Testi liturgici: At 1,1.11; Sl 46; Ef 1,17-23; Mt 28,16-20
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Bella l’espressione di Paolo, nella seconda lettura!
La vogliamo riascoltare: “Il Dio del Signore nostro Gesù Cristo vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione…”.
Cosa vuol dire?
In altri termini, Paolo augura a tutti che lo Spirito Santo faccia conoscere il progetto di Dio nel suo insieme, ma in maniera particolare da vedersi nella vita di ogni persona, affinché ognuno possa adeguare le proprie scelte su tale progetto.
Ebbene, l’episodio dell’Ascensione ed il mandato che Gesù conferisce agli apostoli prima di ascendere, ci fa entrare nella comprensione profonda del mistero.
Cosa vuol dire ascendere?
Ascendere al cielo e sedere alla destra del Padre è una immagine, per dire che Gesù è glorificato definitivamente, perché ha compiuto la sua missione sulla terra.
Da quel momento cosa è cambiato per gli apostoli che non l’hanno visto più, perché nascosto da una nube?
Ed anche, cosa deve cambiare in riferimento alla nostra vita?
Si tratta di comprendere bene il significato delle parole dette dai due uomini in bianche vesti.
Esse sono una esortazione rivolta ai discepoli che sono rimasti a guardare in alto, in attesa di chissà che cosa, in atteggiamento di tristezza e nostalgia: “Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?”.
Da quel momento comincia per loro un nuovo tempo; è il tempo della Chiesa; è quello che stiamo vivendo anche noi.
Cosa dobbiamo fare in questo tempo?
Si tratta di credere ad una verità fondamentale: che Gesù è ancora presente in mezzo a noi, in maniera viva, reale e operante; anche se non più in maniera visibile.
Pertanto, in ogni situazione, dobbiamo abbandonare ogni nostalgia, ogni rimpianto del passato, come fosse stato un tempo migliore. E neppure il tempo in cui potremmo aver vissuto una esperienza spirituale di sensibile presenza del Signore, con la conseguente consolazione nel costatare buoni risultati. Nulla da rifiutare, se questo ci fosse. Ma non è l’essenziale. Anzi, non dobbiamo assolutamente meravigliarci di esperimentare una qualche aridità spirituale.
Allora, come comportarci?
Quello che conta è imparare a vivere la “memoria”.
Attenzione, però! La memoria non è da intendersi come il ricordo di un passato, che non torna più, ma come una ricerca del Signore nel presente, che si manifesta in ogni situazione della vita. Si fa memoria di lui cercandolo oggi, proprio in forza delle parole da lui dette: “Io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo”.
Comunque, è da mettere in conto che anche a noi può succedere come agli apostoli. Essi hanno avuto un momento di adesione piena: “Quando lo videro, si prostrarono ai suoi piedi”; ed un momento di dubbio: “Essi però dubitarono”.
Anche noi, come loro, abbiamo gli alti e bassi nella fede; anche noi abbiamo momenti di entusiasmo, momenti di indifferenza e, a volte, anche momenti di ribellione.
Si tratta allora, quando nella nostra vita appare il buio, di riconfermare la fede facendoci sorreggere dal: “Non temete, io sono con voi tutti i giorni…”.
Prima di dire questo, Gesù aveva affidato agli apostoli una missione; è la stessa affidata a noi. Eccola: “Andate, fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli…”. È’ sottinteso: io sarò con voi, soprattutto se fate questo.
Non si tratta tanto di pellegrinare, in lungo e in largo, allo scopo di convincere le persone a seguire il Signore. Si tratta, invece, che in qualsiasi luogo ci troviamo non dobbiamo vergognarci di essere tra i discepoli di Gesù, con una vita di fede vissuta, sempre coerente e non secondo l’opportunità.
Dobbiamo mettere in atto le successive parole di Gesù: “Insegnando loro a osservare tutto ciò vi ho comandato”.
L’insegnamento, lo ripeto, non è solo a parole, ma soprattutto si manifesta con una vita coerente. Se manca questo, la grazia difficilmente arriva, le persone non si avvicinano al Signore e neppure i genitori ottengono dai figli quello che vorrebbero di bene.
Sac. Cesare Ferri, rettore Santuario San Giuseppe in Spicello