Documenti ecclesiali
"Vieni al Padre, fonte di Misericordia"
26 aprile 2024 * B. Vergine
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 Capitolo VIII

SANTUARI E PELLEGRINAGGI

261. Il santuario, sia esso dedicato alla santissima Trinità, a Cristo Signore, alla beata Vergine, agli Angeli, ai Santi o ai Beati, è forse il luogo in cui i rapporti tra Liturgia e pietà popolare sono più frequenti ed evidenti. "Nei santuari, si offrano più abbondantemente ai fedeli i mezzi della salvezza, annunciando con zelo la Parola di Dio, favorendo convenientemente la vita liturgica, in specie con l’Eucaristia e la celebrazione della Penitenza, nonché coltivando forme approvate di pietà popolare".

In stretto rapporto con il santuario è il pellegrinaggio, anch’esso espressione diffusa e caratteristica della pietà popolare.

Nel nostro tempo l’interesse per i santuari e la partecipazione ai pellegrinaggi, lungi dall’essersi affievoliti a causa del fenomeno del secolarismo, incontrano un grande favore presso i fedeli.

Sembra pertanto conveniente, in conformità con gli scopi di questo Documento, offrire alcune indicazioni perché nell’attività pastorale dei santuari e nello svolgimento dei pellegrinaggi sia instaurato e favorito un corretto rapporto tra azioni liturgiche e pii esercizi.

Il Santuario

Alcuni principi

262. Secondo la rivelazione cristiana il supremo e definitivo santuario è Cristo risorto (cf. Gv 2, 18-21; Ap 21, 22), attorno al quale si raduna e organizza la comunità dei discepoli, che a sua volta è la nuova casa del Signore (cf. 1 Pt 2, 5; Ef 2, 19-22).

Dal punto di vista teologico il santuario, che non di rado è sorto da un moto di pietà popolare, è un segno della presenza attiva, salvifica del Signore nella storia e un luogo di sosta dove il popolo di Dio, pellegrinante per le vie del mondo verso la Città futura (cf. Eb 13, 14), riprende vigore per proseguire il cammino.

  1. Il santuario infatti, come le chiese, ha una grande valenza simbolica: è icona della "dimora di Dio con gli uomini" (Ap 21, 3) e rinvia al "mistero del Tempio" che si è compiuto nel corpo di Cristo (cf. Gv 1, 14; 2, 21), nella comunità ecclesiale (cf. 1 Pt 2, 5) e nei singoli fedeli (cf. 1 Cor 3, 16-17; 6, 19; 2 Cor 6, 16).

Agli occhi della fede i santuari sono:

- per la loro origine, talvolta, memoria di un evento ritenuto straordinario che ha determinato il sorgere di manifestazioni di duratura devozione, o testimonianza della pietà e della riconoscenza di un popolo per i benefici ricevuti;

- per i frequenti segni di misericordia che vi si manifestano, luoghi privilegiati dell’assistenza divina e dell’intercessione della beata Vergine, dei Santi o dei Beati;

- per la posizione, spesso elevata e solitaria, per la bellezza ora austera ora amena, dei luoghi in cui sorgono, segno dell’armonia del cosmo e riflesso della divina bellezza;

- per la predicazione che vi risuona, richiamo efficace alla conversione, invito a vivere nella carità e a incrementare le opere di misericordia, esortazione a condurre una vita improntata alla sequela di Cristo;

- per la vita sacramentale che vi si svolge, luoghi di consolidamento nella fede e di crescita nella grazia, di rifugio e di speranza nell’afflizione;

- per l'aspetto del messaggio evangelico che esprimono, peculiare interpretazione e quasi prolungamento della Parola;

- per l’orientamento escatologico, monito a coltivare il senso della trascendenza e a dirigere i passi, attraverso le strade della vita temporale, verso il santuario del cielo (cf. Eb 9, 11; Ap 21, 3).

"Sempre e dappertutto, i santuari cristiani sono stati o hanno voluto essere segni di Dio, della sua irruzione nella storia. Ognuno di essi è un memoriale del mistero dell’Incarnazione e della Redenzione".

Riconoscimento canonico

264. "Per santuario si intendono una chiesa o un altro luogo sacro, a cui, per speciali motivi di pietà, con l’approvazione dell’Ordinario del luogo, i fedeli fanno pellegrinaggio in grande numero".

Condizione previa perché un luogo sacro sia canonicamente considerato santuario diocesano, nazionale o internazionale è l’approvazione rispettivamente del Vescovo diocesano, della Conferenza dei Vescovi, della Santa Sede. L’approvazione canonica costituisce un riconoscimento ufficiale del luogo sacro e della sua specifica finalità, che è quella di accogliere i pellegrinaggi del popolo di Dio che vi si reca per adorare il Padre, professare la fede, riconciliarsi con Dio, con la Chiesa e con i fratelli e implorare l’intercessione della Madre del Signore o di un Santo.

Non si deve dimenticare tuttavia che molti altri luoghi di culto, spesso umili – chiesette nelle città o nelle campagne – svolgono in ambito locale, pur senza riconoscimento canonico, una funzione simile a quella dei santuari. Anche essi fanno parte della "geografia" della fede e della pietà del popolo di Dio,[379] di una comunità che dimora in un determinato territorio e che, nella fede, è in cammino verso la Gerusalemme celeste (cf. Ap 21).

Il santuario luogo di celebrazioni cultuali

265. Il santuario ha una eminente funzione cultuale. I fedeli vi si recano soprattutto per partecipare alle celebrazioni liturgiche e ai pii esercizi che ivi si svolgono. Questa riconosciuta funzione cultuale del santuario non deve tuttavia oscurare nella coscienza dei fedeli l’insegnamento evangelico secondo cui il luogo non è determinante per il genuino culto al Signore (cf. Gv 4, 20-24).

Valore esemplare

266. I  responsabili dei santuari facciano sì che la Liturgia che si svolge in essi sia esemplare per la qualità delle celebrazioni: "Tra le funzioni riconosciute ai santuari, anche dal Codice di diritto canonico, è l’incremento della Liturgia. Esso non va inteso tuttavia come aumento numerico delle celebrazioni, ma come miglioramento della qualità delle medesime. I rettori dei santuari sono ben consapevoli della loro responsabilità in ordine al conseguimento di questo scopo. Comprendono infatti che i fedeli, che giungono al santuario dai luoghi più svariati, devono ripartire confortati nello spirito ed edificati dalle celebrazioni liturgiche che in esso si compiono: per la loro capacità di comunicare il messaggio salvifico, per la nobile semplicità delle espressioni rituali, per l’osservanza fedele delle norme liturgiche. Sanno inoltre che gli effetti di un’azione liturgica esemplare non si limitano alla celebrazione compiuta nel santuario: i sacerdoti e i fedeli pellegrini sono portati infatti a trasferire nei luoghi di provenienza le esperienze cultuali valide vissute nel santuario".[380]

La celebrazione della Penitenza

267. Per molti fedeli la visita al santuario costituisce un’occasione propizia, spesso ricercata, per accostarsi al sacramento della Penitenza. È necessario pertanto che siano curati i vari elementi che concorrono alla celebrazione del sacramento:

- il luogo della celebrazione: oltre ai confessionali tradizionali posti in chiesa, nei santuari molto frequentati è auspicabile che ci sia un luogo riservato alla celebrazione della Penitenza, che si presti anche a momenti di preparazione comunitaria e a celebrazioni penitenziali, e nel rispetto delle norme canoniche e della riservatezza richiesta dalla confessione, offra al penitente l’agio di un dialogo con il sacerdote confessore.

- La preparazione al sacramento: in non pochi casi i fedeli hanno bisogno di essere aiutati a compiere gli atti che sono parte del sacramento, soprattutto a orientare il cuore a Dio con una sincera conversione, "poiché da essa dipende la verità della Penitenza".[381] Si prevedano pertanto incontri di preparazione, quali sono proposti nell’Ordo Paenitentiae,[382] in cui, attraverso l’ascolto e la meditazione della Parola di Dio i fedeli siano aiutati a celebrare fruttuosamente il sacramento; o almeno si pongano a disposizione dei penitenti sussidi idonei, che li guidino non solo a preparare la confessione dei peccati, ma soprattutto a concepire un sincero pentimento.

- La scelta dell’azione rituale, che conduca i fedeli a scoprire la natura ecclesiale della Penitenza; in questa luce la celebrazione del Rito per la riconciliazione di più penitenti con la confessione e l’assoluzione individuale (seconda forma), debitamente organizzata e preparata, non dovrebbe costituire un’eccezione, ma un fatto normale, previsto soprattutto per alcuni tempi e ricorrenze dell’Anno liturgico. Infatti "la celebrazione comune manifesta più chiaramente la natura ecclesiale della penitenza".[383] La riconciliazione senza confessione individuale integra e con assoluzione generale è una forma del tutto eccezionale e straordinaria, non interscambiabile con le due forme ordinarie e non giustificabile per la sola ragione di una grande affluenza di penitenti, quale accade in occasione di feste e pellegrinaggi.

La celebrazione dell’Eucaristia

268. "La celebrazione dell’Eucaristia è il culmine e quasi il fulcro di tutta l’azione pastorale dei santuari" ad essa pertanto occorre prestare la massima attenzione, perché risulti esemplare nello svolgimento rituale e conduca i fedeli a un incontro profondo con Cristo.

Spesso accade che più gruppi vogliano celebrare l’Eucaristia nello stesso tempo, ma separatamente. Ciò non è coerente con la dimensione ecclesiale del mistero eucaristico, dal momento che in tal modo la celebrazione dell’Eucaristia, invece di essere momento di unità e di fraternità, diviene espressione di un particolarismo che non riflette il senso di comunione e di universalità della Chiesa.

Una semplice riflessione sulla natura della celebrazione dell’Eucaristia, "sacramento di pietà, segno di unità, vincolo di carità",[386] dovrebbe persuadere i sacerdoti che guidano i pellegrinaggi a favorire la riunione dei vari gruppi in una medesima concelebrazione, debitamente articolata e attenta – se è il caso – alla diversità delle lingue; in occasione di riunioni di fedeli di varie nazionalità è opportuno che siano cantati, in lingua latina e nelle melodie più facili, almeno le parti dell’Ordinario della Messa, specialmente il simbolo della fede e la preghiera del Signore. Una tale celebrazione darebbe un’immagine genuina della natura della Chiesa e dell’Eucaristia, e costituirebbe per i pellegrini occasione di mutua accoglienza e di reciproco arricchimento.

La celebrazione dell’Unzione degli infermi

269. L’Ordo unctionis infirmorum eorumque pastoralis curae prevede la celebrazione comunitaria del sacramento dell’Unzione nei santuari, soprattutto in occasione di pellegrinaggi di infermi.[388] Ciò è perfettamente consono alla natura del sacramento e alla funzione del santuario: è giusto che ove l’implorazione della misericordia del Signore è più intensa, là divenga più sollecita l’azione materna della Chiesa in favore dei suoi figli che per malattia o vecchiaia cominciano a trovarsi in pericolo.

Il rito si svolgerà secondo le indicazioni dell’Ordo, per cui "se vi sono più sacerdoti, ognuno impone le mani e amministra l’unzione con la relativa formula ai singoli infermi di un gruppo; le orazioni invece vengono recitate dal celebrante principale".

La celebrazione di altri sacramenti

270. Nei santuari, oltre all’Eucaristia, alla Penitenza e all’Unzione comunitaria degli infermi, si celebrano anche, più o meno frequentemente, altri sacramenti. Ciò esige che i responsabili dei santuari, oltre all’osservanza delle disposizioni impartite dal Vescovo diocesano:

- ricerchino una sincera intesa e una proficua collaborazione tra santuario e comunità parrocchiale;

- considerino attentamente la natura di ogni sacramento; ad esempio: i sacramenti dell’iniziazione cristiana, che richiedono una prolungata preparazione e operano il radicamento del battezzato nella comunità ecclesiale, dovrebbero di norma essere celebrati nella parrocchia;

- si assicurino che la celebrazione di ogni sacramento sia stata preceduta da una adeguata preparazione; i responsabili di un santuario non devono procedere alla celebrazione del sacramento del matrimonio se non risulta il permesso concesso dall’Ordinario o dal parroco;[391]

- valutino serenamente le molteplici e imprevedibili situazioni, per le quali non è possibile stabilire a priori norme rigide.

La celebrazione della Liturgia delle Ore

271. La sosta in un santuario, tempo e luogo favorevoli per la preghiera personale e comunitaria, costituisce un’occasione privilegiata per aiutare i fedeli ad apprezzare la bellezza della Liturgia delle Ore e ad associarsi alla lode quotidiana che, nel corso del suo pellegrinaggio terreno, la Chiesa eleva al Padre, per Cristo, nello Spirito Santo.[392]

I rettori dei santuari, pertanto, inseriscano opportunamente celebrazioni degne e festive delle Ore, specialmente delle Lodi e dei Vespri, nei programmi indicati ai pellegrini, suggerendo talora in tutto o in parte, anche un Ufficio votivo connesso col santuario. [393]

Lungo il pellegrinaggio e nelle tappe di avvicinamento alla meta, i sacerdoti che accompagnano i fedeli non manchino di proporre ad essi la preghiera di almeno qualche Ora dell’Ufficio Divino.

La celebrazione dei sacramentali

272. Fin dall’antichità esiste nella Chiesa l’uso di benedire persone, luoghi, cibi, oggetti. Nel nostro tempo tuttavia la prassi delle benedizioni, a motivo di usi inveterati e di concezioni profondamente radicate in alcune categorie di fedeli, presenta aspetti delicati. Ma essa costituisce una questione pastorale abbastanza marcata nei santuari, dove i fedeli, accorsi per implorare la grazia e l’aiuto del Signore, l’intercessione della Madre della misericordia o dei Santi, chiedono spesso ai sacerdoti le benedizioni più varie. Per un corretto svolgimento della pastorale delle benedizioni, i rettori dei santuari dovranno:

- procedere con pazienza all’applicazione progressiva dei principi stabiliti dal Rituale Romanum,[394] i quali perseguono fondamentalmente lo scopo che la benedizione costituisca un’espressione genuina di fede in Dio largitore di ogni bene;

- dare il giusto rilievo – per quanto possibile - ai due momenti che costituiscono la "struttura tipica" di ogni benedizione: la proclamazione della Parola di Dio, che dà significato al segno sacro, e la preghiera con cui la Chiesa loda Dio e implora i suoi benefici,[395] come richiamato anche dal segno di croce tracciato dal ministro ordinato;

- preferire la celebrazione comunitaria a quella individuale o privata ed impegnare i fedeli ad una partecipazione attiva e consapevole.[396]

273. È pertanto auspicabile che nei periodi di maggiore affluenza di pellegrini i rettori dei santuari predispongano, durante la giornata, particolari momenti per la celebrazione delle benedizioni;[397] in essi, attraverso un’azione rituale caratterizzata da verità e da dignità, i fedeli comprenderanno il senso genuino della benedizione e l’impegno ad osservare i comandamenti di Dio, che la "richiesta di una benedizione" comporta.[398]

Il santuario luogo di evangelizzazione

274. Innumerevoli centri di comunicazione sociale quotidianamente divulgano notizie e messaggi di ogni genere; il santuario è invece il luogo in cui costantemente viene proclamato un messaggio di vita: il "Vangelo di Dio" (Mc 1, 14; Rm 1, 1) o "Vangelo di Gesù Cristo" (Mc 1, 1), cioè la buona notizia che proviene da Dio ed ha come oggetto Cristo Gesù: egli è il Salvatore di tutte le genti, nella cui morte e risurrezione il cielo e la terra si sono riconciliati per sempre.

Al fedele che si reca al santuario devono essere proposti, direttamente o indirettamente, i punti fondamentali del messaggio evangelico: il discorso programmatico della montagna, l’annuncio gioioso della bontà e paternità di Dio nonché della sua amorosa provvidenza, il comandamento dell’amore, il significato salvifico della croce, il destino trascendente della vita umana.

Molti santuari sono effettivamente luogo di diffusione del Vangelo: nelle forme più svariate il messaggio di Cristo è trasmesso ai fedeli come monito alla conversione, invito alla sequela, esortazione alla perseveranza, richiamo alle esigenze della giustizia, parola di consolazione e di pace.

Non va dimenticata la cooperazione che molti santuari, sostenendo in vario modo le missioni "ad gentes",  prestano all’opera evangelizzatrice della Chiesa.

Il santuario luogo della carità

275. La funzione esemplare del santuario si esplica anche nell’esercizio della carità. Ogni santuario infatti, in quanto celebra la presenza misericordiosa del Signore, l’esemplarità e l’intercessione della Vergine e dei Santi, "è per se stesso un focolare che irradia la luce e il calore della carità".[399] Nell’accezione comune e nel linguaggio degli umili "la carità è l’amore espresso nel nome di Dio".[400] Essa trova le sue concrete manifestazioni nell’accoglienza e nella misericordia, nella solidarietà e nella condivisione, nell’aiuto e nel dono.

Per la generosità dei fedeli e lo zelo dei responsabili, molti santuari sono luogo di mediazione tra l’amore di Dio e la carità fraterna da una parte e i bisogni dell’uomo dall’altra. In essi fiorisce la carità di Cristo e sembrano prolungarsi la sollecitudine materna della Vergine e la solidale vicinanza dei Santi, che si esprimono, per esempio:

- nella creazione e nel sostegno permanente di centri di assistenza sociale, quali ospedali, istituti per l’educazione di fanciulli bisognosi e case per persone anziane;

- "nell’accoglienza e ospitalità verso i pellegrini, soprattutto i più poveri, cui sono offerti, nella misura del possibile, spazi e strutture per un momento di ristoro;

- nella sollecitudine e premura verso i pellegrini anziani, infermi, portatori di handicap, ai quali si riservano le attenzioni più delicate, i posti migliori nei santuari; per essi si organizzano, negli orari più adatti, celebrazioni che, senza isolarli dagli altri fedeli, tengono conto della loro peculiare condizione; per essi si instaura una fattiva collaborazione con le associazioni che generosamente curano il loro trasporto;  

- nella disponibilità e nel servizio offerto a tutti coloro che accedono al santuario: fedeli colti e incolti, poveri e ricchi, connazionali e stranieri".[401]

Il santuario luogo di cultura

276. Spesso il santuario è già, in se stesso, un "bene culturale": in esso infatti si riscontrano, quasi raccolte in sintesi, numerose manifestazioni della cultura delle popolazioni circostanti: testimonianze storiche e artistiche, caratteristici moduli linguistici e letterari, tipiche espressioni musicali.

Sotto questo profilo il santuario costituisce non di rado un valido punto di riferimento per definire l’identità culturale di un popolo. E allorché nel santuario si attua una armoniosa sintesi tra natura e grazia, pietà ed arte, esso può proporsi come espressione della via pulchritudinis per la contemplazione della bellezza di Dio, del mistero della Tota pulchra, della meravigliosa vicenda dei Santi.

Inoltre si va sempre più affermando la tendenza a fare del santuario uno specifico "centro di cultura", un luogo in cui si organizzano corsi di studio e conferenze, dove si assumono interessanti iniziative editoriali e si promuovono sacre rappresentazioni, concerti, mostre e altre manifestazioni artistiche e letterarie.

L’attività culturale del santuario si configura come una iniziativa collaterale per la promozione umana; essa si affianca utilmente alla sua funzione primaria di luogo per il culto divino, per l’opera di evangelizzazione, per l’esercizio della carità. In tal senso, i responsabili dei santuari veglieranno affinché la dimensione culturale non abbia il sopravvento su quella cultuale.

Il santuario luogo di impegno ecumenico

277. Il santuario, in quanto luogo di annuncio della Parola, di invito alla conversione, di intercessione, di intensa vita liturgica, di esercizio della carità è un "bene spirituale" condivisibile, in una certa misura e secondo le indicazioni del Direttorio ecumenico,[402] con i fratelli e le sorelle che non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica.

In questa luce il santuario deve essere un luogo di impegno ecumenico, sensibile alla grave e urgente istanza dell’unità di tutti i credenti in Cristo, unico Signore e Salvatore.

Pertanto i rettori dei santuari aiutino i pellegrini a prendere coscienza di quell’"ecumenismo spirituale", di cui parlano il decreto conciliare Unitatis redintegratio[403] e il Direttorio ecumenico,[404] per il quale i cristiani devono avere sempre presente lo scopo dell’unità nelle preghiere, nella celebrazione eucaristica, nella vita quotidiana.[405] Perciò nei santuari dovrebbe essere intensificata la preghiera a tal fine in alcuni periodi particolari come la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani e nei giorni tra l’Ascensione del Signore e la Pentecoste, nei quali si ricorda la comunità di Gerusalemme riunita in preghiera e in attesa per la venuta dello Spirito Santo, che la confermerà nell’unità e nella sua missione universale.[406]

Inoltre, i rettori dei santuari promuovano, ogni qualvolta se ne offra l’opportunità, incontri di preghiera fra i cristiani delle varie confessioni; in tali incontri, preparati con cura e in collaborazione, dovrà primeggiare la Parola di Dio e dovranno essere valorizzate le espressioni di preghiera proprie delle varie confessioni cristiane.

Secondo le circostanze, sarà talvolta opportuno estendere eccezionalmente l’attenzione anche ai membri delle altre religioni: vi sono infatti santuari frequentati da non cristiani, che vi accorrono attratti dai valori propri del cristianesimo. Tutti gli atti di culto che si svolgono nei santuari debbono essere chiaramente coerenti con l’identità cattolica, senza mai nascondere ciò che appartiene alla fede della Chiesa.

278. L’impegno ecumenico assume aspetti particolari quando si tratta di santuari dedicati alla beata Vergine. Sul piano soprannaturale infatti santa Maria, che ha dato alla luce il Salvatore di tutte le genti ed è stata la sua prima e perfetta discepola, svolge certamente una missione di concordia e di unità nei confronti dei discepoli di suo Figlio, per cui la Chiesa cattolica la saluta quale Mater unitatis;[407] sul piano storico, invece, la figura di Maria, a causa delle diverse interpretazioni del suo ruolo nella storia della salvezza, è stata spesso motivo di contrasto e di divisione fra i cristiani. Si deve tuttavia riconoscere che, sul versante mariano, il dialogo ecumenico sta oggi dando i suoi frutti.

Il pellegrinaggio

279. Il pellegrinaggio, esperienza religiosa universale,[408] è un’espressione tipica della pietà popolare, strettamente connessa con il santuario, della cui vita costituisce una componente indispensabile:[409] il pellegrino ha bisogno del santuario e il santuario del pellegrino.

Pellegrinaggi biblici

280. Nella Bibbia risaltano, per il loro simbolismo religioso, i pellegrinaggi dei patriarchi Abramo, Isacco, Giacobbe a Sichem (cf. Gn 12, 6-7; 33, 18-20), Betel (cf. Gn 28, 10-22; 35, 1-15) e Mamre (Gn 13, 18; 18, 1-15), dove Dio si manifestò ad essi e si impegnò a dare la "terra promessa".

Per le tribù uscite dall’Egitto, il Sinai, il monte della teofania a Mosè (cf. Es 19-20), divenne un luogo sacro e l’intera traversata del deserto sinaitico ebbe per esse il senso di un lungo viaggio verso la terra sacra della promessa: viaggio benedetto da Dio, che, nell’Arca (cf. Nm 10, 33-36) e nel Tabernacolo (cf. 2Sam 7,6), simboli della sua presenza, cammina con il suo popolo, lo guida e lo protegge per mezzo della Nube (cf. Nm 9, 15-23).

Gerusalemme, divenuta sede del Tempio e dell’Arca, passò ad essere la città-santuario degli Ebrei, la meta per eccellenza del desiderato "santo viaggio" (Sal 84, 6), in cui il pellegrino avanza "in mezzo ai canti di gioia di una moltitudine in festa" (Sal 42, 5) fino "alla casa di Dio", per comparire alla sua presenza (cf. Sal 84, 6-8).[410]

Tre volte all’anno i maschi di Israele dovevano "presentarsi al Signore" (cf. Es 23, 17), vale a dire recarsi al Tempio di Gerusalemme: ciò diede luogo a tre pellegrinaggi in occasione delle feste degli Azzimi (la Pasqua), delle Settimane (Pentecoste) e delle Tende; e ogni pia famiglia israelita si recava, come faceva la famiglia di Gesù (cf. Lc 2, 41), nella città santa per la celebrazione annuale della Pasqua. Durante la vita pubblica, anche Gesù si reca abitualmente pellegrino a Gerusalemme (cf. Gv 11, 55-56); è noto peraltro che l’evangelista Luca presenta l’azione salvifica di Gesù come un misterioso pellegrinaggio (cf. Lc 9, 51—19, 45), la cui meta intenzionale è Gerusalemme, la città messianica, il luogo del suo sacrificio pasquale e del suo esodo al Padre: "Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo e vado al Padre" (Gv 16, 28).

E proprio durante un raduno di pellegrini a Gerusalemme, di "Giudei osservanti di ogni nazione che è sotto il cielo" (At 2, 5), per celebrare la Pentecoste, la Chiesa inizia il suo cammino missionario.

Il pellegrinaggio cristiano

281. Da quando Gesù ha compiuto in se stesso il mistero del Tempio (cf. Gv 2, 22-23) ed è passato da questo mondo al Padre (cf. Gv 13, 1), compiendo nella sua persona l’esodo definitivo, per i suoi discepoli non esiste più alcun pellegrinaggio obbligatorio: tutta la loro vita è cammino verso il santuario celeste e la Chiesa stessa sa di essere "pellegrina sulla terra".[411]

Tuttavia la Chiesa, per la consonanza esistente tra la dottrina di Cristo e i valori spirituali del pellegrinaggio, non solo ha ritenuto legittima questa forma di pietà, ma l’ha incoraggiata lungo i secoli.

282. Nei primi tre secoli il pellegrinaggio, salvo qualche eccezione, non fa parte delle espressioni cultuali del cristianesimo: la Chiesa temeva la contaminazione con pratiche religiose del giudaismo e del paganesimo, nei quali la pratica del pellegrinaggio era in auge.

Tuttavia in questi secoli si pongono le basi per una ripresa, con impronta cristiana, della pratica del pellegrinaggio: il culto dei martiri, presso le cui tombe si recavano i fedeli per venerare le spoglie mortali di questi insigni testimoni di Cristo, determinerà progressivamente e logicamente il passaggio dalla "visita devota" al "pellegrinaggio votivo".

283. Dopo la pace costantiniana, in seguito all’identificazione dei luoghi e al ritrovamento di reliquie della Passione del Signore, il pellegrinaggio cristiano conosce una svolta: è soprattutto la visita alla Palestina che, per i suoi "luoghi santi", diviene tutta, a cominciare da Gerusalemme, Terrasanta. Lo testimoniano i resoconti di famosi pellegrini, quali l’Itinerarium Burdigalense e l’Itinerarium Egeriae, entrambi del IV secolo.

Sui "luoghi santi" si costruiscono basiliche, quali l’Anastasis edificata sul Santo Sepolcro e il Martyrium sul Monte Calvario, che costituiscono un forte richiamo per i pellegrini. Anche i luoghi dell’infanzia del Salvatore e della sua vita pubblica diventano meta di pellegrinaggi, che si estendono pure nei luoghi sacri dell’Antico Testamento, quale il Monte Sinai.

284. Il Medioevo è stata l’epoca aurea per i pellegrinaggi; essi, oltre alla preminente funzione religiosa, hanno svolto un’azione straordinaria in rapporto all’edificazione della cristianità occidentale, all’amalgama dei vari popoli, all’interscambio dei valori delle diverse civiltà europee.

I centri di pellegrinaggio sono numerosi. Innanzitutto, Gerusalemme, la quale, nonostante l’occupazione islamica, continua ad essere un luogo di grande attrazione spirituale, anzi è all’origine del fenomeno delle crociate, il cui motivo ispiratore fu appunto quello di permettere ai fedeli di visitare il sepolcro di Cristo. Anche le reliquie della passione del Signore, come la tunica, il volto santo, la scala santa, la sindone attirano innumerevoli fedeli e pellegrini. A Roma si recano i "romei" per venerare le memorie degli apostoli Pietro e Paolo (ad limina Apostolorum), per visitare le catacombe e le basiliche, per riconoscere il servizio del Successore di Pietro in favore della Chiesa universale (ad Petri sedem). Frequentatissimo nei secoli IX-XVI, ed anche oggi, è Santiago de Compostela, verso il quale convergono da diversi paesi "cammini" vari, costituitisi in seguito ad una visione del pellegrinaggio a sua volta religiosa, sociale, e caritativa. Tra altri si possono nominare Tours, dove è la tomba di san Martino, venerato fondatore di quella Chiesa; Canterbury, dove san Tommaso Becket consumò il suo martirio, che ebbe grande risonanza in tutta Europa; il Monte Gargano in Puglia, S. Michele della Chiusa in Piemonte, il Mont Saint-Michel in Normandia, dedicati all’arcangelo Michele; Walsingham, Rocamadour e Loreto, sedi di celebri santuari mariani.

285. Nell’epoca moderna, per il mutato clima culturale, per le vicende occasionate dal movimento protestante e per l’influsso dell’illuminismo, il pellegrinaggio subisce un declino: il "viaggio al paese lontano" diventa "pellegrinaggio spirituale", "cammino interiore" o "processione simbolica", consistente in un breve percorso, come nel caso della Via Crucis.

A partire dalla seconda metà dell’Ottocento si assiste ad una ripresa del pellegrinaggio, ma cambia in parte la sua fisionomia: esso ha come meta santuari che sono particolari espressioni dell’identità della fede e della cultura di una nazione; tale è il caso, ad esempio, dei santuari di Altötting, Antipolo, Aparecida, Assisi, Caacupé, Chartres, Coromoto, Czestochowa, Ernakulam-Angamaly, Fatima, Guadalupe, Kevelaer, Knock, La Vang, Loreto, Lourdes, Mariazell, Marienberg, Montevergine, Montserrat, Nagasaki, Namugongo, Padova, Pompei, San Giovanni Rotondo, Washington, Yamoussoukro, eccetera.

Spiritualità del pellegrinaggio

286. Nonostante i mutamenti subiti nel corso dei secoli, il pellegrinaggio mantiene, anche nel nostro tempo, i tratti essenziali che ne determinarono la spiritualità.

Dimensione escatologica. Essa è essenziale e originaria: il pellegrinaggio, "cammino verso il santuario", è momento e parabola del cammino verso il Regno; il pellegrinaggio infatti aiuta a prendere coscienza della prospettiva escatologica in cui si muove il cristiano, homo viator: tra l’oscurità della fede e la sete della visione, tra il tempo angusto e l’aspirazione alla vita senza fine, tra la fatica del cammino e l’attesa del riposo, tra il pianto dell’esilio e l’anelito alla gioia della patria, tra l’affanno dell’attività e il desiderio della serena contemplazione.[412]

L’evento dell’esodo, cammino di Israele verso la terra promessa, si riflette anche nella spiritualità del pellegrinaggio: il pellegrino sa che "non abbiamo quaggiù una città stabile" (Eb 13, 14), perciò, al di là della meta immediata del santuario, avanza, attraverso il deserto della vita, verso il Cielo, vera Terra promessa.

Dimensione penitenziale. Il pellegrinaggio si configura come un "cammino di conversione": camminando verso il santuario, il pellegrino compie un percorso che va dalla presa di coscienza del proprio peccato e dei legami che lo vincolano a cose effimere e inutili al raggiungimento della libertà interiore e alla comprensione del significato profondo della vita.

Come è stato detto, per molti fedeli la visita al santuario costituisce un’occasione propizia, spesso ricercata, per accostarsi al sacramento della Penitenza[413] e il pellegrinaggio stesso è stato inteso e proposto nel passato – ma anche nel nostro tempo – come un’opera penitenziale.

Peraltro, quando il pellegrinaggio è compiuto in modo genuino, il fedele ritorna dal santuario con il proposito di "cambiare vita", di orientarla più decisamente verso Dio, di dare ad essa una più marcata prospettiva trascendente.

Dimensione festiva. Nel pellegrinaggio la dimensione penitenziale coesiste con la dimensione festiva: anch’essa è nel cuore del pellegrinaggio, in cui si riscontrano non pochi motivi antropologici della festa.

La gioia del pellegrinaggio cristiano è prolungamento della letizia del pio pellegrino di Israele: "Quale gioia, quando mi dissero: "Andremo alla casa del Signore"" (Sal 122, 1); è sollievo per la rottura della monotonia quotidiana nella prospettiva di un momento diverso; è alleggerimento del peso della vita, che per molti, soprattutto per i poveri, è fardello pesante; è occasione per esprimere la fraternità cristiana, per dare spazio a momenti di convivenza e di amicizia, per liberare manifestazioni di spontaneità spesso represse.

Dimensione cultuale. Il pellegrinaggio è essenzialmente un atto di culto: il pellegrino cammina verso il santuario per andare incontro a Dio, per stare alla sua presenza rendendogli l’ossequio della sua adorazione e aprendogli il cuore.

Nel santuario il pellegrino compie numerosi atti di culto appartenenti alla sfera sia della Liturgia sia della pietà popolare. La sua preghiera assume forme varie: di lode e adorazione al Signore per la sua bontà e la sua santità; di ringraziamento per i doni ricevuti; di scioglimento di un voto, a cui il pellegrino si era obbligato nei confronti del Signore; di implorazione di grazie necessarie per la vita; di richiesta di perdono per i peccati commessi.

Molto spesso la preghiera del pellegrino è rivolta alla beata Vergine, agli Angeli e ai Santi, riconosciuti validi intercessori presso l’Altissimo. Peraltro le icone venerate nel santuario sono segno della presenza della Madre e dei Santi accanto al Signore glorioso, "sempre vivo per intercedere" (Eb 7, 25) in favore degli uomini e sempre presente nella comunità riunita nel suo nome (cf. Mt 18, 20; 28, 20). L'immagine sacra del santuario, sia essa di Cristo, della Vergine, degli Angeli o dei Santi, è segno santo della divina presenza e dell’amore provvidente di Dio; è testimone della preghiera che di generazione in generazione si è levata davanti ad essa come voce supplice del bisognoso, gemito dell’afflitto, giubilo riconoscente di chi ha ottenuto grazia e misericordia.

Dimensione apostolica. L’itineranza del pellegrino ripropone, in un certo senso, quella di Gesù e dei suoi discepoli, che percorrono le strade della Palestina per annunciare il Vangelo di salvezza. Sotto questo profilo il pellegrinaggio è un annuncio di fede e i pellegrini divengono "araldi itineranti di Cristo".[414]

Dimensione comunionale. Il pellegrino che si reca al santuario è in comunione di fede e di carità non solo con i compagni con i quali compie il "santo viaggio" (cf. Sal 84, 6), ma con il Signore stesso, che cammina con lui come camminò al fianco dei discepoli di Emmaus (cf. Lc 24, 13-35); con la sua comunità di provenienza e, attraverso di essa, con la Chiesa dimorante nel cielo e pellegrinante sulla terra; con i fedeli che, lungo i secoli, hanno pregato nel santuario; con la natura, che circonda il santuario, di cui ammira la bellezza e che si sente portato a rispettare; con l’umanità, la cui sofferenza e la cui speranza si manifestano variamente nel santuario, e il cui ingegno e la cui arte hanno lasciato in esso molteplici segni.

Svolgimento del pellegrinaggio

287. Come il santuario è un luogo di preghiera, così il pellegrinaggio è un cammino di preghiera. In ogni sua tappa la preghiera dovrà animare il pellegrinaggio e la Parola di Dio esserne luce e guida, nutrimento e sostegno.

Il buon esito di un pellegrinaggio, in quanto manifestazione cultuale, e gli stessi frutti spirituali che da esso si attendono sono assicurati dall’ordinato svolgimento delle celebrazioni e da una adeguata sottolineatura delle sue varie fasi.

La partenza del pellegrinaggio sarà opportunamente caratterizzata da un momento di preghiera, compiuto nella chiesa parrocchiale oppure in un’altra più adatta, consistente nella celebrazione dell’Eucaristia o di una parte della Liturgia delle Ore[415] o in una peculiare benedizione dei pellegrini.[416]

L’ultimo tratto del cammino sarà animato da più intensa preghiera; è consigliabile che quell’ultimo tratto, quando il santuario è già in vista, sia percorso a piedi, processionalmente, pregando, cantando, sostando presso le edicole che eventualmente sorgono lungo il tragitto.

L’accoglienza dei pellegrini potrà dar luogo a una sorta di "liturgia della soglia", che ponga l’incontro tra i pellegrini e i custodi del santuario su un piano squisitamente di fede; ove sia possibile, questi ultimi muoveranno incontro ai pellegrini, per compiere con loro l’ultimo tratto del cammino.

La permanenza nel santuario dovrà ovviamente costituire il momento più intenso del pellegrinaggio e sarà caratterizzata dall’impegno di conversione, opportunamente ratificato dal sacramento della riconciliazione; da peculiari espressioni di preghiera quali il ringraziamento, la supplica o la richiesta di intercessione, in rapporto alle caratteristiche del santuario e agli scopi del pellegrinaggio; dalla celebrazione dell’Eucaristia, culmine del pellegrinaggio stesso.[417]

La conclusione del pellegrinaggio sarà caratterizzata convenientemente da un momento di preghiera, nello stesso santuario o nella chiesa da cui esso è partito;[418] i fedeli ringrazieranno Dio del dono del pellegrinaggio e chiederanno al Signore l’aiuto necessario per vivere con più generoso impegno, una volta tornati nelle loro case, la vocazione cristiana.

Dall’antichità, il pellegrino desidera portare con sé dei "ricordi" del santuario visitato. Si avrà cura che oggetti, immagini, libri, trasmettano l’autentico spirito del luogo santo. Si deve inoltre far sì che i punti vendita non si trovino all’interno dell’area sacra del santuario né abbiano l’apparenza di mercato.

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"... io piego le ginocchia
davanti al Padre,

dal quale ogni paternità
nei cieli e sulla terra." (Ef. 3,14-15)

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