Omelia delle domeniche e feste Anno A
"Vieni al Padre, fonte di Misericordia"
17 ottobre 2025 * S. Ignazio d'Antiochia
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21 Chiavi a PietroTesti liturgici: Is 22,19-23; Sl 37; Rm 11, 33-36; Mt 16,13-20
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“Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente”,
è la confessione di Pietro, a lui venuta non per intuizione umana, ma dettata direttamente da Dio.
Proprio in forza di tale confessione, Pietro è degno di ricevere le chiavi del regno dei cieli.
Anche nella prima lettura si parla di chiavi consegnate dal Signore: “Gli porrò sulla spalla la chiave della casa di Davide”.
Nel caso di Pietro, è un tipo di incarico nuovo; nel caso di Sebna, è una sostituzione di incarico per la indegnità nell’uso delle chiavi stesse.
Ovviamente, la chiave ha un significato simbolico e reale, significa avere il potere su qualcuno o qualcosa e di cui si può disporre come meglio si crede.
Si danno le chiavi a persona degna e di fiducia. Nel caso di Sebna, sono tolte perché non più degno; nel caso di Pietro è per una dignità e per consegnare un compito visto nell’ottica di Gesù.
A questo punto, dobbiamo riconoscere che il desiderio di comandare è innato in noi è innato, anche se spesso non ci rendiamo conto di cosa vuol dire comandare.
Si tratta di esercitare il comando nel senso inteso da Dio, cioè di svuotarlo da un qualcosa di negativo, improduttivo ed egoistico.
In altre parole, si tratta di comprenderlo come responsabilità verso altri, e più precisamente come “servizio” disinteressato reso agli altri.
A questo punto, cosa ci insegna l’incarico dato a Pietro?
Se sul piano umano si tratta di amministrare cose che ci appartengono e di cui possiamo disporre come ci sembra meglio.
Nel caso di Pietro, invece, non è così.
Il potere delle chiavi nella Chiesa non è quello di amministrare cose proprie, ma di amministrare la misericordia di Dio, con l’incarico di distribuirla per salvezza di tutti.
In questo senso è da intendere: “Tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra, sarà sciolto nei cieli”.
Attenzione! Non si tratta un fatto arbitrario e preferenziale, come potrebbe sembrare.
Il “legare” non sta nella volontà o nel capriccio di chi ha le chiavi, ma nella impossibilità di donare il perdono a coloro che non l’accolgono, perché non sono pentiti.
Inoltre, c’è da chiarire un’altra cosa.
Il Signore non guarda al merito di colui a cui affida l’incarico; se fosse così, lo avrebbe dovuto togliere a Pietro, dopo che lo aveva rinnegato.
Il potere rimane sempre, appunto perché nel Signore prevale la misericordia. Egli non allontana mai nessuno e continua a dare sempre fiducia a tutti.
Questo diventa un richiamo per noi che ci scandalizziamo quando i pastori della Chiesa non si comportano bene: il fatto personale è indubbiamente negativo, ma il potere rimane.
Piuttosto, esaminiamoci su come noi esercitiamo il potere.
Non dobbiamo dimenticare che ogni potere appartiene a Dio. È lui che lo distribuisce alle persone, secondo i suoi fini e la sua volontà. Noi siamo semplicemente delegati.
Questo vale per ogni esercizio di potere, sia in un ambito piuttosto limitato: come in famiglia, in azienda, in un gruppo associativo, in un incarico ricevuto; sia in un ambito più grande: come quello degli amministratori pubblici, dei governanti, e questo sia in ambito civile che ecclesiale.
Credere di essere onnipotente perché, per un periodo più o meno lungo della vita, deteniamo il potere ad alto livello, è davvero sciocco: è il messaggio della prima lettura: “Ti toglierò la carica, ti rovescerò dal tuo posto”.
Quale è stato il suo errore?
È stato quello di essersi sentito padrone, non padre e servitore.
Per ognuno di noi c’è da riflettere sul come utilizziamo le chiavi nel posto che occupiamo e nel servizio che ci è stato conferito.
Sac. Cesare Ferri rettore Santuario San Giuseppe in Spicello

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"... io piego le ginocchia
davanti al Padre,

dal quale ogni paternità
nei cieli e sulla terra." (Ef. 3,14-15)

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