Testi liturgici: Sof 2,3;3,12-13; Sl 145; I Cor 1,26-31; Mt 5,1-12Per il documento: clicca qui
“Lascerò in mezzo a te un popolo umile e povero”, è una delle prime espressioni oggi ascoltate. In altre parole è come se il Signore dicesse che è disposto a salvare, e riesce a salvare pienamente, solo chi è umile e povero.
Cosa significa? Che forse il Signore ci vuole disgraziati, umiliati, non considerati, falliti, disprezzati?
Niente di tutto questo; anzi, tutto il contrario!
Il Signore ci ha creati solo per essere felici. Per cui, anche certe situazioni di sofferenza o altro, servono e devono servire per raggiungere tale scopo.
Il profeta Sofonia si rivolge agli esiliati di Israele, li esorta a confidare nel Signore, il quale sta preparando la loro liberazione.
La condizione perché possano ottenerla è che siano veramente “poveri e umili”.
Sono due vocaboli, ma con significato analogo. La povertà e l’umiltà consistono nel porre la propria fiducia nel Signore, non senza ovviamente aver fatto anche la nostra parte.
Se, per ogni riuscita, contassimo solo sulle nostre capacità o su quelle di quanti operano con i soli mezzi umani e terreni - quali la potenza dei forti, o il denaro dei ricchi, o la strategia degli intelligenti, o il ragionamento dei sapienti – non saremmo né umili né poveri.
Pertanto, l’umiltà e la povertà consistono nel contare sul Signore e non su noi stessi, non sulle cose create.
Ed è proprio anche quello che Gesù dice all’inizio del suo discorso: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli”.
Ed è anche l’esortazione che Paolo fa ai Corinzi, e che oggi ripete a noi: “Non ci sono tra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili. Ma quello che è stolto per il mondo, Dio la ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti”.
Quanti si trovano in simili situazioni!
Quanti genitori non sanno come comportarsi con i figli! Quanti nonni sofferenti perché i nipoti hanno lasciato la pratica religiosa! Quanti matrimoni in crisi per i quali si vorrebbe trovare una soluzione! Quanti provati da malattie, sofferenze e situazioni inspiegabili! Quanti senza lavoro! E così via!
Per risolvere in qualche modo la situazione, essi sono chiamati ad essere poveri e umili. Sono chiamati a confidare solo nel Signore.
Ovviamente, non sono dispensati dal mettere in atto, per quanto possibile, ogni impegno dal punto di vista umano; a condizione che tale impegno sia lecito e non praticato con spirito superstizioso.
Quanti purtroppo, per risolvere simili problemi ricorrono illecitamente ad operatori dell’occulto (quali fattucchieri, maghi, ecc.) senza rendersi conto che di fatto peggiorano la situazione, anche se in un primo momento sembrerebbe di no.
Questi non sono persone umili e povere, perché non confidano nel Signore, con la conseguenza che il Signore stesso non può intervenire.
Altri ancora, pur mantenendo tali superstizioni, volendo ricorrere anche al Signore, si presentano al sacerdote per una benedizione.
Come è possibile questo? È come il voler mettere insieme fuoco e acqua!
Per essi, la beatitudine del “Beati i poveri …” annunciata da Gesù, si capovolge totalmente.
Sono infelici, e per essi non c’è il regno dei cieli, cioè, come dicevo, il Signore non può intervenire in loro favore.
Di fronte a questa e alle altre beatitudini proclamate dal Signore, potremmo anche noi restare sorpresi, e forse anche un po’ sgomenti: chi di noi può definirsi povero, umile, mite, misericordioso, puro di cuore?
Eppure, dovremmo capire che le parole di Gesù indicano un punto di arrivo, e non di partenza.
Noi, se lo vogliamo, possiamo diventare tutto ciò.
Se accogliamo la parola del Signore, e ci impegniamo a metterla in pratica, ci accorgeremo che con il tempo porterà frutto.
Solo così possiamo realizzare la felicità che le beatitudini esprimono.
Sac. Cesare Ferri rettore Santuario San Giuseppe in Spicello