Omelia delle domeniche e feste Anno C
"Vieni al Padre, fonte di Misericordia"
8 dicembre 2025 * Immacolata Concezione
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28 Domenica C Dieci lebbrosiTesti liturgici: 2Re 5,14-17; Sl 97; 2Tim 2,8-13; Lc 17,11-19
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Due miracoli analoghi legano la prima lettura ed il vangelo; in ambedue è descritta la guarigione dalla lebbra.
Sappiamo che, in quel tempo, la lebbra era considerata una malattia molto grave, tanto che rendeva la persona “impura”, cioè esclusa dai normali ritmi di vita del popolo di Dio, con la conseguenza che doveva stare sempre lontana dagli altri, isolata e segregata.
Innanzitutto, riflettiamo sul primo caso, quello di Naaman.
Per il popolo di Israele egli era uno straniero e quindi, secondo loro, non meritava l’intervento di Dio.
Cosa era successo?
Una giovane prigioniera ebrea, a servizio di sua moglie, le parla del profeta Eliseo, capace di guarirlo. Pertanto, si reca da lui, che lo manda ad immergersi nel Giordano. Di qui il brano oggi ascoltato.
Ma, cosa succede ancora?
Non solo è mondato nella carne, ma è mutato nel cuore.
Si rende conto che c’è un solo Dio, quello che a lui si è manifestato attraverso il profeta Eliseo
Perché è avvenuto questo?
È avvenuto in forza della sua apertura di cuore, perché ha avuto fiducia in Eliseo, gli ha obbedito, nonostante l’obbiezione con cui egli esprime come le acque della sua patria, sarebbero state erano migliori di quelle del Giordano.
Il suo comportamento vale anche per noi.
Infatti, quanto più apriamo il cuore a Dio, attraverso la fede e la preghiera, tanto più riusciamo a vedere i miracoli continui di cui è costellata la nostra vita.
Si tratta di esercitarci ogni giorno, affinché i nostri occhi si abituino sempre a vedere con quanta premura Dio si prende cura di noi, delle nostra cose e dei nostri progetti.
Purtroppo, il più delle volte, non ce ne rendiamo conto e, di conseguenza, ce la prendiamo con Dio stesso.
Non siamo capaci di ringraziarlo, sempre e comunque.
Proprio a questo proposito è significativo l’altro miracolo, quello ascoltato dal Vangelo: “Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo”.
Alla domanda di Gesù, il quale chiede dove siano gli altri nove, egli non intende tanto insegnare la buona educazione e la gratitudine.
Soprattutto vuol farci capire la differenza che passa tra le due espressioni: “l’essere guariti e purificati, per mezzo dei sacerdoti” (essi, riconoscendo il fatto, lo reinseriscono nella comunità), e: “l’essere salvati, per mezzo della fede”.
Infatti, una cosa è la guarigione, altra cosa è la salvezza.
È vero che tutti e dieci sono stati guariti, ma solo per uno la guarigione e la salvezza hanno coinciso.
Ambedue - guarigione e salvezza - sono un dono di Dio.
Attenzione, però, a non scambiare il dono per un diritto. Quando uno pretende di ricevere una cosa perché è dovuta, per lui potrebbe non scattare la gratitudine.
Senza rendercene conto, questo potrebbe succedere anche a noi.
Spesso ci accostiamo al Signore per avere favori e grazie, come fossero un nostro diritto, non ci rendiamo invece conto che, quanto abbiamo nella vita, è sempre e tutto suo dono.
Non so sino a che punto sappiamo lodare e ringraziare il Signore per gli innumerevoli doni ricevuti, di cui spesso neppure ce ne accorgiamo!
Mentre, invece e purtroppo, siamo pronti a lamentarci ed essere scontenti di Lui, quando non ci concede quello che chiediamo!
Sac. Cesare Ferri rettore Santuario San Giuseppe in Spicello

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"... io piego le ginocchia
davanti al Padre,

dal quale ogni paternità
nei cieli e sulla terra." (Ef. 3,14-15)

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