Omelia delle domeniche e feste Anno A
"Vieni al Padre, fonte di Misericordia"
8 dicembre 2025 * Immacolata Concezione
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Corpus DominiTesti liturgici: Dt 8,2-3.14-16; Sl 147; I Cor 10,16-17; Gv 6,51-58
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La festa di oggi è l’occasione per una riflessione nei confronti del sacramento più importante che Gesù ci ha lasciato: quello dell’Eucaristia.
Cosa vuol dire celebrare l’Eucaristia?
Celebrare l’Eucaristia vuol dire che i due elementi semplicissimi del nostro vivere quotidiano – il pane e il vino – diventano, per l’azione dello Spirito Santo e della Chiesa, il segno più eloquente e più potente della presenza e dell’opera di Cristo; di quel Gesù che, prima di salire in cielo, ha detto: “Io sono con voi tutti i giorni”.
Nella Eucaristia, istituita la sera prima di morire, Gesù ha voluto lasciarci un “testamento spirituale”. Attraverso di esso ci dice: “Io vi ho amati sino al dono della vita; se volete essere miei discepoli anche voi dovete fare altrettanto, amatevi l’un l’altro, senza risparmiarvi. Per riuscirci mangiate e bevete di me: avrete da me la forza e il coraggio per poter realizzare tale amore".
L’Eucaristia, dunque, è il Pane dell’amore. Esso nutre e sostiene la vita di chi, come Gesù, ha fatto dell’amore agli altri la sua ragione d’esistere.
Ora ci domandiamo: cosa sta alla base di tutto, quando celebriamo l’Eucaristia?
Ci sta la “Benedizione”, detta anche il “Rendimento di grazie”.
La benedizione c’è quando lodiamo e diciamo bene di una persona. Nel caso nostro diciamo bene di Dio, perché Lui, a sua volta, possa benedire e dire bene di noi, proteggendoci.
Fra poco risentiremo, nel racconto della istituzione, che lo ha fatto anche Gesù: “Gesù prese il pane e rese grazie… prese il calice e rese grazie”.
Il rendimento di grazie stava alla base della preghiera degli Israeliti, era una doverosa consuetudine perché con esso mettevano in pratica quanto oggi abbiamo ascoltato nella prima lettura: “Ricordati del cammino che il Signore ti ha fatto fare… ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto… ti ha nutrito di manna… ha fatto sgorgare l’acqua dalla roccia…”.
Celebrare l’Eucaristia, attualizzando il gesto di Gesù, significa proprio rendere grazie per tutti i benefici di Dio. Ora, però, il nostro rendimento di grazie è infinitamente più grande di quello degli Israeliti. Loro ringraziavano per la liberazione dall’Egitto, noi ringraziamo perché Dio ha tanto amato il mondo da mandare il Suo Figlio che ci ha redenti dal peccato e ci ha salvato.
Il rendimento di grazie degli Israeliti era accompagnato dall’offerta di qualcosa; offrivano gli animali.
Qual è la nostra offerta, nel celebrare l’Eucaristia?
La nostra, se si limitasse solo nel pane e nel vino, sarebbe ben poca cosa. Ma poiché, per opera dello Spirito Santo, quel “qualcosa” diventa “qualcuno”, diventa “Gesù Cristo”: noi offriamo al Padre l’amore e il sacrificio di Gesù.
Il Padre, che non è da meno, ricambia il dono e ci offre il suo stesso Figlio come cibo e nutrimento: cosa utile e necessaria per ottenere la salvezza eterna.
Comprendiamo, allora, le parole di Gesù: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna… Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui… Chi mangia questo pane vivrà in eterno”.
A questo punto bisogna fare attenzione che non succeda il rovescio, che cioè al posto della vita eterna ne venga la condanna. Ciò avverrebbe se vi ci accostiamo indegnamente.
È un controsenso, infatti, parlare di Corpo e Sangue di Cristo che ha dato tutto se stesso per fare di noi una sola cosa con lui, se noi, a nostra volta, non ci impegniamo a vivere nell’amore e nella tensione continua verso l’unità, facendo una sola cosa con lui e con gli altri.
Come ci si può accostare all’Eucaristia se siamo divisi e non ci amiamo fra noi?
Ciò premesso, diventa comprensibile anche un’altra situazione che falserebbe la visione esatta dell’Eucaristia, in quanto rinnega l’unità, purtroppo non da tutti capita.
Intendo dire il diniego rivolto a quegli sposi che pubblicamente vivono in maniera disordinata il loro matrimonio, avendo infranto l’unità.
La Chiesa è loro vicina, con tanta comprensione, ma non può permettere quello che sarebbe un controsenso; a meno che, anche in caso di separazione, non si viva in maniera regolare.
Sac. Cesare Ferri, rettore Santuario San Giuseppe in Spicello

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dal quale ogni paternità
nei cieli e sulla terra." (Ef. 3,14-15)

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