Riflessione tenuta dal rettore alle famiglie riunite in ritiro il 12 luglio 2015 presso il Santuario San Giuseppe in Spicello di San Giorgio di Pesaro.
LA COMPASSIONE
Parole di autentica relazione
(Testo di riferimento: Lc 10, 25-37)
Per il documento: clicca qui
La misericordia e la compassione
La prossima apertura del Giubileo straordinario della “Misericordia” di Dio richiama il sinonimo, quello della “Compassione” di Dio, l’argomento su cui oggi vogliamo riflettere.
La “misericordia” significa avere il cuore rivolto al bisognoso, al misero. La “compassione” significa patire con chi è nella sofferenza, nella miseria e nel bisogno.
Dio, per far comprendere la sua compassione e la sua misericordia, per tirarci fuori dall’abisso in cui eravamo caduti, ha provveduto mandando il suo Figlio che ci ha redenti e salvati.
Egli è la misericordia personificata e visibile del Padre.
In tutto il Vangelo di Luca è molto evidenziata la misericordia di Dio. Essa è illustrata nella parabola dei due figli, di cui uno se ne va di casa e l’altro resta; in quella della pecorella smarrita e della dramma ritrovata; ed anche in questa del buon samaritano.
Come introduzione ad essa, è presentata la domanda: “Che devo fare per avere la vita eterna?”.
La “vita eterna” non è una cosa da venire, ma è già presente nella nostra vita quotidiana, sia pure in germe: si tratta di accoglierla, di viverci dentro e di metterla in pratica nel vivere il comandamento dell’amore.
La parabola del buon samaritano
Come nel padre del figlio che se ne va, è rappresentato Dio Padre misericordioso, così qui. Il buon samaritano è sempre Dio che manifesta la sua vicinanza e la sua opera per noi peccatori e per la nostra salvezza.
Egli, nel Figlio Gesù Cristo, scende in questo mondo, si fa prossimo ad ognuno di noi, percorre le nostre strade, vive le nostre situazioni; mostra di avere compassione e misericordia verso di noi. Esortandoci ad imitarlo, alla fine dirà: “Fai anche tu come ho fatto io, cioè fatti prossimo agli altri, amali con lo stesso amore gratuito e immeritato, come ho fatto io, sappi comprendere le loro debolezze, le infedeltà, i peccati e le sofferenze di ogni genere”.
Gesù si è fatto in tutto simile a noi, in quello che è tentazione, prova, sofferenza, ad eccezione del peccato. Eppure, pur essendo senza peccato, si è fatto peccatore caricandosi sulle spalle i peccati di tutta l’umanità. Così facendo, ci ha ottenuto la grazia e ci ha dato la possibilità di superare ogni tentazione e liberandoci di mano in mano dal peccato.
Vediamo il comportamento di Dio manifestato concretamente nella parabola.
Vediamo anche il metodo e lo stile di questo suo farsi prossimo. Dobbiamo fare nostro questo stile per dimostrare che siamo compassionevoli e misericordiosi, che amiamo veramente.
I personaggi della parabola
Consideriamo il comportamento dei quattro personaggi della strada per conoscere chi di loro è nel giusto e chi, invece, sbaglia pur credendosi nel giusto.
Il primo.
E’ “un uomo” che ha bisogno di soccorso. Potrebbe essere uno conosciuto o meno, un amico o un nemico, un credente fedele o un non praticante, un ricco o un disgraziato, uno per bene o un delinquente: è una delle tante persone di questo mondo.
Il secondo e il terzo.
Sono “un sacerdote” del tempio (paragonabile a chi fa un servizio strettamente religioso) ed “un levita” con un compito minore, (paragonabile a chi fa un servizio sociale e politico): ambedue tornano a casa, dopo aver svolto il proprio compito.
Il quarto.
E’ ancora “un uomo” fra i tanti, che è di passaggio e che ha una certa fretta a causa del suo lavoro di commerciante, in visita ai suoi clienti.
Per meglio entrare nello spirito della parabola, importante è l’inciso “per caso”. Denota una circostanza non prevista e fuori programma, valida per i tre personaggi.
Importante è anche l’altro inciso “passò oltre”, valido per il secondo e terzo personaggio, come a dire: “Non ho tempo da perdere; non è il mio compito, peggio per lui; poteva stare più all’erta, ho altro da fare, ho fretta; ci penseranno altri”.
Il comportamento dei due, pertanto, potrebbe essere ricondotto ai seguenti motivi che non mancano nella nostra vita: la “fretta” per il da fare; la “paura” per non compromettersi; l’”alibi” che fa trovare sempre mille giustificazioni.
Trasferito più direttamente e concretamente a noi.
Ci richiama il legame esistente tra la pratica religiosa vissuta con la preghiera ed il servizio al prossimo vissuto nelle opere di bene.
E’ un legame imprescindibile; non può esserci l’uno senza l’altro: “La fede senza le opere – dice San Giacomo – è morta”; come le opere, senza il soffio dello Spirito, ben poco costruiscono in relazione al Regno di Dio. Ovviamente, da ognuno di noi è vissuto in modo unico e irrepetibile. In ognuno può prevalere o l’uno o l’altro aspetto, ma non possono escludersi a vicenda, anzi devono integrarsi.
Gesù ha vissuto tutto questo.
In un prefazio diciamo: “Nella sua vita mortale egli passò beneficando e sanando tutti coloro che erano prigionieri del male. Ancor oggi come buon samaritano viene accanto ad ogni uomo piagato nel corpo e nello spirito e versa sulle sue ferite l’olio della consolazione e il vino della speranza”.
Un’altra verità da tener presente
Gesù non solo è il buon samaritano, ma anche colui che è incappato nei briganti. E’ stato ridotto così a causa dei nostri peccati, secondo l’espressione di San Paolo: “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio”.
Chi è il prossimo
Nella cultura e nella prassi degli Israeliti l’amore al prossimo aveva dei limiti. “Quante volte devo perdonare?”, chiederà Pietro. Qui il dottore della legge domanda: “Quali sono le persone meritevoli e degne di essere aiutate? Chi è, pertanto, il mio prossimo?”.
Gesù capovolge la domanda: “Il prossimo non è da riferirsi agli altri nei nostri confronti, ma siamo noi che dobbiamo diventare prossimi agli altri”.
E’ proprio quello che ha fatto Dio per mezzo di Gesù Cristo. Davanti a lui nessuno è escluso: egli è morto per tutti, è disposto a perdonare tutti, lo fa per genuino amore, senza alcun interesse per se stesso.
Tutto questo è espresso attraverso i vari momenti e gesti compiuti dal buon samaritano. Sono dieci, li potremmo definire “il decalogo del farsi prossimo”.
E’ quello che ha fatto Gesù per ciascuno di noi, invitandoci a fare altrettanto verso gli altri.
“Lo vide…”. Gesù conosce le nostre tentazioni, vede i nostri peccati, è vicino alle nostre sofferenze.
Noi, verso gli altri, siamo benevoli? Pur condannando il peccato, siamo comprensibili verso la situazione peccaminosa della persona?
“… ne ebbe compassione”. Gesù assume le stesse viscere di misericordia di Dio, quando per bocca del profeta Osea dice: “Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione”. Per questo infinito amore, infatti, ha mandato il Figlio sulla terra.
Noi abbiamo un cuore simile verso gli altri? Vediamo anche il positivo che è in essi? Le eventuali “osservazioni e critiche” sono costruttive?
“Gli si fece vicino…”. Veramente Gesù si è fatto “prossimo”: in tutto simile a noi ad eccezione del peccato.
Aiutiamo veramente il prossimo o lo demonizziamo, come vedessimo il diavolo incarnato? Lo indichiamo perfino agli altri come persona da sfuggire?
“… gli fasciò le ferite”. La compassione non è solo emozione ma porta all’azione: per questo Gesù ha istituito i sacramenti. Attraverso di essi, Gesù opera in noi.
Il nostro agire è “apostolato” anche in questo senso? Siamo strumenti per il sollievo corporale, morale e spirituale del prossimo?
“… versandovi olio e vino”. Sono l’oggetto del lavoro commerciale del Samaritano che, in questo caso, non vende ma dona gratuitamente. Viene da pensare al costato di Gesù crocifisso da cui esce sangue ed acqua, come a dire: “Non ho più nulla, ho donato tutto”.
Il nostro servizio di amore verso gli altri è veramente disinteressato?
“… poi lo caricò sulla sua cavalcatura”. Non lo fa fare ad altri. Lo fa direttamente, senza badare al tempo impiegato a scapito del lavoro.
Siamo capaci di volontariato, almeno in qualche momento della vita?
“… lo portò in un albergo”. Lo vuole aiutare sino alla completa guarigione. Gesù per fare questo ha fondato la Chiesa e ci affida ad essa.
E noi, a volte, quante critiche alla Chiesa ed ai suoi ministri ed altre persone che operano! Senza pensare che, essendo fatta di noi, ci buttiamo la zappa ai piedi!
“… si prese cura di lui”. Lo assiste sino al giorno seguente, ancora una volta senza badare a se stesso. Gesù, attraverso la Chiesa e mandando il suo Spirito, ha cura di noi, ci offre la sua parola, ci dona il suo perdono, ci arricchisce della sua grazia.
Cosa facciamo noi per gli altri? Quale tipo di apostolato svolgiamo, sia pure il più consono a noi? A quale particolare apostolato siamo chiamati? C’è quello della preghiera e della sofferenza; quello della vicinanza e dell’ascolto e quello dell’azione; quello della riparazione e quello della supplica.
Abbiamo diverso materiale su cui riflettere.