Riflessione dettata dal rettore alle famiglie riunite in ritiro il 12 aprile 2015 presso il Santuario San Giuseppe in Spicello di San Giorgio di Pesaro. IL VERO SERVIZIO
Parole di autentica relazione
(Testo di riferimento: Gv 13, 1-17)
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Ascoltando il brano evangelico, abbiamo ammirato Gesù che compie un servizio, non semplicemente come dovuto o ricompensato, ma impregnato di solo amore!
Per tutti, la vita non può non essere che un servizio di tale tipo, perché il servizio, vuoi o non vuoi, diventa una necessità. Infatti, il non sentirsi utili a qualcosa, ci rende scontenti e insoddisfatti.
C’è però il rischio su un altro aspetto che bisogna tenere sotto controllo: il servizio potrebbe dare un senso di potere, per il fatto che, vedendo l’altro bisognoso di me, mi sento a lui superiore.
Per un certo senso è anche vero, ma guai se il servizio viene fatto per questa finalità.
Ed allora, ci domandiamo, come deve essere intesa questa superiorità?
Non è un potere che umilia l’altro, ma quello che lo solleva. Solo chi serve con questo spirito compie un atto di squisita carità.
Gesù, nell’episodio ascoltato, ha fatto un grande gesto di servizio, ha compiuto uno squisito atto di carità.
C’è da notare anche la contropartita: pure l’accettare il servizio è un atto di carità; è dare all’altro la gioia di sentirsi utile.
Ed è proprio con questo spirito che dobbiamo praticare quello che siamo soliti chiamare “volontariato”.
Ogni servizio, ogni volontariato, è un bene per l’altro ed è una gioia per se stessi; l’accettarlo, da parte del servito, è un vantaggio per se ed è un dono fatto all’altro.
Eleviamoci, ora, ad un livello più alto, il servizio che si manifesta nel perdono reciproco. Con lo stesso spirito va fatto anche questo servizio. Lo riprenderemo più avanti.
Iniziamo, ora, a riflettere su alcuni insegnamenti del brano.
“Gesù, sapendo che era giunta la sua ora…”
Chiaramente si tratta dell’ora della sua passione e morte in croce.
Ma c’è anche un altro tipo di morte che la precede e che, poi, continuerà sino alla fine dei tempi: è quella che Gesù celebrata durante l’ultima cena e che proseguirà nei secoli futuri. Si tratta dell’Eucaristia.
Con il segno sacramentale dell’Eucaristia è presente il Cristo morto (corpo offerto e sangue versato), cioè quello che avverrà nel giorno successivo; nel contempo è presente Cristo risorto e vivo (non vi lascio soli, sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo), cosa che avverrà nei tempi successivi, nei tempi della Chiesa, sino alla fine dei secoli.
Ebbene, l’ora di Gesù si riferisce anche all’ultima cena, in cui istituisce l’Eucaristia, il dono testamentario che lascia a tutti noi.
“…Avendo amato i suoi, li amò sino alla fine”.
L’espressione “sino alla fine” ha un triplice significato:“Anche con la morte”: cioè, costi quel che costi; infatti l’amore si misura dal grado di sacrificio disposti a compiere; Gesù lo ha espresso sulla croce.
- “Senza un limite”: l’amore vero non è per un determinato tempo, ma dura per sempre; Gesù lo ha espresso con l'eucaristia.
- “senza una misura”: è per tutti, nessuno escluso, secondo la espressione “la misura dell’amore è quella senza misura”. Gesù lo esprime con il perenne perdono
Durante la cena ci sono due fatti complementari e interdipendenti: Eucaristica e lavanda dei piedi.
Giovanni, a differenza degli altri evangelisti, in luogo della istituzione dell’Eucaristia, racconta la lavanda dei piedi. I due fatti, come detto, sono intimamente connessi: ambedue sono atti di amore.
Poi accenneremo all’Eucaristia, ora riflettiamo sull’episodio della lavanda.
Risulta molto chiaro il carattere e il comportamento di Pietro, bisognoso di conversione. Egli ha un’idea sbagliata sulla superiorità di Gesù e, perciò, è comprensibile la sua espressione: “Tu non mi laverai i piedi in eterno”.
Pensava che un superiore non potesse abbassarsi a tanto: il servizio della lavanda dei piedi, infatti, era riservato agli schiavi, da esercitarsi verso i propri padroni.
Per Pietro, Gesù non poteva e non doveva compiere tale gesto, perché era Maestro e Signore. E’ vero! Gesù lo conferma: “Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché io lo sono”.
Alla risposta di Gesù: “Se non ti laverò i piedi, non avrai parte con me”, Pietro, che mirava a diventare importante nel Regno di Gesù, sempre con il suo carattere di generosità esagerata e fuori luogo, risponde: “Non solo i piedi, ma anche le mani e il capo”.
Non aveva ancora capito nulla!
Ed ecco Gesù a spiegare che se Lui, pur Maestro e Signore, ha lavato i piedi, altrettanto dovranno fare i suoi discepoli: “Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi”.
Anche in altri contesti aveva detto di essere venuto non per farsi servire, ma per servire gli altri. Proprio in questo episodio educativo pratico, dimostra di continuare ad essere coerente alla missione ricevuta dal Padre.
Se, come Dio, non aveva esitato a umiliarsi, facendosi uomo; ora anche come uomo non esita a mettersi in un servizio, umanamente considerato umiliante.
Il gesto, comunque, non è un fatto limitato ad un semplice servizio di carità. Richiama il gesto irrinunciabile di Dio, che è sempre pronto al perdono e che, di fatto, perdona sempre.
Riferito all’argomento su cui riflettiamo, si tratta del lavaggio spirituale, del perdono dei peccati. Infatti, dice “Voi siete mondi, ma non tutti”.
Si tratta del citato perdono indiscusso di Dio, ma anche del continuo perdono che dobbiamo scambiarci fra noi: “Vi ho dato un esempio, perché anche voi facciate come ho fatto io”.
Il perdono non è un atto di debolezza; la misericordia non è quello di un vigliacco; fare il bene al nemico non è un atto di follia.
Quali sono gli ipotetici nemici?
Il primo nemico, con cui ci scontriamo, è dentro di noi: siamo noi stessi. È il così detto “uomo vecchio”, ben radicato dentro di noi, che non vuol cedere il posto a quello nuovo, a quello che vive nel bene.
Abbiamo l’orgoglio: non accettiamo di essere superati da altri che, in qualche modo, diventano rivali e, pertanto in qualche modo, nemici.
Abbiamo l’ambizione e lo spirito di dominio: tendiamo sempre a prevalere, ci fanno ombra coloro che, in qualche modo, creano una presunta concorrenza.
Siamo condizionati dalla cultura corrente: è follia riprendere i rapporti sinceri con persone da cui abbiamo ricevuti dei torti. Torneremmo alla legge del taglione: “Occhio per occhio, dente per dente”.
Invece, è necessario convincersi che il male è vinto con il bene, a condizione che affidiamo a Dio il compito di appianare il tutto. Dobbiamo, sì, vendicarci, ma alla maniera di Dio. La vendetta di Dio non è la punizione, ma la misericordia. Con essa manifesta un amore sempre più grande e profondo, come diciamo in una colletta: “O Dio, che manifesti la tua onnipotenza soprattutto con la grazia del perdono”.
A questo punto potrebbero sorgere delle obbiezioni o delle domande, considerata una espressione pronunciata da Gesù.
Essa dice:“…anche il mio Padre celeste farà con ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello”.
Ci invita a: “perdonare di cuore”, cosa che noi traduciamo con: “perdonare e dimenticare”, a cui fa eco l’altra espressione: “Perdono, ma non dimentico”.
La cosa potrebbe creare perplessità e conflitti di coscienza, non comprendendo il vero significato dei termini.
Senza dire, fra parentesi, della sofferenza di coloro che si sentono rifiutati o non salutati da qualcuno verso i quali non hanno consapevolezza di aver arrecato volontaria offesa. Sono quanto mai spiaciuti di non poter vivere in pace con tutti.
Che fare?
Proviamo a riflettere sull’argomento.
L’espressione “perdonare di cuore” non significa necessariamente “dimenticare”, cosa che sarebbe augurabile.
A questo punto è necessario conoscere la connessione e la differenza che esiste tra alcuni termini: dimenticare, ricordare, fare memoria.
Nella Bibbia appare chiaro che “dimenticare” non significa scordare una cosa, ma “non farne memoria”, o come si dice in altri contesti, non si faccia un “memoriale”.
Riferiamoci ai relativi episodi biblici.
Dio, liberando il popolo dalla schiavitù dell’Egitto, chiederà che ogni anno sia celebrato il “memoriale” del fatto avvenuto.
Gesù, dopo aver istituito l’Eucaristia, dirà “fate questo in memoria di me”, cioè continuate a celebrarla facendone un “memoriale”.
L’Eucaristia, appunto, è il “memoriale” della passione, morte e risurrezione di Gesù. Il fatto è già avvenuto, non si ripete, ma, quello avvenuto a suo tempo, è reso presente oggi, perché, la grazia ottenuta allora, sia fruttuosa per le persone dell’oggi, che lo celebrano come “memoriale”.
Cosa è allora il memoriale?
Nella Bibbia il “memoriale” è un evento trascorso, ma tuttora reso presente e operante, attraverso un rito.
Allora, nel nostro caso, “dimenticare” non significa “scordare”. Il fatto, purtroppo, è rimasto talmente vivo nella memoria che, anche a volerlo, non scompare.
L’importante è non farne un “memoriale”, cioè non devo coltivarlo e renderlo presente in maniera attiva, proprio perché non diventi negativamente operante tuttora.
Per similitudine: è come avere in mano una serpe morta; c’è, ma non può mordermi, né avvelenarmi. Così quel fatto c’è tuttora nella memoria, ma non mi tocca.
Fare memoria, ripeto ancora, significa rendere attuale il fatto, coltivandolo ancora.
Continuiamo con un’altra similitudine.
Una ferita sanguinante non guarirà se le si dà continuamente fastidio.
Mentre, se non le si dà fastidio, col tempo guarirà.
Ricordo bene come sia avvenuta quella offesa, tanto più se la vedo nei segni e nelle conseguenze che mi ha lasciato, però non è più operante.
“Perdonare di cuore”, allora, significa non dar fastidio alla piaga; questa, a sua volta guarita e cioè perdonata, non darà fastidio più di tanto, se non nella memoria di un passato che, però, non è reso attuale e che si vanificherà nel tempo.
Questo è il perdono di cuore. Non è sempre facile esercitarlo. Vi si giunge riflettendo alcune condizioni. Si tratta di scoprirle.
Scoprire con gioia che il Signore ci ama sempre e comunque; scoprire che Dio ci ha amati anche quando eravamo suoi nemici, e, nonostante ciò, è venuto proprio per salvarci; scoprire che Dio ci perdona sempre, non per i nostri meriti, ma per la sua infinita misericordia.
Pertanto ed ovviamente, perdonare non significa non ammettere il male compiuto dal fratello; si tratta però di non stuzzicare la piaga con la continua mormorazione, cosa che porterebbe al farne memoria, cosa che, certamente, non porta al perdono di cuore.
Solo a queste condizioni si scopre che il perdono porta alla più grande gioia. E’ la conclusione del brano ascoltato: “Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica”.
Dio, una volta che perdonato, non ricorda il peccato, perché non c’è più.
Per similitudine, è come accendere la luce in una stanza buia. Del buio rimane l’immagine nella memoria, ma esso non c’è più, perché è entrata la luce.
Si tratta anche di verificare l’espressione: “Perdono, ma non dimentico”.
Altro se si è in attesa di un momento per vendicarsi, e allora non è perdono; altro, invece, se torna solo alla mente, a modo di fastidio. In quest’ultima ipotesi, bisogna rimanere sereni, anche se rimane l’impegno per un progresso.
Infatti, il perdono è a livello di carità teologale, è un atto della volontà, è un purissimo gesto d’amore.
La dimenticanza, invece, è a livello psicologico. Il voler dimenticare ad ogni costo e subito non è realistico. Anzi, il ricordo persistente ma non voluto, rende più grande e meritorio il perdono.
La prova del nove si ha nel come si può rispondere ad eventuali domande.
Vuoi che vada all’inferno?
Vuoi che intervenga Dio nel modo come dispone lui, senza che sia messa in pratica una tua personale vendetta?
Preghi per quella persona e vuoi che si converta, attraverso il mezzo che Dio dispone?
Si tratta anche di verificare l’espressione: “Ho fatto di tutto per parlare e/o incrociare gli sguardi, ma sfugge e si gira dall’altra parte”.
Anche il Signore fa di tutto per non mandarci all’inferno, ma ci lascia liberi e, ammesso che vi cadiamo, non ne è responsabile, continua ad amarci pur senza raggiungerci.
Per noi, in casi analoghi, non rimane che una sofferenza da offrire a Dio, unitamente alla preghiera.
Ad ogni modo, nella pratica è molto difficile perdonare e amare il nemico, come se nulla fosse accaduto.
Pertanto, non sempre il perdono è accompagnato da una ripresa distesa dei rapporti, sino a che, da ambo le parti, non c’è sincerità di cuore. Questo, comunque, non toglie che l’ideale e il traguardo rimangano.
In conclusione.
Non con la vendetta, ma col perdono si trova pace. Perdonando si cresce in umanità. Spesso ci si accorge di aver guadagnato un fratello. Amicizie memorabili sono nate da un perdono concesso.
Matrimoni in crisi sono stati salvati e tornati a risplendere, dopo un perdono difficile.
Ci aiuti il Signore, con il suo Spirito di amore, ad amare come Lui ama!