
Riflessione dettata dal Rettore alle famiglie riunite in ritiro soirituale il 14 ottobre 2012 nel Santuario San Giuseppe in Spicello di San Giorgio di Pesaro
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Questa ultima beatitudine si ricollega alla prima, in quanto dona la stessa ricompensa: “Di essi è il Regno dei cieli”.
Da notare che la ricompensa è al presente e non al futuro, come, invece, lo è per le altre. Questo per dire che, di fatto, siamo già dentro il regno e comprendiamo meglio le cose di Dio.
Infatti, analoga è anche la situazione: i poveri, gli umili e i deboli sono sempre perseguitati dai ricchi e dai potenti; i buoni sempre da chi è senza timore di Dio, da chi, di fatto, non fa nessun cammino spirituale.
Ma ambedue hanno Dio per alleato e difensore, il quale dà la medesima ricompensa.
Analizziamo il significato del termine “giustizia”.
Anche un ladro è controllato, è perquisito, è messo in prigione… ma non certo a “causa della giustizia”!
Sappiamo che la “giustizia evangelica” consiste nel cercare e fare la volontà di Dio. Questo, ovviamente, ci avvicina a lui e ci fa assomigliare a lui: in altre parole ci fa entrare nel suo regno. Per cui veramente già “di essi è il regno dei cieli”.
Ed ecco il parallelo: chi più giusto di Gesù Cristo? E chi più perseguitato di lui?
La lettura ascoltata ci ha già detto questo: “Se hanno perseguitato me…”. E altrove: “Sarete odiati da tutti a causa del mio nome”.
E il salmo: “Più numerosi dei capelli del mio capo sono coloro che mi odiano senza ragione; sono potenti i nemici che mi calunniano”.
Questo vale a livello individuale… di coppia e famiglia… di istituzione… di gruppo impegnato…ecc. Chi non ha da soffrire per causa di altri, diventando oggetto di odio, proprio perché è di disturbo? Anche il carabiniere è di disturbo per il ladro! Non per questo il carabiniere smette di fare il suo servizio!
Come rispondere a simili situazioni? Con la stessa arma? Certo! Con l’arma della vendetta, quella di Dio!
Se siamo nel regno di Dio, si risponde con la stessa arma di Dio: l’amore, la misericordia, il perdono…, come insegnatoci da Gesù: ”Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano”.
Il “pregare” qui non è tanto per la loro conversione, quanto per la propria capacità di amare; per essere, a nostra volta, segno dell’amore di Dio.
Tanto più questo nell’ambito di coppia sposata e chiamata, per via privilegiata, ad essere tale segno. Altro che separarsi per futili motivi e non mettere in pratica la continua misericordia, il perdono e il ricominciare con nuovo impegno.
Ancor di più nell’appartenenza all’Istituto, come siete voi per la maggior parte: gli avversari, spesso, sono proprio quelli di casa, i parenti, i vicini, gli amici che, di conseguenza, diventano ex amici.
Vogliamo che non ci siano le persecuzioni? Impossibile!
È quanto mai importante tenere presente la parabola della zizzania.
Gesù non dice che la zizzania cresce accanto, ma in mezzo al buon grano; ed invita a non estirparla, avendo radici profonde e ramificate, così da non correre il rischio di estirpare anche il grano.
Bisogna imparare a conviverci. Chi sa che, col tempo, non si trasformi in buon grano? Se è impossibile in natura, non così sul piano della fede e della grazia.
Così nella coppia: saper convivere con i difetti e limiti dell’altro! Con la preghiera emergeranno, a proprio favore, le buone qualità e diminuirà il peso dei difetti.
Vi sono anche altri tipi e sfumature di persecuzioni. Ci sono anche le invidie e le gelosie.
È soprattutto a causa di queste che avvengono discordie e divisioni nelle famiglie e nelle comunità.
E poi ci sono gli insulti, le derisioni, le ironie.
E, non contento di oltraggiare, c’è chi cerca anche di screditare e diffamare con dicerie anche calunniose, perché si perda mordente presso gli altri e presso la comunità.
Attenzione! Questo è normale. Guai se non fosse così! Così, come per Giuda: il tradimento doveva avvenire, ma guai a quell’uomo per cui è avvenuto!
Ogni cristiano o istituzione ecclesiale che non dia urto e fastidio, nello spirito delle beatitudini, dimostra di non essere pienamente autentico.
Quindi, in un certo senso, è necessario che avvenga questo: serve anche per mettere alla prova i componenti.
È il caso qui di ricordare Paolo: “Sono pieno di consolazione e gioia in ogni tribolazione. Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo quello che manca alla passione di Cristo”.
Non che si debba aggiungere qualcosa alla sua passione, quanto si tratta di viverla in unione con lui, per la propria santificazione e per la redenzione del mondo.