Minicorso di Esercizi Spirituali 2020 sulla scorta del tema proposto dall'ISF
1.Abramo e Isacco - La prova della fede di Abramo
(Testo base di riferimento Gen 22, 1-19)
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Introduzione
Quando alla fine di un corso di esercizi spirituali viene chiesto ai partecipanti di esprimere un giudizio sull’andamento e sui suoi effetti, buona parte risponde: “Ci volevano, è stata una ricarica perché la batteria si era esaurita”.
Nulla da dire ed è vero. Gli stessi partecipanti poi, nell’incontro comunitario finale, evidenziano la perla ricevuta e i buoni propositi fatti.
Alcuni intervengono dicendo che nel passato sempre avevano fatto buoni propositi, ma con il trascorrere del tempo, non sono riusciti a mantenerli e si domandano da cosa possa dipendere.
Per intenderci, facciamo una banale analogia. Se getto un seme di fiori nella superficie di terreno del mio giardino, pur con il proposito di innaffiarlo tutti i giorni, esso non germoglierà, andrà perduto. Bisogna affondarlo sotto terra, solo così anche la mia cura otterrà l’effetto desiderato.
Questo vale anche per i buoni propositi. Riusciremo a mantenerli solo se sono fondati sul cervello, cioè se abbiamo idee chiare in testa. Gli esercizi devono servire per mettere in ordine le nostre idee sia di fede che di morale, comprendendole nel loro significato profondo; solo così sarà più facile mantenere i buoni propositi.
Quello che noi definiamo con il termine di “conversione”, è da intendersi soprattutto in questo senso. È vero che per essa intendiamo anche il passare dal male al bene, ma soprattutto sta nell’impegno di ogni giorno per scoprire quali siano le idee sbagliate, per poterle sostituire con quelle buone.
A tal proposito è quanto mai lampante la conversione di Paolo, che riprenderemo nella quarta riflessione. Egli era uno scrupoloso osservante ed altrettanto zelante della legge, era quindi un giusto. Se perseguitava i cristiani non era per cattiveria, ma per un fine buono, perché sarebbero dovuti essere come lui, pienamente osservanti della legge di Mosè.
La sua idea era oggettivamente sbagliata perché metteva al centro di tutto se stesso e la legge, mentre avrebbe dovuto mettervi Gesù Cristo. Lo comprende, ed ecco che si converte, cioè cambia la sua idea, non è più lui a stare al centro, ma d’ora in avanti è Cristo.
La vera conversione, dunque, è quella della mente, quella di togliere le idee sbagliate e sostituirle con un nuovo modo di pensare, al quale di conseguenza non può non seguire quello del buon comportamento.
È proprio quello che Paolo esprime nella lettera ai Romani: “Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto”.
In questa prima meditazione, dobbiamo vedere se abbiamo idee chiare sulla fede, specchiandoci su quella di Abramo.
Le figure di Abramo e di Isacco
Ci soffermiamo sulla figura di Abramo e del figlio Isacco.
Cominciamo da quella di Isacco e diciamo subito che è colui il quale anticipa in maniera quasi perfetta la persona e la figura di Gesù. A tal proposito facciamo un confronto.
Isacco è figlio unico, concepito in un grembo sterile, nato nella tarda età di padre e madre, cosa evidentemente in pieno contrasto con le leggi della natura, e quindi in maniera inspiegabile.
Anche Gesù, figlio unico di Dio e di Maria, è concepito in un grembo verginale per opera dello Spirito Santo, senza concorso umano e quindi umanamente non comprensibile.
Ambedue i casi ci mostrano chiaramente come ogni concepimento di vita, anche se avviene con il concorso dei genitori, rimane ed è sempre un dono che viene da Dio.
Il nome Isacco significa “Dio ha sorriso”, il nome Gesù significa “Colui che salva”. Anche nel nome di Gesù non si può non vedere ancora una volta il sorriso di Dio per l’umanità.
Dall’episodio biblico ascoltato, Isacco è in cammino verso Moria, porta sulle spalle la legna che dovrà servire per il proprio sacrificio; pure Gesù per lo stesso motivo porta la croce verso il calvario ove compirà il suo sacrificio.
Ad Abramo il Signore aveva promesso una lunga discendenza. Come può realizzarsi se il figlio non continua a vivere?
A Maria Santissima l’angelo aveva assicurato che il Figlio avrebbe avuto il trono di Davide e avrebbe regnato per sempre. Come si può realizzare e conciliare con il fallimento della sua morte in croce?
Isacco, ormai sostanzialmente sacrificato, viene ricondotto alla vita da Dio stesso che impedisce ad Abramo di stendere la mano verso il proprio figlio; anche Gesù, pur sacrificato e morto sulla croce, tuttavia risorge nuovamente a vita immortale.
Come è stato possibile ad Abramo, pur attraverso le mille contraddizioni, poter dar modo di realizzare le promesse di Dio?
Tutto è dipeso dalla sua fede.
La fede di Abramo
Tale e tanta è stata la fede di Abramo per cui tuttora è definito: “Nostro padre nella fede”.
All’inizio del brano ascoltato è detto: “Dio mise alla prova Abramo”.
Ma già da ancor prima, proprio all’inizio della sua storia, era stato messo alla prova. Percorriamo in sintesi queste due prove.
La prima è quella della partenza da Ur dei Caldei per una terra non precisata. Da notare che deve lasciare tutto – proprietà, parenti ed amici - e dirigersi in una terra del tutto sconosciuta, per nulla indicata, cosa che avverrà solo di seguito.
La seconda è quella di dover sacrificare il figlio, cosa non più conciliabile con la promessa di una lunga discendenza.
Come si comporta nei due casi, nei quali non ci capisce proprio nulla?
Egli semplicemente obbedisce e tace, anche se quello che gli capita è assurdo e incomprensibile.
Lo possiamo accostare ad un altro personaggio biblico, a quello di Giobbe, un altro grande campione della fece, il quale - a seguito delle mille disgrazie che gli sono piombate addosso - non si pone domande ma si affida alla sapienza provvidente del Padre celeste, con l’espressione: “Dio ha dato, Dio ha tolto, sia benedetto Dio”.
Se costoro obbediscono, lo è perché si fidano di Dio, perché credono che lui solo è l’unico bene, di fronte al quale tutti gli altri beni perdono valore e svaniscono.
Ed ecco che ci riallacciamo alle parole introduttive, con le quali dicevamo di convertirci nella mente. Dobbiamo credere che il Signore dispone tutto per il nostro bene, anche se noi ci capiamo nulla.
È vero che la fede basilare per tutti è credere alla sua esistenza, è vero che per i cristiani è credere a quello che è descritto nella formula del “Credo” ed in tutti i dogmi che la Chiesa definisce, nel Catechismo della Chiesa cattolica, ma essa raggiunge la sua perfezione quando ci si fida di Dio, sempre, anche quando non va come vorremmo noi, anche quando non ci capiamo proprio nulla.
A questo punto non possiamo non rispecchiarci anche con la fede di don Alberione.
Don Alberione quale nuovo Abramo
Don Alberione, senza dubbio, è un nuovo Abramo. È chiamato da Dio per farlo partire in una terra nuova, una strada non ancora battuta da nessuno, verso un territorio da evangelizzare o rievangelizzare con nuovi strumenti apostolici non pienamente approvati da tutti.
Il Signore lo rende consapevole di essere portatore di un futuro della Chiesa, facendolo diventare padre di una discendenza senza numero.
Quello che Isacco è stato per Abramo, altrettanto lo è il don Giaccardo per l’Alberione, è il primo figlio della promessa.
Anche la prova è stata analoga. La maggioranza del clero diocesano, infatti, non vedeva possibile ordinare presbiteri che lavoravano in tipografia in tuta e giacca. Chi stava con don Alberione non poteva essere ordinato presbitero.
“Sei disposto – dice il vescovo al Giaccardo – a rinunciare al sacerdozio per rimanere con don Alberione?”.
Il Giaccardo, credendo alla promessa di Dio fatta a don Alberione, è pronto alla rinuncia, accetta di non essere ordinato presbitero.
È bastata questa disposizione del cuore perché di fatto raggiungerà la meta desiderata, sarà il primo sacerdote della discendenza.
Se comprendessimo tutti che per poter avere una cosa, dobbiamo essere pronti a rinunciarvi, accettando il contrario! È così che avvengono miracoli.
Don Alberione e Don Giaccardo continuano ad affidarsi con piena fiducia al Signore, dal quale hanno la piena conferma con l’espressione: “Non temete! Io sono con voi”.
A seguito di tale espressione, come sappiamo, è emerso sia il segreto di riuscita, sia la famosa cambiale, cosa di cui non mi dilungo essendo stato l’argomento dei ritiri ed esercizi dello scorso anno.
Un esame sulla nostra fede
Siamo convinti che il Signore ci sta conducendo anche quando a noi non sembrerebbe? Questo, però, a patto che ci sia il massimo impegno anche da parte nostra per superare la situazione.
Siamo convinti che per esperimentare la presenza operante di Dio, alla fece dobbiamo unire la nostra umiltà? Si tratta di non contare principalmente su di noi, secondo l’espressione di Paolo: “Ho imparato ad essere povero e ho imparato ad essere ricco; sono iniziato a tutto, in ogni maniera: alla sazietà e alla fame, all'abbondanza e all'indigenza. Tutto posso in colui che mi dà la forza”; e secondo l’espressione di don Alberione: “Da me nulla posso, con Dio posso tutto”?
In altre parole, per umiltà intendiamo che ci sia rettitudine e purezza di cuore, che ci sia quindi sincerità, che cioè si agisca solo per la gloria di Dio, utilizzando i doni ricevuti messi a tale servizio, non cercando le gratificazioni ma anche sapendole accettare con riconoscenza se Dio le manda.
Per fede, in altre parole, dobbiamo intendere il fidarsi totalmente, il saper attendere nella ferma speranza, nel continuare a credere all’efficacia del bene anche se non si vedono immediati risultati.
Ed ora un suggerimento per la riflessione e preghiera. Possono aiutarci i salmi seguenti.
Salmo 36 (mattutino martedì II settimana).
Il suo tema è: “Affida al Signore la tua via ed egli compirà la sua opera”.
Esso traduce la beatitudine: “Beati i miti perché erediteranno la terra”.
Nel contempo svolge: “Il destino dell’empio e del giusto, nel significato biblico”.
Salmo 54 (ora media mercoledì II settimana).
Il suo tema: “Getta nel Signore il tuo affanno, egli ti sosterrà”.
Esso traduce: “Giuda, con un bacio tradisce il figlio dell’uomo?”.
Nel contempo svolge: “La sofferenza che proviene da chi meno te l’aspetti, da chi ti è sembrato amico e che ora ti è avverso e ti calunnia”.
Salmo 45 (vespri venerdì I settimana).
Ci assicura che Dio è con noi non solo contro la cattiveria altrui, ma anche contro le avversità della natura. Dio è sempre rifugio e forza: nei terremoti, nelle tempeste di mare, nelle inondazioni, nelle guerre.