Testi liturgici: Es 22, 20-26; / Ts 1,5-10; Mt 22, 34-40
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Volendo dare un titolo a questa domenica, potremmo chiamarla “la domenica dell’amore”.
Iniziamo con il vedere cosa ci ha detto il brano dell’Esodo.
Il libro era iniziato con l’elencazione di quello che noi chiamiamo i “dieci comandamenti”.
Con essi venivano esplicitati i precetti e le norme che gli Israeliti avrebbero dovuto osservare una volta entrati nella terra promessa. Come abbiamo potuto notare attraverso il brano di oggi, tali norme contenevano molto di più di quanto è elencato nei dieci comandamenti, e come formulati dal nostro catechismo.
La Bibbia ebraica, infatti, conteneva il numero di ben 613 tra leggi, comandamenti, prescrizioni e divieti. Qualcosa che assumeva, diciamolo pure, un peso soffocante per ogni persona, per cui ognuno cercava la maniera di poter alleggerirne il numero e l’osservanza.
Per tale motivo quante discussioni e divergenza avvenivano nelle sinagoghe degli Ebrei!
Proprio per questo era comprensibile la domanda: “Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?”.
A dir la verità, però, era pure una domanda trabocchetto, era per poter cogliere in trappola Gesù e così poterlo accusare. In altre parole, volevano sapere con quale partito si sarebbe schierato e così poterlo accusare come uno di parte, denunciandolo o troppo rigido o troppo permissivo.
E Gesù ne esce nel dire ogni regola e comandamento si riassume nell’unico comandamento dell’amore e che, a sua volta, ha due sfaccettature. La prima quella di amare Dio con tutto noi stessi ed il secondo quello di amare il prossimo come noi stessi.
Da notare che viene pure specificato il tipo di amore osservato. Esso non viene espresso in “compartimenti stagno”, ma nella interezza della propria persona. In altre parole viene espresso: “con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente”, cioè nella pienezza di noi stessi, per il fatto che siamo composti di un corpo che vive, di un’anima che pensa e vuole, di uno spirito che possiede la presenza di Dio.
Tradotto con termini più concreti, significa che si ama “sempre e comunque”, non solo “nei momenti di fervore, quando ce la sentiamo, se ne abbiamo voglia, se ce ne viene un vantaggio, se abbiamo tempo, se è facile, se nessuno critica, se nessuno si mette contro, e così via”.
Ma non basta ancora! Non può esserci amore di Dio, se manca quello verso il prossimo, ed in questo nessuno va escluso, sono compresi pure quelli che ci hanno fatto del male. Anche questo amore assume le caratteristiche menzionate e cioè con lo stesso criterio di cuore, di anima e di mente, da saper ben intendere ed applicare in ogni circostanza.
Se manca uno di questi aspetti, il nostro amore è fasullo, non è vero, è solo illusione, rimane solo a livello umano, non ci fa fare nessun salto di qualità. Di conseguenza, tutto quello che diciamo e che facciamo, se non è ispirato da tale vero amore, perde buona parte di valore, soprattutto agli effetti del regno di Dio e per la nostra salvezza eterna.
Questo vale per tutti e per tutto. Il compiere tante cose buone, comprese quelle di carattere religioso, compresa pure la partecipazione a questa Messa.
Ed allora ci domandiamo: Ha valore oppure no la nostra presenza qui, in questo momento?
Vale soprattutto se proviene da una risposta, dalla risposta che abbiamo dato a Dio, in quanto ci ha chiamato a fare festa con lui, come sua famiglia. Egli, infatti, è desideroso di parlare con noi, desideroso di ascoltare la nostra risposta, pronto per aiutarci.
Però tutto questo ha valore, come abbiamo detto, se siamo in armonia anche con gli altri.
In altre parole ed in conclusione, tutto quello che si dice e che si fa, se non è ispirato dall’amore vero, perde buona parte del suo valore.
Sac. Cesare Ferri rettore Santuario San Giuseppe in Spicello