Omelia delle domeniche e feste Anno A
"Vieni al Padre, fonte di Misericordia"
9 dicembre 2025 * S. Siro vescovo
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5 Sale della terraTesti liturgici: Is 58,7-10; Sl 111; I Cor 2,1-5; Mt 5,13-16
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Cosa abbiamo ripetuto nel salmo responsoriale? Ecco: “Il giusto risplende come luce”.
Chi è questo giusto? Siamo, o dovremmo esserlo, ognuno di noi.
Chi è luce e chi la diffonde? Siamo ancora noi, come Gesù ha sottolineato: “Voi siete la luce del mondo”.
Cerchiamo ora di riflettere su questi aspetti della metafora, sul come riuscire ad essere luce e sul come essere capaci a diffonderla.
Nella prima lettura si è parlato di digiuno. Ci ha fatto comprendere che il giusto diventa luce a condizione che sappia digiunare.
Ma cosa significa digiunare?
Molti sono soddisfatti e pensano di essere a posto perché, almeno in certi periodi, hanno saputo digiunare, hanno saputo fare dei “fioretti”, hanno saputo astenersi da qualcosa.
Nulla da dire, sono azioni buone. Ma perché siano vero digiuno, come inteso da Dio, non possono e non devono limitarsi a se stesse.
Sono mezzi e sono segni che devono mostrare una realtà più profonda, quella dell’amore verso gi altri.
Pertanto, si fa a meno di una cosa non per se stessa, o per proprio tornaconto, ma per poter aiutare gli altri. Questo è l’aspetto del digiuno cristiano.
Il Signore, per bocca del profeta Isaia, lo ha detto chiaro: “Non consiste forse il digiuno che voglio nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, nel vestire uno che vedi nudo?”.
Solo facendo così il giusto diventa luce, come il Signore ha ancora sottolineato: “Se aprirai il cuore all’affamato, se sazierai l’afflitto di cuore, allora brillerà fra le tenebre la tua luce”.
Si tratta, allora, di mettere in pratica il famoso detto: “I fatti contano più delle parole”.
È il nostro comportamento, infatti, che incide sugli altri, molto più delle parole che diciamo, anche se sono belle, buone e sante parole.
Facendo così, il comportamento diventa una specie di specchio attraverso il quale gli altri possono vedere chiaramente quel che siamo.
Il concetto è stato bene espresso anche da Paolo, nella seconda lettura: “La mia parola e la mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito”.
Quindi, non la bravura di Paolo nel saper dire belle parole, ma la sua vita vissuta secondo Dio e di cui lo Spirito si è servito per cambiare il cuore degli altri.
E qui entra anche la metafora del sale. Ancor prima di essere luce, il discepolo di Gesù deve essere sale: “Voi siete il sale della terra”.
Il sale si presta a molteplici usi; serve, ad esempio, per dar sapore, ma serve anche per distruggere. Sappiamo che gettato alle radici di una pianticella, questa si secca. Del resto, ai tempi di Gesù, quando una città veniva distrutta, le sue macerie venivano cosparse di sale, per indicare il segno di una maledizione e di una distruzione definitiva.
Ebbene, il cristiano è chiamato a mettere in atto queste due funzioni.
Per prima cosa, deve saper dare sapore ad ogni situazione della vita. Deve sapere interpretare tutto alla luce del vangelo, e quindi alla luce del disegno di Dio; ecco perché è seguita subito la metafora della luce: “Voi siete la luce del mondo”.
Per seconda cosa, in quanto luce, il cristiano deve saper far emergere l’effetto di una maledizione e di una distruzione definitiva.
In altre parole, deve saper mettere in luce che Cristo, con la sua morte e risurrezione, ha vinto e distrutta l’azione del maligno.
Infatti, sappiamo che il diavolo ha i tempi contati. È vero che da una parte sta facendo tanti danni nel mondo, ma è anche vero che è in perdita, perché è stato già vinto.
Signore, aiutaci ad essere sale e luce del mondo.
Sac. Cesare Ferri rettore Santuario San Giuseppe in Spicello

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"... io piego le ginocchia
davanti al Padre,

dal quale ogni paternità
nei cieli e sulla terra." (Ef. 3,14-15)

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