Omelia delle domeniche e feste Anno C
"Vieni al Padre, fonte di Misericordia"
17 ottobre 2025 * S. Ignazio d'Antiochia
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Palme
Testi liturgici: Is 50,4-7; Fil 2,6-11; Lc 22,14 ­– 23, 56
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(Prima di leggere il racconto della Passione)

In luogo della successiva omelia, per meglio comprendere e applicare a noi quanto ascolteremo, faccio una introduzione.
Ognuno di noi ha bisogno di entrare come protagonista dentro il racconto della Passione perché è anche un fatto contemporaneo che tocca ciascuno di noi. Per tale motivo, ci facciamo le seguenti domande.

Chi sono io dentro questo racconto?

Quali dei tanti personaggi che ruotano intorno alla figura di Gesù mi rappresenta meglio?

C’è in me la codardia di Pilato o il cinismo di Erode?

C’è in me la paura di Pietro che, di fronte all’opinione pubblica, nega di conoscere Gesù, o c’è Giuda che, deluso dalle aspettative che si attendeva, non si fida più di lui e lo tradisce?

C’è l’atteggiamento della folla che, per ascoltare una certa categoria di persone avverse a Gesù, si lascia condizionare da essa gridando il “crocifiggilo”?

Se non altro, almeno la conclusione dovrebbe essere: “Quanto mi ha amato e continua ad amarmi il Signore, nonostante la mia miseria e il mio poco amore verso di lui e verso gli altri!”.

Lungo il racconto, questo amore è quanto mai evidente di fronte alla cattiveria umana.

Tale cattiveria è fatta di calunnie e ingiustizie, di insulti e tradimenti, di rinnegamenti e abusi di potere, di ironie e beffe, di amore alla propria poltrona, del lavarsi le mani per debolezza e incapacità di esercitare il potere come servizio.

Ascoltiamo in atteggiamento molto riflessivo.

Testi liturgici Giovedì Santo: Es 12, 1-8.11-14; I Cor 11,23-26; Gv 13, 1-15

Una riflessione sulla prima lettura.

Da notare che il Signore chiama il popolo a festeggiare la liberazione dalla schiavitù dell’Egitto, pur vivendo ancora in essa.

Israele è chiamato a vivere il “già e non ancora”, come dirà anche Paolo nelle lettera ai Romani: “Nella speranza noi siamo stati salvati”.

Da qui deriva per noi un grande compito, che ha due declinazioni: sperare sempre e donare speranza sempre, proprio come spesso ripete Papa Francesco: “Non lasciatevi rubare la speranza”.

Da notare ancora che il fatto si festeggia in piedi, segno di ritrovata dignità, in piedi per poter scorgere in lontananza la terra promessa, in piedi sempre perché Dio ci vuole in cammino verso il luogo della sua presenza, in piedi e di fretta perché davanti all’intervento di Dio non c’è tempo da perdere.

Come è importante vivere, sperando sempre nel meglio!

 Una riflessione sulla seconda lettura.

Non dobbiamo mai confondere le tradizioni e le abitudini con la “Tradizione” in lettera maiuscola.

“Tradizione” vuol dire consegnare ciò che di importante abbiamo ricevuto: è quello che fa l’apostolo Paolo.

Egli non era presente in quell’ultima cena, ma gli è stato solo riferito, e lui lo ha accolto e, senza alcuna modifica, lo ha trasmesso.

È anche quello che siamo chiamati a fare noi ogni volta che ci riuniamo per celebrare l’Eucaristia. In essa non ci sono formule immutabili da ripetere o consuetudini da rispettare, ma solo un memoriale da vivere.

L’Eucaristia celebrata nella comunità cristiana rende attuale, non più il “già e non ancora”, ma il “qui e ora”. Infatti, è presente il mistero del Signore, del Crocifisso-Risorto, che si dona a tutti e a ciascuno e che ci riporta in quella sera di quel giovedì nel Cenacolo.

L’Eucaristia rende Cristo nostro contemporaneo e rende noi contemporanei suoi. Solo lui, il Vivente, può cambiare il corso della nostra vita.

Come è importante affidarci totalmente a lui!

 Una riflessione sul Vangelo.

Il gesto della lavanda dei piedi è sicuramente un gesto di umiltà, di servizio, ed è anche e sicuramente un esempio, ma non è solo questo. Con quel gesto Gesù riporta l’uomo in quel paradiso terrestre perduto con il peccato.

Adamo ed Eva sono nudi e non ne provano vergogna. Quindi sono anche scalzi e così possono avere un contatto diretto con la terra dalla quale erano stati tratti.

Anche Mosè è invitato a togliere i sandali davanti al roveto ardente, perché quel suolo è sacro. Mosè è e deve essere scalzo a contatto diretto con il divino.

Purtroppo, nel corso della storia, non sarà più così. I nostri piedi si sono sporcati durante il cammino rendendoci insensibili alla terra e a coloro che vivono sulla terra. Proprio per questo c’è bisogno di un immenso gesto di amore, quello compiuto da Gesù.

Egli lava i piedi, toglie secoli e secoli di incrostazioni, di modo che tra uomo e uomo, tra uomo e Dio si possa rinnovare quel rapporto intimo.

Quale allora il messaggio che Gesù ci lascia nel giovedì santo?

Rendete ancora possibile, attraverso l’amore ed il servizio vicendevole, il vostro rapporto con il Signore e con gli altri.

 Sac. Cesare Ferri Rettore Santuario San Giuseppe in Spicello

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"... io piego le ginocchia
davanti al Padre,

dal quale ogni paternità
nei cieli e sulla terra." (Ef. 3,14-15)

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