Riflessioni di don Ferri in esercizi
"Vieni al Padre, fonte di Misericordia"
21 ottobre 2025 * S. Orsola martire
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14 Domenica C Invio dei discepoli      Esercizi Spirituali 2013 - Rilessioni dettate a famiglie 

     Terza riflessione
     La PEDAGOGIA della MISSIONE
     I due discepoli di Emmaus (Lc 24,13-33)
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Iniziamo con il proporci delle domande.
Come va la nostra opera educativa, innanzitutto verso i figli? Come va il nostro apostolato? Sono più le soddisfazioni o i fallimenti? Ne conosciamo il motivo? Su che cosa dobbiamo raddrizzare il tiro?
Ci può illuminare, in proposito, l’episodio dei due discepoli di Emmaus.

 Possiamo ben supporre che essi siano una coppia di sposi. Lo si desume dal fatto che l’evangelista dà il nome solo ad uno, quello di Cleofa; tale era la consuetudine: fra gli sposi si dava solo il nome del marito.
L’episodio è bello per voi sposi! Li potreste sentire molto vicini; vi possono aiutare, pertanto, a risolvere problemi analoghi.
Qual’ è il loro problema?
L’essere rimasti delusi, l’aver perso ogni speranza, l’aver sciupato tempo, e, di conseguenza, essere depressi e con il volto triste.
Quante volte, questo stato d’animo, avviene con se stessi! Avviene tra coniugi, con i figli, tra i parenti, col vicinato, fra colleghi di lavoro, negli ambienti che si frequentano!
Riflettiamo ancora sui due discepoli.
Hanno una tristezza e un pessimismo così radicato nel cuore, che neppure la notizia delle donne li aveva scossi. Gesù l’aveva previsto: “Voi tutti patirete scandalo per causa mia”. Scandalo, e perciò inciampo, caduta, delusione, scoraggiamento.
Abbiamo avuto, in antecedenza, un caso analogo: quello di Giuda.
Anch’egli aveva sperato. Rimasto deluso, decide la morte di Gesù. Era stato chiamato, vi era stata la risposta, apparentemente di adesione, ma in realtà, molto probabilmente, per poter realizzare i propri sogni, più che una risposta di fiducia e di amore
A ragione, in antecedenza, Gesù aveva sottolineato: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi”.
Allora, poniamo una domanda a noi stessi.
Nella varie circostanze della vita, siamo noi a fare scelte di proprio arbitrio, per motivi molto umani, o le facciamo come risposta ad una chiamata dall’alto, per una missione che intende affidarci?
La scelta solo umana porta anche a vergognarsi della croce di Gesù. Cioè, l’incapacità di accettare una fine non gloriosa. Tali potrebbero essere per noi certi fallimenti. Paolo dirà ai Galati: “Quanto a me, non vi sia altro vanto che nella croce di nostro Signore Gesù Cristo”.
Cosa, allora, c’è da tener presente? Quello che ci suggerisce la celebrazione Eucaristica.
L’Eucaristia – come detto nella precedente riflessione - è anzitutto “memoriale” del Sacrificio della Croce (l’altare rappresenta la pietra del sacrificio), poi è anche Sacro Convito (l’altare diventa la tavola per la mensa). Questo ci dice che nella vita non può mancare il sacrificio e non deve mancare la duplice mensa (parola ed eucaristia) per avere la forza di affrontare il sacrificio stesso.
Ora riflettiamo sulla dinamica dell’episodio ascoltato.

“Lo riconobbero allo spezzar del pane”. Il fatto era stato preparato da due ore di liturgia della Parola. La citazione delle Scritture ed una omelia che all’inizio, forse, era stata ascoltata con diffidenza e pregiudizio, ma che, di mano in mano, aveva suscitato maggiore interesse: “Non ci ardeva il cuore, mentre ci parlava lungo la strada?”.
Importante e necessaria è stata tale omelia, ma ancor più importante è il proseguo. A tale scopo è l’annotazione evangelica: “Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, Gesù fece come se dovesse proseguire”.
“Fece finta” di proseguire, perché lo invitassero a rimanere. Dovevano capire che la Mensa della Parola non era sufficiente per entrare nel mistero, occorreva anche la Mensa del Corpo sacrificato.
“Duplice mensa”, non “doppia mensa”, come se potessimo scegliere. Quindi la stessa mensa con due cibi necessari. Non è pienamente efficace l’una senza l’altra.
Quale non fu l’intuizione di don Alberione, su questo punto! Diceva: “L’Eucaristia e la Parola nutrono lo spirito; Eucaristia e Bibbia formano il cristiano missionario; devono essere due realtà inseparabili e inseparate nel cuore del credente”. Ed aggiungeva: “Non potete portare l’Eucaristia, portate nel taschino una pagina di Vangelo”.
Vediamo ora gli effetti della celebrazione eucaristica che, nel contempo, è “culmine” della nostra vita e “fonte” per la nostra missione.
La “Mensa della Parola” è orientata alla “Mensa del Corpo”.
I due discepoli, avvinti dalla parola, chiedono di continuare la celebrazione.
Dicono: “Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto”. Come a voler dire: “Non vi è ancora luce piena nel nostro cuore”; però vi era anche una ricerca perché, in fondo, erano in buona fede. Cosa questa che, qualche giorno prima, non era avvenuta in Giuda. Di lui, che uscì dal cenacolo, l’evangelista ha dovuto annotare: “Ed era notte”, non solo fuori ma dentro di lui.
Nei due discepoli, invece, non è più notte, in loro occhi si aprono. Cioè, nel loro cuore maturano i quattro ambiti della vita di fede. Sono i frutti più belli dell’Eucaristia.
A questi frutti dovrebbero condurci sia la celebrazione domenicale, sia altre celebrazioni privilegiate, come le nostre di questi giorni.
Riconoscere Gesù
. Una cosa è conoscere, altra cosa è riconoscere.
I due discepoli in antecedenza lo avevano conosciuto, eppure per quella strada non lo hanno riconosciuto. E’ successo anche per altri discepoli: Maria Maddalena lo scambia per l’ortolano; sul mare e nel cenacolo lo scambiano per un fantasma.
Facile è riconoscere in un certo tipo di contesto, più difficile in un altro, soprattutto se fatto di sofferenza. Saper riconoscere la presenza di Gesù in ogni momento della vita.
Può succedere anche nell’ambito di coppia e di famiglia, fra persone ritenute amiche: “Non ti riconosco più!”.
Capire la storia come storia di salvezza
.
Allora tutto nella vita si illumina. Si capisce che, quanto capita, fa parte di un disegno. Si capisce che Dio è bontà, misericordia e provvidenza.
Si capisce quanto dice don Alberione: “Ci viene donato il senso della storia, cioè la convinzione che essa è la piattaforma sempre e comunque dell'amore del Padre”, o quanto dice san Paolo: “Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio”.

Capire la propria storia.
Escono dalla crisi di identità e riscoprono il valore della loro sequela. Infatti, il centro di interesse non è più la loro situazione e non sono le loro attese, ma il piano di Dio che si svolge anche e nonostante l’apparente fallimento.
Quanti componenti dell’Istituto soffrono di una crisi di appartenenza! “L’Istituto – dicono – non mi dà più nulla”. Da cosa dipende? Cosa ti aspettavi? Hai curato la tua appartenenza? Di chi, allora, la colpa?
Si va in crisi se non si è coltivato l’ “essere” (non dimenticare che è opera di Dio), l’ “avere” (non perdere gli appuntamenti oranti e formativi), e il “dare” (l’opera apostolica inerente, oggetto del punto seguente).
Diventare testimoni e missionari dell’amore
.
I due discepoli non possono contenere l’esperienza delle meraviglie di Dio ed hanno urgenza di comunicare quanto avevano udito, visto e sperimentato. Perciò “partono senza indugio”.
Il bicchiere pieno, travasa; l’essere pieni di Dio, non può non portare alla testimonianza, cosa che, ancor prima di parole, è fatta di stile di vita.

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"... io piego le ginocchia
davanti al Padre,

dal quale ogni paternità
nei cieli e sulla terra." (Ef. 3,14-15)

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