Riflessioni di don Ferri in ritiri
"Vieni al Padre, fonte di Misericordia"
21 maggio 2024 * S. Vittorio martire
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Santa Famiglia alla uscita dallo internoSi tratta della decima riflessione sul tema dell' essere "Artigiani di Comunione", preparata per il ritiro del 14 novembre 2021, presso il Santuario di San Giuseppe in Spicello.
Per il documento: clicca qui
Decima riflessione per l’anno 2021
La famiglia evangelizza nel proprio ambiente di vita
(testo di riferimento Rm 16,3-5)

 Dalla lettera di san Paolo Apostolo ai Romani.“Salutate Prisca (Priscilla) e Aquila, miei collaboratori in Cristo Gesù. Essi per salvarmi la vita hanno rischiato la loro testa, e a loro non io soltanto sono grato, ma tutte le Chiese del mondo pagano. Salutate anche la comunità che si riunisce nella loro casa. Salutate il mio amatissimo Epèneto, che è stato il primo a credere in Cristo nella provincia dell’Asia”.

Premessa

Nella meditazione del mese scorso ci siamo soffermati sul dovere di evangelizzare, non solo a titolo personale, ma soprattutto in quanto sposi e famiglia.

Oggi ci poniamo una domanda analoga, riferita ad un tempo storico. In che modo, con quale stile le famiglie hanno evangelizzato all’inizio del cristianesimo?

Per entrare nella riflessione sul tema, è molto interessante ed è quanto mai utile proseguire nella lettura di alcuni altri versetti, sempre dalla lettera ai Romani. Ecco come continua Paolo:

Salutate Maria, che ha faticato molto per voi. 

Salutate Andronìco e Giunia, miei parenti e compagni di prigionia; sono degli apostoli insigni che erano in Cristo già prima di me. 

Salutate Ampliato, mio diletto nel Signore. Salutate Urbano, nostro collaboratore in Cristo, e il mio caro Stachi. 

Salutate Apelle che ha dato buona prova in Cristo. Salutate i familiari di Aristòbulo. Salutate Erodione, mio parente. Salutate quelli della casa di Narcìso che sono nel Signore. Salutate Trifèna e Trifòsa che hanno lavorato per il Signore.

Salutate la carissima Pèrside che ha lavorato per il Signore. Salutate Rufo, questo eletto nel Signore, e la madre sua che è anche mia. Salutate Asìncrito, Flegonte, Erme, Pàtroba, Erma e i fratelli che sono con loro. 

Salutate Filòlogo e Giulia, Nèreo e sua sorella e Olimpas e tutti i credenti che sono con loro”. 

Per quale motivo il saluto, così prezioso e particolareggiato di Paolo, è rivolto a questo lungo elenco di persone, sia singoli che famiglie?

Perché tutti sono stati al suo fianco per evangelizzare, non come gruppo organizzato, ma come persone e famiglie singole.

Per capire meglio ed entrare nella riflessione, facciamo una comparazione.

Ad esempio, il delegato avrebbe potuto dire a me o a qualche altro di voi: “Salutami tutti quelli che oggi sono riuniti in ritiro a Spicello”.

Oppure, un parroco che vuol ringraziare quelli che hanno collaborato per una iniziativa parrocchiale. Lo esprime la domenica seguente rivolgendosi  all’assemblea riunita per la Messa, facendo conoscere la sua gratitudine verso tutti.

Oggi normalmente avviene così, ma all’inizio del cristianesimo non era così. Non vi erano parrocchie, non vi erano associazioni, non vi erano gruppi facenti un cammino di fede e di spiritualità. All’inizio vi erano solo le persone singole con le loro famiglie. Nel contempo tutti erano anche collaboratori, sostegno e difesa degli apostoli, considerati quali propri padri.

Ebbene, tra i tanti citati da Paolo, quelli che assumono maggiore rilievo sono proprio due coniugi: Aquila e Priscilla.

Chi sono più precisamente?

Aquila è un ebreo, immigrato a Roma. Qui conosce, si innamora e poi sposa una donna romana chiamata Priscilla (o Prisca). Insieme avviano una fabbrica di tende, insieme si convertono al cristianesimo. A Roma non possono restare a lungo perché l’editto promulgato dall’imperatore prevede l’espulsione di tutti i giudei, accusati di fomentare tumulti.

Per tale motivo si trasferiscono a Corinto, dove la Provvidenza li conduce ad incontrare Paolo. Lo ospitano in casa propria e lo fanno lavorare con loro, quali fabbricatori di tende, perché possa provvedere al necessario per la sua vita senza essere di peso a nessuno.

Non abbandonano la loro attività commerciale, ma nel contempo evangelizzano ed in particolare aiutano Paolo nella formazione dei nuovi convertiti. Tra gli altri, curano con squisita attenzione l’iniziazione alla vita cristiana di Apollo, un giudeo molto versato nelle Scritture, ma purtroppo con qualche limite sulla conoscenza di Gesù Cristo e dei suoi insegnamenti.

Egli è affascinato ed edificato dalle catechesi di Aquila e Priscilla, soprattutto perché la rendono quanto mai credibile in forza della testimonianza sul come coltivano e vivono il loro amore sponsale.

Tra l’altro, essi hanno acquistato anche una grande casa per cui essa diviene un punto di riferimento per la locale neonata comunità cristiana. Con frequenza in essa si riuniscono i credenti per ascoltare la Parola e per celebrare l’Eucarestia. Spesso si rende presente anche Paolo. Ecco perché – come si esprime nella citata lettera ai Romani - ricorda con gratitudine l’accoglienza premurosa dei due, i quali, per salvargli la vita, hanno rischiato perfino la propria testa.

Quale migliore stile di evangelizzazione quello della loro famiglia?

Fossero tutte così le nostre famiglie!

Ed allora, andiamo più concretamente al tema di oggi

In riflessioni precedenti abbiamo meditato sul dovere di evangelizzare, mettendo in pratica le parole di Gesù rivolte non solo agli apostoli, ma a tutti: “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo”.

Ora ci facciamo questa domanda. Aquila e Priscilla, in quale mondo e in quale ambiente di società sono andati?

Non sono andati da nessuna parte, eppure nel contempo sono andati dappertutto. Infatti, rimanendo nella propria famiglia, ed al più spostandosi in altre famiglie, hanno raggiunto tutti, in quanto consideravano la realtà della famiglia quale “cellula basilare della società”. Credevano veramente che, salvata la famiglia, è salvato il mondo!

Così facendo hanno messo in pratica anche le altre parole di Gesù, quelle rivolte all’indemoniato guarito: “Va’ nella tua casa, dai tuoi, annunzia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ti ha usato”.

Nei primi tempi del cristianesimo, il luogo in cui la comunità cristiana nasceva e cresceva, era proprio la famiglia, denominata “casa-famiglia”. In essa i credenti vi svolgevano quella che noi oggi definiamo “assemblea liturgica”. In essa pregavano, ascoltavano la Parola di Dio, celebravano l’Eucaristia. In tale luogo e con tali pratiche riuscivano a crescere in una salda comunione fraterna e, nel contempo, ad acquistare la capacità di essere testimoni credibili nel luogo di lavoro e nello stare in mezzo agli altri.

   Il termine greco che indicava questo stile di vita, tradotto in italiano è quello che noi oggi definiamo con il vocabolo di “parrocchia”. Tale termine designava il luogo dove la comunità cristiana si riuniva, in quanto convocato in assemblea, per essere la Chiesa di Gesù Cristo.

Ovviamente con il tempo, aumentando il numero dei credenti, non era più possibile radunarli nella “casa-famiglia”, per cui tale casa-famiglia (o parrocchia) si è dovuta spostare in spazi più capienti. Per questo motivo si sono costruite le così dette “basiliche”, cioè dei luoghi più ampi per poter accogliere contemporaneamente tutti (quelle che noi oggi denominiamo “chiese parrocchiali”). Esse sono state costruite per contenere la “grande famiglia-chiesa”, composta da tante “piccole famiglie-chiesa”.

Come funziona oggi la parrocchia

Ci facciamo questa domanda. Oggi le parrocchie funzionano bene in questo senso?

Purtroppo no, perché abbiamo dato e stiamo dando margine ad un grande rischio, quello di far perdere alla “comunità convocata” il senso di famiglia anche se, inconsapevolmente od erroneamente, si possa credere di poterla meglio ottenere facendo della liturgia una specie di sceneggiatura, inventandosi modi e forme che fanno perdere il raccoglimento e il senso del sacro, a seconda del gusto dell’uno o dell'altro sacerdote o di altri animatori di essa.

Nonostante questo, purtroppo, molti di quelli che alla domenica vanno alla convocazione ecclesiale ed alla celebrazione dell’Eucaristia, lo fanno più che per osservare un precetto; infatti, alla maggior parte dei fedeli interessa relativamente il conoscere chi sta loro accanto, il conoscere i loro bisogni e necessità; ma c’è anche di peggio, perché a volte c’è il disaccordo con chi si incontra, non si è disposti al perdono delle offese ricevute dal fratello o dalla sorella o dalla tal famiglia. Di conseguenza, non si cresce in una salda e vicendevole comunione, anzi spesso si nota una gran divisione e contrapposizione.

Ed allora, proprio in forza di queste considerazioni, non c’è più il desiderio che arrivi il giorno festivo per aver la gioia di incontrarsi con gli altri.

Attenzione! In analogia a quello parrocchiale, non capita forse la stessa cosa anche per il cammino nell’ISF, per i ritiri e per gli incontri vari che esso promuove?

Ripenso ai primi tempi (anni 1975/1980), allorquando è stato annunziato l’Istituto stesso e successivamente, sviluppandosi, si sono formati gli attuali nostri gruppi. Ricordo la gioia che si provava nel vedersi periodicamente, anche in maniera ristretta, alternandosi di famiglia in famiglia; ed ancor più il desiderio e la grande gioia di essere sempre presenti al ritiro per rivedersi tutti assieme e così aumentare la gioia stessa.

Oggi è ancor così? Ad uno sguardo generale (e vorrei che fosse solo superficiale), non mi sembra che lo sia più di tanto!

Infatti spesso prevale uno stile di approccio piuttosto freddo ed indifferente, per arrivare a volte sino ad avere una vicendevole sfiducia, somigliante a quello dei cristiani della domenica. In tal caso la famiglia (maggiormente nel nostro caso quella di famiglia consacrata) non è più evangelizzatrice nel proprio ambiente; potremmo ben dire che questo fatto è dimostrato dalla mancanza di nuove vocazioni e adesioni; in ambito parrocchiale da seri e formati operatori pastorali. Pertanto, se non lo è nell’ambiente dell’Istituto, viene da pensare che non lo è neppure nella propria famiglia, nella parrocchia, nell’ambiente di lavoro. In tale senso e di fatto, la famiglia non è più evangelizzatrice.

È proprio qui che dobbiamo convertirci. È necessario far rientrare lo stile di famiglia, in ogni realtà, senza distinzione di sorta, nel rispetto di ogni persona, accettandola così com’è, senza pretendere che sia fatta a nostra immagine e somiglianza.

A questo punto voglio citare, riportando alla lettera quanto è scritto nella dispensa che avete in mano, riferita agli inizi del cammino cristiano, ma anche di come esso deve proseguire (e noi dovremmo dire come cambiare e proseguire nel cammino di Istituto): “E’ interessante notare è che sono state le riunioni a permettere ai cristiani di maturare la coscienza della loro identità e della loro differenza rispetto al giudaismo. Il luogo della riunione, che non era uno spazio sacro, ma familiare, ha fatto assumere, infatti, alla comunità una struttura familiare. Nelle chiese domestiche partecipava gente di rango e di situazione sociale diversa e quanto la comunità sapeva integrare queste diversità, si può comprendere da quanto Paolo diceva, affermando che ‘Non c’è più giudeo né greco; non c’è più né schiavo né libero; non c’è più né uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù’”.

E, per concludere, ecco la domanda finale. Cosa c’è da cambiare o da migliorare nella coppia di sposi e nella famiglia per riuscire ad essere veri evangelizzatori nel proprio ambiente?

 

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"... io piego le ginocchia
davanti al Padre,

dal quale ogni paternità
nei cieli e sulla terra." (Ef. 3,14-15)

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