Testi liturgici: At 2,36-41; Sl 22; I Pt 2,20-25; Gv 10, 1-10Per il documento: clicca qui
“Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla”; lo abbiamo ripetutamente cantato.
Solo Gesù è il pastore o ve ne sono anche altri?
Spesso e giustamente diciamo che nella Chiesa siamo guidati dai pastori, con a capo il sommo pontefice. È vero, ma solo in quanto essi sono legati a Gesù e collaborano con lui a svolgere il compito di pastori; ma in realtà solo Gesù è il vero “buon pastore”, cioè quello veramente bello, l’unico; come lui non ce ne sono altri.
Sono le parole che abbiamo acclamate al vangelo, dette da Gesù stesso nel proseguo del brano evangelico di oggi.
L’immagine del pastore era molto eloquente per gli Ebrei del tempo. Essi, infatti, in buona parte vivevano di pastorizia. Ma per noi oggi, è comprensibile il valore profondo di tale vocabolo?
In verità, Gesù inizia il discorso definendosi quale “porta” delle pecore: “In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore … se uno entra attraverso di me sarà salvato”.
L’espressione significa che egli è l’unico passaggio che abbiamo per giungere al Padre, e quindi per avere la salvezza eterna.
Tale verità è ribadita anche con un’altra espressione: “Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”.
Evidentemente non si tratta tanto della vita fisica, ma si riferisce a quella pienezza di vita che proviene dalla comunione con Dio.
Inoltre, all’inizio del brano, si parla anche di un “recinto” in cui stanno le pecore. Questa parola usata da Giovanni, fa riferimento all’atrio del tempio di Gerusalemme. Era una struttura religiosa, prettamente ebraica, riservata solo a tale popolo.
Gesù, invece, vuol portare il proprio gregge, cioè tutti gli uomini che è venuto a salvare, fuori da quel tipo di recinto.
In altre parole, tutti gli uomini sono chiamati e sollecitati a fare un cammino di libertà, senza essere più chiusi in recinti.
In concreto e per applicarlo a noi: guai a chiudersi in recinti, fare dei ghetti sia pure parrocchiali, religiosi e associativi, guai a dare adito a campanilismi o a concorrenze di vario tipo, fare sterili confronti tra le varie località e le varie comunità.
Gesù vuole che il cristiano usi la libertà non per rimanere nel recinto, ma per uscire, passando attraverso di lui che è la porta, e poi seguendo lui, perché lui solo è il vero pastore, solo lui dà il buon pascolo, il buon nutrimento; solo lui ci dice e ci dà la verità, cosa necessaria per avere la gioia di vivere.
Ebbene, tornando a quanto detto pocanzi, chi è responsabile di fronte al popolo per aiutare a fare un tale cammino di libertà, è chiamato appunto “pastore”.
Pensate, ad esempio, come in famiglia i genitori sono chiamati ad essere buoni pastori!
È facile e gratificante essere buoni pastori e seguire i pastori?
Pietro ci ha dato la risposta: “Se, facendo il bene, sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà gradito a Dio”.
Spesso siamo convinti che a fare il bene non dovrebbe costarci niente. Invece, l’amare davvero e fare il bene, significa anzitutto pagare di persona, aspettandosi non solo l’indifferenza, ma anche la critica.
È proprio quello capitato a Gesù, come ha sottolineato Pietro: “Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme. Egli non commise peccato e non si trovò inganno sulla sua bocca; insultato non rispondeva con insulti, maltrattato, non minacciava vendetta, ma si affidava a colui che giudica con giustizia”.
Quanti genitori, ad esempio, pur avendo esercitato rettamente il compito di buoni pastori ed educatori, non raccolgono frutti, anzi tutt’altro.
Siano di incoraggiamento le parole di Pietro!
Sac. Cesare Ferri rettore Santuario San Giuseppe in Spicello