Omelia delle domeniche e feste Anno C
"Vieni al Padre, fonte di Misericordia"
18 ottobre 2025 * S. Luca evangelista
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26 Domenica C Ricco epuloneTesti liturgici: Am 6,4-7; Sl 145; I Tim 6,11-16; Lc 16,19-31
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Abbiamo ascoltato una delle più belle espressioni che Paolo rivolge a Timoteo: “Combatti la buona battaglia della fede”.
Lo poteva ben dire, perché egli l’ha combattuta per tutta la vita, come dirà ancora a Timoteo nella seconda lettera: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho mantenuto la fede”.
Cosa significa combattere la buona battaglia della fede?
Con la parabola del ricco gaudente e del povero Lazzaro, Gesù propone alcuni spunti di riflessione.
Ma una riflessione è fornita anche dal brano ascoltato alla fine della prima lettura. Infatti, dopo aver descritto il modo di vivere degli “spensierati” - distesi su letti d’avorio, sdraiati su divani, che bevono il vino in larghe coppe, che si ungono con gli unguenti più raffinati, ma che si dimenticano del grido dei poveri e dei problemi reali del paese - conclude: “Cesserà l’orgia dei dissoluti”.
Cesserà perché essi: “andranno in esilio in testa ai deportati”.
Analogamente il Vangelo. Dopo aver detto: “Il povero morì e fu portato accanto ad Abramo”, cioè fu salvato per l’eternità, aggiunge: “Morì anche il ricco. Stando agli inferi tra i tormenti…”, cioè perduto per l’eternità.
A prima vista, e per chi vive in questo mondo, potrebbe sembrare una magra consolazione. Si potrebbe dire che per un domani va bene, ma per l’oggi non c’è una soluzione?
Una cosa è certa: da sempre l’uomo combatte con la questione inquietante del contrasto tra ricchi e poveri. I poveri sono sempre oggetto di discorsi ed hanno pure un ruolo importante nei progetti politici.
Però, mai si trova una soluzione adeguata e soddisfacente. Ed allora?
C’è un’altra cosa che viene prima ed è più importante: si tratta di cominciare da se stessi.
Chi sta meglio deve accorgersi di chi sta peggio; deve imparare a saper condividere; e questo non è solo un aiuto per l’altro, ma è anche motivo di essere felici per se stessi.
L’impressione che si ha, leggendo questa pagina, è che l’uomo ricco, pur pieno di denaro, ha sprecato la sua occasione nella vita per essere felice.
Egli non ha nessuno con cui condividere quello che ha, per cui egli vive e muore da solo. I suoi occhi, in altri termini, sono incapaci di vedere qualcosa che non sia il suo personale interesse; pertanto, egli si condanna da solo ad una solitudine per l’eternità.
Applichiamo a noi.
Non c’è bisogno di essere ricchi per correre lo stesso rischio: quando si vive soltanto per se stessi - senza nessuna attenzione a chi ci sta accanto, alle sue sofferenze ed ai suoi problemi - ci condanniamo alla solitudine.
Anche se si è circondati da tante persone, si rimane soli dentro, e nel giro di poco tempo si rimane soli anche esteriormente: non saremo sufficientemente considerati, non saremo abbastanza amati.
Interessante, infine, l’ultima risposta di Gesù: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neppure se uno risorgesse dai morti”.
Purtroppo – lo ha ripetuto Papa Francesco – esiste l’ “anestesia del cuore”, quella che nella Bibbia è chiamata “sclerocardia”.
Infatti, Gesù non risponde con il richiamo alla giustizia sociale – cosa buona, ma non sufficiente per risolvere il problema alla radice – e neppure con un monito per farci commuovere da chi ha fame, e neppure ci invita a tacitare la coscienza con un po’ di elemosina, quasi a voler riparare il poco amore.
Se il cuore è anestetizzato, ha bisogno di essere guarito per ripartire bene.
È necessario, pertanto, l’ascolto costante e paziente della Parola di Dio. Essa è necessaria per una conversione profonda, e che porti finalmente ad accorgerci dei lazzari che sono nel mondo.
L’anestesia del cuore viene guarita solo con l’ascolto e la messa in pratica di tale Parola.
Ecco allora che si comprendono le parole di Gesù: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neppure se uno risorgesse dai morti”.
Sac. Cesare Ferri, Rettore Santuario San Giuseppe in Spicello
 

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"... io piego le ginocchia
davanti al Padre,

dal quale ogni paternità
nei cieli e sulla terra." (Ef. 3,14-15)

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