Riflessioni di don Ferri in esercizi
"Vieni al Padre, fonte di Misericordia"
13 ottobre 2024 * S. Edoardo re
itenfrdeptrues
Inviati due a dueEsercizi Spirituali 2017. 
Rilessione dettata a famiglie dal rettore Sac. Cesare Ferri nel corso svolto a Roverè Veronese nei giorni 16-17 giugno 2017
1.INVIATI DUE A DUE - Inviati insieme
(Testo base di riferimento Lc 10,1-20)
Per il documento:
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Premessa

Dalla lettura ascoltata emerge un dato di fatto.
Gesù manda i discepoli ad annunziare il Regno, due a due. Pone anche le condizioni, che cioè siano rivestiti della mansuetudine degli agnelli, che non abbiano provviste di cibo per il viaggio, e quindi senza la necessità di portare una borsa.

Sono mandati a portare il saluto di pace, a mangiare quello che sarà loro offerto, a curare gli ammalati.
Da notare subito il “due a due”. Certamente, lo è per sostenersi e completarsi a vicenda; ma lo è pure come mezzo per evidenziare l’esercizio della carità vicendevole, cosa questa che già di per se stessa testimonia di fatto una comunione di intenti e, senza tante altre parole, diventa apportatrice di serenità e di pace. Proprio con tale atteggiamento va annunciato il Regno di Dio.
Inoltre, viene spontaneo pensare al fatto che il “due a due”, nel nostro contesto, sia riferito alla coppia di sposi. Guai se in ogni opera di educazione e di apostolato gli sposi non stanno insieme e non camminano in sintonia, anche se non è sempre possibile una vicinanza fisica!

In cosa consiste la missione
Noi, per esprimere il fatto di questo invio di annunciare il regno con un solo termine, diciamo che Gesù manda in “missione”. Ed in effetti, tutti siamo mandati in missione.
Qual è il valore e la portata del termine “missione”?
Quali sono i mezzi, da utilizzare o meno, per la buona riuscita della missione?
Tempi addietro, la missione veniva riferita a coloro che lasciavano la propria patria per andare in altri continenti. Queste persone, che erano presbiteri appartenenti a congregazioni religiose fondate per tale scopo, erano chiamati “missionari”. Successivamente, anche i laici hanno percorso la stessa strada, recandosi in terra di missione per un periodo più o meno lungo, compatibilmente al loro stato di vita.
Poi nel tempo, si è presa maggiore coscienza del fatto che la missione va compiuta non solo in terre lontane, ma anche nella propria famiglia, nell’ambiente di lavoro, fra i vicini e i conoscenti; una missione da svolgersi sia in maniera singola, sia come coppia di sposi, ed anche come comunità parrocchiale ed ecclesiale.
Qual è lo scopo della missione?
Direi che è unico, anche se svolto in diverse forme e maniere. Si tratta di testimoniare con le parole, e soprattutto con la vita, che siamo inseriti nel regno di Dio, che Gesù risorto è vivo in mezzo a noi ed è perennemente operante a nostro favore.
In altre parole, si tratta di trasmettere con la nostra vita un continuo atteggiamento di fiducia e di speranza, le uniche cose che danno serenità e pace. Ed infatti Gesù ha detto: “In qualunque casa entriate, prima dite: pace a questa casa”.

Lo specifico dell’amore coniugale
In questa nostra riflessione, vogliamo soffermarci soprattutto sul fatto che anche i coniugi, come tali, sono chiamati a compiere una propria missione.
Il Papa lo sottolinea in Amoris Laetitia al n. 121.
Egli, innanzitutto, dà la motivazione teologica del matrimonio: “Il matrimonio è un segno prezioso, perché «quando un uomo e una donna celebrano il sacramento del Matrimonio, Dio, per così dire, si “rispecchia” in essi, imprime in loro i propri lineamenti e il carattere indelebile del suo amore. Il matrimonio è l’icona dell’amore di Dio per noi.
Anche Dio, infatti, è comunione: le tre Persone del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo vivono da sempre e per sempre in unità perfetta. Ed è proprio questo il mistero del Matrimonio: Dio fa dei due sposi una sola esistenza».
Poi presenta le conseguenze che derivano da tale verità: “Questo comporta conseguenze molto concrete e quotidiane, perché gli sposi, «in forza del Sacramento, vengono investiti di una vera e propria missione, perché possano rendere visibile, a partire dalle cose semplici e ordinarie, l’amore con cui Cristo ama la sua Chiesa, continuando a donare la vita per lei»”.
Da quanto letto nelle espressioni del Papa, possiamo ben conoscere lo specifico della missione coniugale.
Per gli sposi sta nell’esprimere, in maniera ancor più visibile, attraverso il loro amore di coppia, quello che a sua volta è l’amore del Signore per ciascuno di noi, quello che è l’amore di Cristo per la sua Chiesa.
Quali caratteristiche ha l’amore del Signore?
Il Signore sempre ci illumina e ci sostiene, non si stanca di essere benevolo e misericordioso con noi, ci perdona sempre, non si lega nulla al dito, ci fa sempre nuovi. Ci presenta il suo Figlio Gesù che ha dato tutto se stesso per noi, dicendoci di imitare il suo stile di vita.
Come si fa a comprendere e a far capire che il Signore ha fatto e fa tutto questo?
Dovrebbe bastare guardare gli sposi nel come si amano, si sostengono, si comprendono, si perdonano. Questo diventa tanto più possibile ed eloquente quanto maggiormente vivono in pienezza il loro matrimonio.
È in questo modo che gli sposi annunciano come il regno del Signore sia in mezzo a noi; è così che di fatto compiono la loro specifica e precipua missione.
Ma, andiamo con ordine, scendiamo al pratico e mettiamo le giuste fondamenta, mancando le quali non si costruisce nulla; ed anche se sembrasse di ben costruire, non c’è garanzia di durata, per cui si vanifica ogni tipo di missione.
Qual è il motivo della chiamata di Gesù?
Da notare che ci sono due momenti che si susseguono e si integrano a vicenda.
Gesù chiama ognuno di noi per essere, prima di tutto, suoi discepoli; solo in un secondo momento per essere inviati in missione.
Questa verità è espressa bene nel vangelo che asserisce: “Chiamò quelli che volle perché stessero con lui e per mandarli”.
In questa espressione è ben chiara la chiamata al discepolato e alla missionarietà.
In quanto “discepoli”, siamo chiamati stare con lui ed andare “dietro” a lui; dobbiamo, cioè, imparare a fare quello che fa lui e, nel contempo, a ricevere la necessaria forza che proviene da lui, per riuscire ad essere veri discepoli.
In quanto “inviati”, siamo chiamati ad andare “davanti” a lui, con la garanzia che dietro a noi, a difesa e sostegno, c’è sempre lui con la sua luce e la sua forza.
Il missionario, è mandato ad essere strumento per aprire la strada e soprattutto i cuori, alla venuta del Signore, di modo che quando arriva lui, possano accoglierlo ed avere da lui la grazia per risolvere ogni problema.
Applichiamo questo a noi, alla nostra specifica chiamata nell’Istituto. Siamo chiamati per stare con lui e per essere mandati da lui in missione.
Stare con lui. Quelli che, ad esempio, trascurano il ritiro mensile, perché hanno da fare in parrocchia, pospongono quello che è chiesto dal Signore; curano il fare e trascurano l’essere; curano la missione e trascurano lo stare con lui.
Per tale fatto, siamo invitati a porci una domanda. Quello che facciamo, lo facciamo per il Signore o prevalentemente per la nostra gratificazione?
Ho sentito ripetere espressamente da qualcuno: “Non vengo al ritiro perché la parrocchia mi dà molto di più!”. Il fatto potrebbe essere segno di una non chiamata all’Istituto. Ed allora nulla da dire.
Peggio invece è sentirsi ripetere, non come eccezione giustificata, ma come norma: “Non vengo al ritiro perché ho da fare in parrocchia”; oppure per altri motivi familiari che, a volerlo, potrebbero essere omessi o rimandati.
Come possiamo crescere nella fede e nel bene se non mettiamo a fondamento il Signore?
Inoltre, c’è un’altra cosa da considerare.
L’efficacia della missione non dipende dal numero degli inviati o dai mezzi a disposizione, ma dalla fiducia e dall’abbandono che abbiamo nel Signore che manda, che accompagna, e che sempre sorregge e protegge.
In questo senso è da intendersi il: “Pregate il Signore perché mandi operai per la sua messe”. Se siamo legati a lui, gli operai non mancheranno mai. Infatti, se non siamo uniti a lui, come può mandarci?
Se manca questo contatto ed arricchimento si batte l’aria; potremmo essere umanamente soddisfatti, ma con quale misura si estende il Regno di Dio?

I mezzi e il campo specifico della missione
Per mantenersi nel giusto spirito, interviene il documento conciliare sull’apostolato dei laici dice: “Siccome è proprio dello stato dei laici che essi vivano nel mondo e in mezzo agli affari secolari, sono chiamati da Dio perché, ripieni di spirito cristiano, a modo di fermento esercitino nel mondo il loro apostolato”.
Da sottolineare, come pocanzi accennato, è: “A modo di fermento”.
E, per scendere terra a terra, porto una similitudine.
Il primo motivo che spinge a lavorare è per mantenere la famiglia; ma a monte ci sta una necessità, quella di usufruire dei mezzi per aver la forza di lavorare; si tratta, cioè, di mangiare e riposare sufficientemente, altrimenti non si ha la forza di proseguire efficacemente nel lavoro.
Così è per l’apostolato. Se non ci si ricarica continuamente della grazia del Signore, come si può riuscire a dare testimonianza e fare un buon apostolato?
L’apostolato, in quanto fatto di presenza, di parola ed di opere, consiste proprio nell’ “essere fermento nel mondo”.
Ora, come il sale se insipido non serve, e come il fermento se non è buono non fermenta; così è nell’apostolato. Esso richiede che sia vissuto pienamente lo spirito cristiano, tale che diventa un traboccamento del medesimo.
Nel caso nostro che sia vissuto pienamente lo spirito paolino, su cui rifletteremo nella prossima meditazione.
Il cammino di fede in genere, la partecipazione agli incontri specifici promossi dall’Istituto, hanno questo scopo. Servono a noi per non scoraggiarci, servono di conseguenza agli altri perché meglio ricevano l’efficacia della grazia.
L’ISF ha una parte preponderante per aiutare in questo. Non è possibile essere apostoli e durare se – lo ripeto ancora - non ci si va a caricare.
Questo, non per abbandonare i luoghi e le azioni di apostolato, ma proprio per il contrario; la cosa è resa più che mai necessaria, proprio per portare maggiore frutto nell’apostolato stesso.

Caratteristiche della missione
Da tener sempre presente che la missione si svolge in un mondo ostile. Gesù lo dice chiaramente, ci manda come “agnelli in mezzo a lupi”. Spesso, sono lupi vestiti da pecora. Lo è stato per Gesù. Lo erano gli scribi e i farisei, i quali ipocritamente cercavano tutti i modi di coglierlo in fallo.
Oggi lo è, innanzitutto, per Papa Francesco. Per lui sono coloro che si mostrano contrari al suo stile di vita. Essi denigrano la sua apertura e misericordia, come se fosse un venir meno alle verità della fede; estrapolano alcune sue espressioni per far dire quello che non intendono dire.
Ma lo è anche per tutti coloro che rettamente danno testimonianza di fede e fanno un apostolato disinteressato, tanto più che sono mandati senza un adeguato equipaggiamento, senza neppure quel minimo di sandali e bisaccia.
Questa è una espressione simbolica, per dire che non dobbiamo contare su noi stessi, ma sulla potenza della sua grazia, proprio per attuare quello che Paolo sottolinea: “Quando sono debole è allora che sono forte”.
I brani biblici che ci sono suggeriti lo dicono chiaramente.
In Esodo, Mosè che dice al Signore: “Io non sono un buon parlatore, sono impacciato di bocca e di lingua”.
Ed il Signore che gli risponde: “Io sarò con la tua bocca e ti insegnerò quello che dovrai dire”.
Poi aggiunge: “Terrai in mano questo bastone, con il quale tu compirai prodigi”.
Uno di questi prodigi è descritto nell’altro brano suggerito, in Atti degli Apostoli. Il mago Elimas si oppone alla predicazione di Paolo. Ed ecco il prodigio, diventa cieco.
Altra cosa importantissima è quella descritta nella prima ai Corinzi. Guai alle divisioni, all’ “Io sono di Paolo … io sono di Apollo …”.
Ancora una volta, lavoriamo per il Signore o per fare apparire noi stessi ed il nostro punto di vista?
Ed inoltre, perché Gesù ci manda all’avventura – come detto sopra - senza un adeguato equipaggiamento, neppure quello minimo dei sandali e della bisaccia?
Egli ci vuole pieni e traboccanti solo di pace, di tanta pace e serenità da riempire le case, le famiglie, i cuori.
Proprio come Gesù proclama nel discorso della montagna:
“Cercate prima di tutto il regno di Dio, tutto il resto vi sarà dato in aggiunta”. 

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"... io piego le ginocchia
davanti al Padre,

dal quale ogni paternità
nei cieli e sulla terra." (Ef. 3,14-15)

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