Anche oggi una rico
rrenza, penseranno forse i nostri lettori? Sì, anche oggi, e nemmeno di poco conto. Si tratta infatti di una leggera ma significativa modifica della Santa Messa effettuata il 13 novembre 1962 e che, da allora, è rimasta invariata. La riforma liturgica post-conciliare, infatti, non l’ha toccata. Ci riferiamo all’inserzione del nome di san Giuseppe nel Canone Romano.
Andiamo però per ordine. Anzitutto, cos’è il Canone Romano?
Si tratta di un’antichissima e veneranda preghiera eucaristica, l’unica presente nella forma straordinaria del rito romano e una delle cinque della forma ordinaria (in quest’ultimo caso, è conosciuta anche come “Preghiera Eucaristica I”). Si tratta, in sostanza, di quell’insieme di preghiere che si fanno dopo il canto del Sanctus e fino alla dossologia finale (Per Ipsum…). E’ il cuore della Santa Messa, che racchiude il solenne momento della Consacrazione.
Purtroppo, ci sia consentito dirlo almeno “en passant”, nelle liturgie cui normalmente partecipa il popolo cattolico il Canone Romano viene scarsamente utilizzato, anche se numerosissime ragioni (il suo uso tradizionale per tanti secoli anni, la sua grande antichità, la bellezza delle espressioni, etc.) suggerirebbero il contrario. Vogliamo sperare che quei sacerdoti che lo cestinano sempre abbiano ragioni serie per farlo, che non siano la lunghezza del testo (pochi minuti in più, in verità) oppure – Dio non voglia! – perplessità teologiche sul testo (1).
Si tratta di un’antichissima e veneranda preghiera eucaristica, l’unica presente nella forma straordinaria del rito romano e una delle cinque della forma ordinaria (in quest’ultimo caso, è conosciuta anche come “Preghiera Eucaristica I”). Si tratta, in sostanza, di quell’insieme di preghiere che si fanno dopo il canto del Sanctus e fino alla dossologia finale (Per Ipsum…). E’ il cuore della Santa Messa, che racchiude il solenne momento della Consacrazione.
Purtroppo, ci sia consentito dirlo almeno “en passant”, nelle liturgie cui normalmente partecipa il popolo cattolico il Canone Romano viene scarsamente utilizzato, anche se numerosissime ragioni (il suo uso tradizionale per tanti secoli anni, la sua grande antichità, la bellezza delle espressioni, etc.) suggerirebbero il contrario. Vogliamo sperare che quei sacerdoti che lo cestinano sempre abbiano ragioni serie per farlo, che non siano la lunghezza del testo (pochi minuti in più, in verità) oppure – Dio non voglia! – perplessità teologiche sul testo (1).
L’inizio del Canone in un Messale del XIII secolo
La modifica compiuta nel 1962 riguarda quella parte del Canone, situata prima della Consacrazione, che è conosciuta come “Communicantes” (4). Si tratta di un testo che risale probabilmente al V secolo (5) e che rimanda chiaramente al legame con la Chiesa trionfante. Si parla infatti di essere in comunione e di venerare la memoria di numerosi santi: la beata Sempre Vergine Maria, san Giuseppe, gli Apostoli (senza l’Iscariota e il suo sostituto san Mattia, ma con san Paolo), e dodici martiri, di cui cinque Papi (san Lino, san Cleto, san Clemente, san Sisto, san Cornelio), un vescovo (san Cipriano), un diacono (san Lorenzo), un martire non facilmente identificabile (san Crisogono), due fratelli romani (santi Giovanni e Paolo) e due medici (santi Cosma e Damiano). L’orazione chiede al Padre che, per i loro meriti e le loro preghiere, ci siano sempre donati aiuto e protezione. L’elenco, senza san Giuseppe (inizialmente non presente), rimase sostanzialmente stabile – salvo consuetudini locali – a partire dal pontificato di san Gregorio Magno (+ 604), che diede gli ultimi ritocchi.
Passarono poi oltre tredici secoli prima che un Pontefice toccasse nuovamente i nomi del Communicantes: e fu Giovanni XXIII, il quale – gran devoto di san Giuseppe – di sua iniziativa (motu proprio) decise d’inserire in questo elenco anche colui che fu il padre putativo del Signore.
In verità, occorre dire che un simile progetto era già stato tentato in precedenza durante il pontificato di Leone XIII (1878-1903), ma senza successo (pur se l’approvazione sembrò essere molto vicina)(6).

Al centro Giovanni XXIII, che volle il provvedimento su san Giuseppe; e a destra mons. Dante, che firmò il provvedimento quale segretario della Congregazione dei Riti
Detto questo, passiamo a fornire ai nostri lettori una nostra modesta traduzione (cui segue l’originale latino) del decreto “Novis hisce temporibus” della Sacra Congregazione dei Riti del 13 novembre 1962, col quale si prescriveva (a partire dall’8 dicembre successivo) di inserire il nome di san Giuseppe nel Canone. Interessante leggerne la breve spiegazione e genersi del provvedimento.
DECRETO
Sull’inserimento del nome di san Giuseppe nel Canone della Messa
Nei tempi recenti i Sommi Pontefici non persero occasione di rafforzare, per mezzo di riti più solenni, il culto di san Giuseppe, inclito Sposo della Beata Vergine Maria. Più di tutti si segnala però il papa Pio IX il quale, approvando i voti del Concilio Vaticano I, l’8 dicembre dell’anno 1870 designò il castissimo Sposo della Vergine Madre di Dio, quale celeste Patrono per la Chiesa universale. Seguendo le orme dei suoi predecessori, il santissimo signor nostro il papa Giovanni XXIII, designò lo stesso san Giuseppe non solamente quale “salutare protettore” del Concilio Vaticano II – come egli stesso annunciò – ma di propria iniziativa decretò pure che il Suo nome fosse recitato nel Canone della Messa, come gradito ricordo e frutto dello stesso Concilio.
Lo scorso 13 novembre attraverso il suo cardinale di Stato rivelò pubblicamente questa decisione ai Padri conciliari riuniti nella basilica Vaticana e ordinò di mettere in pratica quanto prescritto a partire dal giorno ottavo del prossimo mese di dicembre, cioè a partire dalla festa dell’Immacolata Concezione della Beatissima Vergine Maria.
Perciò questa Sacra Congregazione dei Riti, seguendo la volontà del Sommo Pontefice, stabilisce che nel Canone dopo le parole: “Communicantes … Domini nostri Iesu Christi” [“In comunione...di nostro Signore Gesù Cristo”, ndr], siano aggiunte queste: “sed et beati Ioseph eiusdem Virginis Sponsi” [“ma pure di san Giuseppe, sposo della stessa Vergine”, ndr] e poi si prosegua “et beatorum Apostolorum ac Martyrum tuorum…”["e dei Tuoi beati Apostoli e Martiri...”, ndr]
Decise pure questa Sacra Congregazione che quanto così prescritto sia osservato pure nei giorni in cui nel Messale è prescritta una formula peculiare del “Communicantes” [si fa riferimento a quei giorni - normalmente Natale e ottava, Epifania, Pasqua e ottava, Ascensione, Pentecoste e ottava - in cui si usa una formula leggermente modificata del Communicantes, ndr]. Nonostante qualsiasi disposizione in contrario, anche se degna di speciale menzione.
13 novembre 1962
Lo scorso 13 novembre attraverso il suo cardinale di Stato rivelò pubblicamente questa decisione ai Padri conciliari riuniti nella basilica Vaticana e ordinò di mettere in pratica quanto prescritto a partire dal giorno ottavo del prossimo mese di dicembre, cioè a partire dalla festa dell’Immacolata Concezione della Beatissima Vergine Maria.
Perciò questa Sacra Congregazione dei Riti, seguendo la volontà del Sommo Pontefice, stabilisce che nel Canone dopo le parole: “Communicantes … Domini nostri Iesu Christi” [“In comunione...di nostro Signore Gesù Cristo”, ndr], siano aggiunte queste: “sed et beati Ioseph eiusdem Virginis Sponsi” [“ma pure di san Giuseppe, sposo della stessa Vergine”, ndr] e poi si prosegua “et beatorum Apostolorum ac Martyrum tuorum…”["e dei Tuoi beati Apostoli e Martiri...”, ndr]
Decise pure questa Sacra Congregazione che quanto così prescritto sia osservato pure nei giorni in cui nel Messale è prescritta una formula peculiare del “Communicantes” [si fa riferimento a quei giorni - normalmente Natale e ottava, Epifania, Pasqua e ottava, Ascensione, Pentecoste e ottava - in cui si usa una formula leggermente modificata del Communicantes, ndr]. Nonostante qualsiasi disposizione in contrario, anche se degna di speciale menzione.
13 novembre 1962
Card. A. Larraona, Prefetto
Enrico Dante, arcivescovo di Carpasia, segretario
Enrico Dante, arcivescovo di Carpasia, segretario
DECRETUM
De S. Ioseph nomine Canoni Missae inserendo
Novis hisce temporibus Summi Pontifices non unam nacti sunt occasionem ut ritibus sollemnioribus cultum S. Ioseph, inclyti Beatae Mariae Virginis Sponsi, augerent. Prae omnibus autem Pius Papa IX eminet, qui votis Concilii Vaticani I annuens, Ecclesiae universae castissimum Deiparae Virginis Sponsum, die octava Decembris anni 1870, caelestem Patronum designavit. Praedecessorum suorum vestigia persequens Sanctissimus D. N. Ioannes Papa XXIII eundem Sanctum Ioseph non tantum Concilii Vaticani I I , quod Ipse indixit, « Praestitem salutarem » constituit, sed motu proprio etiam decrevit Eius nomen, tanquam optatum mnemosynon et fructus ipsius Concilii, ut in Canone Missae recitaretur.
Quod consilium die 13 Novembris proxima superiori per Cardinalem suum a Status secretis, Concilii Patribus in Vaticana Basilica congregatis publice aperuit iussitque ut praescriptum inde a die octava proximi mensis Decembris, in festo scilicet Immaculatae Conceptionis Beatissimae Virginis Mariae, in praxim deduceretur.
Quapropter haec S. Rituum Congregatio, voluntatem Summi Pontificis prosecuta, decernit ut infra Actionem post verba: « Communicantes … Domini nostri Iesu Christi », haec addantur: « sed et beati Ioseph eiusdem Virginis Sponsi » et deinde prosequatur : « et beatorum Apostolorum ac Martyrum tuorum … ».
Statuit etiam ipsa S. Congregatio ut huiusmodi praescriptum diebus quoque observetur in quibus peculiaris formula « Communicantes » in Missali praescribitur. Contrariis non obstantibus quibuscumque, etiam speciali mentione dignis.
Die 13 Novembris 1962.
A. Card. LARRAONA, Praefectus
Henricus Dante, Archiep. Carpasien., a Secretis
De S. Ioseph nomine Canoni Missae inserendo
Novis hisce temporibus Summi Pontifices non unam nacti sunt occasionem ut ritibus sollemnioribus cultum S. Ioseph, inclyti Beatae Mariae Virginis Sponsi, augerent. Prae omnibus autem Pius Papa IX eminet, qui votis Concilii Vaticani I annuens, Ecclesiae universae castissimum Deiparae Virginis Sponsum, die octava Decembris anni 1870, caelestem Patronum designavit. Praedecessorum suorum vestigia persequens Sanctissimus D. N. Ioannes Papa XXIII eundem Sanctum Ioseph non tantum Concilii Vaticani I I , quod Ipse indixit, « Praestitem salutarem » constituit, sed motu proprio etiam decrevit Eius nomen, tanquam optatum mnemosynon et fructus ipsius Concilii, ut in Canone Missae recitaretur.
Quod consilium die 13 Novembris proxima superiori per Cardinalem suum a Status secretis, Concilii Patribus in Vaticana Basilica congregatis publice aperuit iussitque ut praescriptum inde a die octava proximi mensis Decembris, in festo scilicet Immaculatae Conceptionis Beatissimae Virginis Mariae, in praxim deduceretur.
Quapropter haec S. Rituum Congregatio, voluntatem Summi Pontificis prosecuta, decernit ut infra Actionem post verba: « Communicantes … Domini nostri Iesu Christi », haec addantur: « sed et beati Ioseph eiusdem Virginis Sponsi » et deinde prosequatur : « et beatorum Apostolorum ac Martyrum tuorum … ».
Statuit etiam ipsa S. Congregatio ut huiusmodi praescriptum diebus quoque observetur in quibus peculiaris formula « Communicantes » in Missali praescribitur. Contrariis non obstantibus quibuscumque, etiam speciali mentione dignis.
Die 13 Novembris 1962.
A. Card. LARRAONA, Praefectus
Henricus Dante, Archiep. Carpasien., a Secretis
(1) Perplessità teologiche non possono esservi, dato che il Concilio di Trento (1545-1562) affermò chiaramente come “Ecclesia Catholica, ut digne reverenterque offerretur ac perciperetur, sacrum canonem multis ante saeculis instituit, ita ab omni errore purum (can.6), ut nihil in eo contineatur, quod non maxime sanctitatem ac pietatem quandam redoleat mentesque offerentium in Deum erigat. Is enim constat cum ex ipsis Domini verbis, tum ex Apostolorum traditionibus ac sanctorum quoque Pontificum piis institutionibus.” (“la Chiesa Cattolica, perché esso potesse essere offerto e ricevuto degnamente e con riverenza, ha stabilito da molti secoli il sacro canone, talmente puro da ogni errore, da non contenere niente, che non profumi estremamente di santità e di pietà, e non innalzi a Dio la mente di quelli che lo offrono, formato com’è dalle parole stesse del Signore, da quanto hanno trasmesso gli apostoli e istituito piamente anche i santi pontefici.”) (cfr. DS 1745) Ancora più solennemente, quel Concilio giunse a dichiare che “Si quis dixerit, canonem Missae errores continere ideoque abrogandum esse: an. s.” (“Se qualcuno dirà che il Canone della Messa contiene degli errori, e che, quindi, bisogna abolirlo, sia anatema.”)(cfr. DS 1756).
(2) Cfr. J. A. Jungmann S.J., Missarum Sollemnia. Origini, liturgia, storia e teologia della Messa romana, Torino, Marietti, 1953 (II ed.), pars I, p. 45.
(3) Cfr. Jungmann, op. cit., pars II, p. 85.
(4) A motivo della prima parola di questa parte, che inizia con le parole “Communicantes, et memoriam venerantes” (lett. “Noi che siamo in comunione e veneriamo la memoria”).
(5) Cfr. Jungmann, op. cit., pars I, p. 48. Alcune modifiche minori (aggiunta di nomi, spostamento di parti) venne probabilmente attuata da san Gregorio Magno (cfr. Jungmann, op. cit., pars II, p. 136).
(6) Cfr. Jungmann, op. cit., pars I, p. 142. Il progetto ottocentesco prevedeva addirittura cambiamenti superiori, perché si progettava d’inserire il nome di san Giuseppe non solo nel Communicantes, ma pure nel Confiteor (Confesso a Dio Onnipotente…), nel Suscipe Sancta Trinitas (preghiera che, nella forma straordinaria, viene dal celebrante recitata prima dell’Orate fratres – Pregate, fratelli, perché il mio…) e nel Libera nos (la preghiera che nella Messa segue il Padre nostro).
(7) Il beato Pio IX, aveva proclamato san Giuseppe “Patrono della Chiesa Universale” (cfr. decreto SRC “Quemadmodum Deus Iosephum” dell’8 dicembre 1870, in ASS 06 [1870-71], pp. 193-194 e connessa lettera agli Ordinari, ivi, pp. 194-196)
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