggio da una vita di peccato ad una vita di grazia; da una fede debole ad una maggiore fede; da poca bontà a maggiore carità; dallo sguardo rivolto ai beni terreni, ma anche a quelli del cielo”.
È proprio quest’ultima l’esortazione di Paolo, oggi ascoltata: “Cercate le cose di lassù, dove è Cristo; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra”.
Il Vangelo, da parte sua, ci narra l’esperienza dei due apostoli, Pietro e Giovanni, che pure fanno un passaggio nel loro atteggiamento.
Ambedue corrono verso il sepolcro, con lo stesso spirito con cui anche noi andiamo nel cimitero. Sappiamo che ivi è la tomba dei nostri cari; se andiamo è per fare memoria del defunto. Non ci è mai successo di incontrarlo fuori della tomba e vivente.
Ai due apostoli, invece, capita proprio questo.
Però, mica lo capiscono subito! Hanno dovuto fare anche loro un passaggio, una pasqua.
Esaminiamo la dinamica.
Corrono ambedue. Giovanni giunge per primo, forse perché più giovane, ma soprattutto perché una forza maggiore lo attira: è la forza dell’amore, quello stesso che lo aveva fatto rimanere sotto la croce.
Pietro giunge dopo, forse perché più avanti negli anni, ma soprattutto perché poteva essere ancora appesantito dal ricordo del suo rinnegamento.
Come si manifesta in loro la pasqua?
Dall’abbandono di una esperienza che li aveva delusi, e la corsa verso un’altra esperienza, che però non riescono a capire subito.
L’ha capito prima Giovanni, anche se entrato dopo. Di lui è detto: “Vide e credette”.
Ed il brano conclude: “Non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti”.
Anche noi, in fatto di fede, non comprendiamo tutto. È proprio per questo che abbiamo bisogno di fare continuamente pasqua.
E la pasqua non è solo oggi. Ogni domenica è pasqua. Per crescere abbiamo bisogno di celebrare la pasqua settimanale, il cui vertice è la celebrazione eucaristica, quella che stiamo celebrando oggi e che pure si celebra ogni domenica.
Come è importante la domenica! Se lo capissimo sul serio, non troveremmo tanti motivi per tralasciarla!
Sac. Cesare Ferri rettore Santuario San Giuseppe in Spicello