Formazione liturgica
"Vieni al Padre, fonte di Misericordia"
26 marzo 2025 * S. Felice vescovo
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teofania-5

A cura di Massimo e Loredana

 

La volta scorsa abbiamo visto insieme l’atto penitenziale, e vi ho portato come esempio quello che diceva il liturgista negli anni 50 Pio Parsch, che ricordava che l’atto penitenziale è il momento in cui noi ci avviciniamo con umiltà a una persona molto importante che è Dio per fare verità della nostra vita e il Gloria, che è il passo successivo, è il saluto che noi diamo a questa persona importante.

Vi avevo anche ricordato quei due atteggiamenti molto belli che il sacerdote mi disse una volta, che l’atto penitenziale dovrebbe essere il momento delle lacrime, lacrime di pentimento, di vera contrizione ma anche di gioia perché il Signore ci ha chiamato e ci ha dato la possibilità di essere presenti all’Eucaristia, alla santa Messa. Allora questa sera vorrei vedere con voi, sempre brevemente, piccole pillole, il passo successivo che è il punto nodale cioè il Gloria. Il Gloria che di solito recitiamo, o che talvolta cantiamo durante la messa. L’origine del Gloria è antichissima, si fa risalire a quella parte di Luca al capitolo 2 versetto 14 che dice: Gloria a Dio nell’alto dei cieli, tradotto a seconda, gli uomini di buona volontà o gli uomini che egli ama. Sarebbe più giusto dire gli uomini che sono oggetto della buona volontà di Dio, questa sarebbe la traduzione più corretta di quella parte del vangelo dal greco e dal contesto.

E’ un inno, un canto antichissimo, che veniva prima recitato o proclamato con il canto in greco, poi in latino, e si fa risalire al III secolo, ma qualcuno dice anche al I secolo. In effetti nel “liber pontificalis“ papa Telesforo diceva: la notte della messa di natale era bello proclamare o cantare l’inno angelico. Se c’è una traccia di questo tipo è molto probabile che la chiesa già nei primi decenni, la chiesa apostolica e sub apostolica poi, abbia fatto propria questa parola dal vangelo di Luca, per costruire poi un inno, che poi non è un inno in realtà natalizio come poteva giustamente presagire la sua provenienza dal vangelo di Luca, ma in realtà è un inno pasquale. E’ un inno che canta tutta la storia della redenzione.

E’ importante che noi pensiamo anche la liturgia non come fatta a compartimenti stagni anche se noi lo facciamo, adesso per analisi, ma in realtà come un tutt’uno con momenti estremamente collegati. Il Canto del Gloria è dossologia che significa semplicemente dare Gloria a Dio e fa eco ad altri momenti dossologici importanti, tra cui il momento culmine come ho già detto altre volte, il momento più importante della santa messa, il vertice della preghiera eucaristica che il sacerdote proclama, per Cristo, con Cristo e in Cristo e noi dovremmo ribadire con un Amen potente, cantato possibilmente. Il Gloria in realtà proprio perché legato alla dossologia è legato anche al credo; potremmo tranquillamente dire che il Gloria è una prima grande “professio fidei”.

Quando noi dopo l’atto penitenziale proclamiamo o cantiamo il Gloria, in realtà noi stiamo facendo una grande professione di fede nella storia della salvezza.

Ecco perché si cerca di vivere questo momento anche con il canto, perché il canto aiuta a dare solennità, a dare importanza, a non fare le cose con abitudine coscienti di quello che facciamo riunendo i cuori. Dare Gloria a Dio, fare una bella professione di fede. Questo momento è legato strettamente ad altri momenti della santa messa. E’legato come dicevamo prima alla dossologia è legato alla professione di fede, è legato a quell’altro momento molto importante di lode, di magnificenza, che riprende il libro dell’apocalisse che è la risposta al prefazio, Santo Santo Santo il Signore Dio dell’universo. Proprio perché è un inno di Gloria non andrebbe nell’esecuzione spezzato, con un ritornello. Noi abbiamo il vizio di fare ritornelli, normale perché interpretiamo un po’ a modo nostro la partecipazione attiva a cui ci richiama la “Sacrosantum Concilium”, cioè il documento conciliare sulla liturgia, e pensiamo che per partecipare dobbiamo per forza fare qualcosa, il che è vero, ma la partecipazione si basa anche su altri aspetti. Abbiamo visto sull’aspetto dell’ascolto, molto importante, una cosa che noi dimentichiamo spessissimo, non lo facciamo con il Signore, non lo facciamo tra di noi, quindi siamo incapaci di ascoltare. L’inno del Gloria non andrebbe nell’esecuzione spezzato, al limite se vogliamo far partecipare con il canto, cerchiamo di cantare un ritornello all’inizio e alla fine. Per dare solennità per fare in modo che immerga veramente in quello che stiamo proclamando o la Schola Cantorum sta cantando.

Un altro aspetto breve da sottolineare alla fine è questo: dare Gloria a Dio, è un po’ quello che è venuto fuori questa sera durante la preghiera, è imparare a uscire da noi stessi, e l’abbiamo detto all’inizio, il vangelo è annuncio, non è coltivato all’interno di un gruppo chiuso, tipo il gruppo della comunità, della famiglia, della parrocchia, tutti gruppi chiusi che però in realtà si spengono. Diceva una cosa molto bella Giovanni Paolo II: la fede si rafforza donandolama non perché tu ti convinci “dicendola”, no non è così, è perché lo Spirito Santo che hai nel tuo cuore ti irrora ed esce fuori. Irrora la tua vita, la rende feconda, e rende feconda la vita di chi hai intorno. Se tu non dai Gloria a Dio, se sei concentrato su te stesso, se pensi sempre al tuo ombelico, alle tue magagne, alle tue sofferenze, alle cose che non vanno, c’è qualcosa che non va. Non stai dando Gloria a Dio. Allora il Gloria che la chiesa ci dona di proclamare durante la santa messa la domenica, vuole educarci proprio in questo: a cosa siamo nati noi? A dare Gloria a Dio e san Ireneo diceva : la Gloria di Dio è l’uomo vivente”, non l’uomo che piagnucola, che si lamenta, non quello che mormora, ma l’uomo vivente da Gloria a Dio. Allora chiediamo al Signore di proclamare veramente con fede quella bellissima parte finale del Gloria : tu solo il Santo, Tu solo il signore, Tu solo l’altissimo Gesù Cristo, con lo Spirito Santo nella Gloria di Dio Padre, Amen.


Paul Freeman

 

 

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