Omelia delle domeniche e feste Anno A
"Vieni al Padre, fonte di Misericordia"
17 ottobre 2025 * S. Ignazio d'Antiochia
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TrasfigurazioneTesti liturgici: Dn 7,9-10.13-14; Sl 96; 2Pt 1,16-19; Mt 17,1-9
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“Signore, è bello per noi essere qui!”,
così hanno detto i tre apostoli.
Purtroppo, è stata una esperienza che non poteva e non doveva durare a lungo. Infatti, ad un certo punto non vedono più nulla.
Però di fatto sono confortati dalle parole di Gesù: “Alzatevi e non temete”.
Penso che, in qualche maniera, ognuno di noi abbia potuto esprimere l’espressione “che bello!”, in certi momenti della vita, allorquando abbiamo sperimentato delle vere gioie, tali che mai ci avrebbero dovuto lasciare.
Di fatto poi, abbiamo dovuto sperimentare che la realtà quotidiana è un’altra cosa, tanto più quando la nostra vita è cosparsa di prove e sofferenze di ogni genere.
Ebbene, cosa possiamo imparare da tale episodio evangelico?
Noi, come gli apostoli, dovremmo imparare prima a “salire” e poi a “scendere”. Che vuol dire “salire”, che vuol dire “scendere?”.
Abbiamo tutti bisogno di “salire”, cioè di andare in disparte, di trovare uno spazio di silenzio, di andare, diciamo così, in “montagna”, cioè in un luogo di pace, proprio per trovare noi stessi e percepire meglio la voce del Signore.
Questo avviene, o dovrebbe avvenire, tutti i giorni nel momento dedicato alla preghiera; questo avviene, e dovrebbe avvenire, soprattutto la domenica, nel momento in cui partecipiamo alla celebrazione eucaristica.
Questi momenti, se vissuti nella giusta dimensione, ci illuminano, ci rasserenano, ci danno forza; in altre parole ci fanno rendere conto che sono momenti belli; se però, ripeto, sono vissuti nella giusta dimensione di fede.
Pertanto, diventano momenti non solo utili, ma necessari.
Pur tuttavia, non possiamo rimanere lì!
L’incontro con Dio avuto nella preghiera ci spinge poi a scendere dalla montagna e ritornare in basso, nella vita di tutti i giorni, con tutti i problemi ad ogni livello, sia in quello familiare come in quello lavorativo, sia nel rapporto con parenti e vicini come nelle prove e difficoltà personali di ognuno.
Inoltre, avremo anche modo di incontrare fratelli e sorelle appesantiti da fatiche, malattie, ingiustizie, incomprensioni, da eccessiva povertà materiale e spirituale.
A tutti costoro, che sono in difficoltà, dobbiamo portare i frutti della esperienza che abbiamo fatto con Dio, condividendo la grazia ricevuta.
Non si tratta di fare “prediche” e neppure espliciti rimproveri o richiami: basta la presenza e la vicinanza perché, se questo è fatto con sincerità e amore, la nostra opera non rimane sterile: la grazia del Signore, infatti, è sempre contagiosa.
Riepilogando, si tratta di imparare a “salire” per ascoltare Gesù e a “scendere” per annunciare Gesù e per esercitare la carità fraterna.
Questo dovrebbe riuscire a poter far dire anche agli altri: “E’ bello stare con il Signore!”.
Quando una persona ha capito questo e cerca di viverlo, sarà più preparata ad affrontare le immancabili difficoltà e sofferenze della vita.
Del resto, è quello che Gesù ha fatto con i tre apostoli, proprio per aiutarli ad affrontare la prova della sua imminente passione e morte.
Ed è proprio quello che implicitamente ha voluto dire con la espressione pronunciata mentre scendevano: “Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo sia risorto dai morti”.
Essi, scendendo dal monte, avrebbero dovuto condividere con gli altri.
Certamente e purtroppo, non hanno capito un gran che, per non dire nulla; ma di fatto l’esperienza sarebbe dovuta servire a loro ed agli altri per affrontare con maggior capacità e fede l’evento inaspettato e doloroso della passione e morte di Gesù.
Sac. Cesare Ferri rettore Santuario San Giuseppe in Spicello

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davanti al Padre,

dal quale ogni paternità
nei cieli e sulla terra." (Ef. 3,14-15)

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