Omelia delle domeniche e feste Anno C
"Vieni al Padre, fonte di Misericordia"
8 dicembre 2025 * Immacolata Concezione
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T22 Domenica C Gesù guarisceesti liturgici: Sir 3,19.30-31; Sl 67; Eb 12,18-19.22-24; Lc 14,1.7-14
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Dal libro del Siracide, abbiamo ascoltato: “Quanto più sei grande, tanto più fatti umile, e troverai grazia presso il Signore”.
Chiaramente, questa parola del Signore, è contro la logica umana; eppure è l’unica chiave per entrare nel progetto di Dio.
A questa espressione del Siracide fa eco quella del Vangelo: “Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato”.
Ma cosa è l’umiltà?
Non è semplicemente, come a volte qualcuno pensa, dire di non valere niente, pur non essendone pienamente convinti. Tante è vero poi che, di fatto e in contro testimonianza, se qualcuno non lo tiene in considerazione, ne ha a male e si offende.
D’altra parte, è più che giusto che gli altri ci stimino per quel che siamo, come ognuno di noi è chiamato a stimare gli altri per quel che sono.
Infatti, l’umiltà non è contro la verità, anzi si appoggia su di essa. Umiltà e lealtà vanno di pari passo.
Pertanto, non si tratta di misconoscere le qualità che abbiamo.
Ma, in questo contesto, qual’ è la sincera verità?
Essa consiste nel riconoscere che tutto quanto abbiamo, è dono di Dio. Nell’intenzione di Dio, i doni ricevuti sono stati concessi per il bene di tutti.
Questo, pertanto, deve portarci a non vantarci per il fatto di averli, ma piuttosto, dopo aver ringraziato il buon Dio, da utilizzare, appunto, a vantaggio degli altri, senza aspettarci di avere un contraccambio.
Il contraccambio e la riconoscenza non vanno cercate; se poi arrivano vanno accettate, rimanendo sempre nell’umiltà.
È proprio anche quello a cui ci conduce la seconda parte del Vangelo.
In altre parole, ci invita a vivere nella dimensione della gratuità, cosa molto difficile nell’attuale società.
Infatti, per quanto potremmo convincerci del contrario, i nostri modi di fare e le nostre relazioni soffrono sempre di quei brutti tarli che sono l’interesse personale, il tornaconto, l’attesa del contraccambio. Infatti, a riprova di ciò, utilizziamo il logorato proverbio il quale afferma che neppure il cane muove la coda per niente.
Proprio a questo vuol condurci Gesù, dicendoci: “Quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti”.
Dal libro del Siracide, poi, abbiamo ascoltato un’altra espressione: “Figlio, compi le tue opere con mitezza, e sarai amato più di un uomo generoso. Molti sono gli uomini orgogliosi e superbi, ma ai miti il Signore rivela i suoi segreti”.
Anche la mitezza, come l’umiltà, al giorno d’oggi non sembra essere una qualità.
Ma sappiamo cosa è la mitezza?
Non è, come qualcuno pensa, manifestare debolezza e atteggiamento rinunciatario a quello che è buono e giusto, con la conseguenza di farci sopraffare dagli altri.
Potrebbe sembrare. Il mite, infatti, non urla per farsi giustizia da sé, non si arrabbia con il rischio di peggiorare la situazione, e neppure fa di tutto per mettersi in mostra e per ottenere quello che è giusto; tanto più se, per ottenere questo, contasse solo sulle proprie forze e su gli altri mezzi umani che ha a disposizione.
Certamente utilizza, e deve utilizzare, tutti i mezzi onesti che può avere a disposizione; ma nel contempo sa porre la sua fiducia in Dio, perché sa bene che senza di lui non si combina niente.
In altre parole, il mite è colui che sa giudicare la realtà delle cose con gli occhi di Dio e del suo amore.
È con questa ottica che bisogna interpretare la parola ascoltata e già citata: “Ai miti il Signore rivela i suoi segreti”.
Sac. Cesare Ferri rettore Santuario San Giuseppe in Spicello

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nei cieli e sulla terra." (Ef. 3,14-15)

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