Riflessioni di don Ferri in ritiri
"Vieni al Padre, fonte di Misericordia"
17 dicembre 2025 * S. Viviana vergine
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Uomo immagine di DioRiflessione tenuta dal rettore alle famiglie riunite in ritiro il 13 settembre 2015 presso il Santuario San Giuseppe in Spicello di San Giorgio di Pesaro.
COMPLEMENTARIETA': Un aspetto della relazione
(Testo di riferimento: Gn 2, 18-25)
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Nella Genesi ci sono due racconti della creazione. Il brano che abbiamo ascoltato è il secondo racconto.

Nel primo racconto si affermava che tutte le cose create da Dio erano “buone”; dopo la creazione dell’uomo si affermava che era cosa “molto buona”.
Sappiamo, dal testo biblico, come il Signore abbia creato in sei giorni e come si sia riposato al settimo, seguendo quindi il ritmo della settimana.

E’ chiaro che il tempo reale della creazione non è questo e che Dio non ha bisogno di riposo.
Per quale finalità, allora, il racconto è così formulato?
Per insegnare che, concludendosi la settimana con il sabato, dobbiamo dedicare questo giorno al Signore. In esso siamo chiamati a lodare il Signore stesso per tutto quello che ha fatto e che continua a fare di bello e di buono a nostro favore. Ci invita a vivere in armonia con Lui stesso e con tutto il creato. In fondo, è quello che Papa Francesco ribadisce con l’enciclica “Laudato sì’”.
Inoltre, è anche per sottolineare che al settimo giorno dobbiamo sospendere ogni attività, dobbiamo veramente riposare. Questo avviene soprattutto se il giorno è dedicato esclusivamente al Signore, nei tempi e nei modi dovuti.
Qual’é, invece, la finalità del secondo racconto, che abbiamo ascoltato oggi?
Soprattutto è per insegnarci ad essere in armonia con l’ultima cosa creata, che è “molto buona”, cioè con l’uomo, per il quale dobbiamo avere una grande attenzione e cura.
In questo secondo racconto, si descrive il senso profondo della realtà umana e in cosa consista il “molto buono”.
Il Signore, dopo aver ribadito l’oggetto del primo racconto, cioè l’armonia tra l’uomo e il mondo materiale - tipizzato negli animali – passa a descrivere l’armonia che deve esistere tra l’uomo ed il suo simile.
Infatti, così è iniziato il brano: “Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda”.
Da notare subito che non si tratta dell’uomo maschio, ma di quella creatura fatta di terra, su cui il Signore ha alitato il suo Spirito facendolo diventare “vivente”, cioè colui che ha un’anima spirituale ed immortale e da cui provengono tutte le facoltà intellettive e volitive.
Come è spiegato?
Il Signore presenta a lui tutti gli animali e lo fa loro padrone e come tale, per creare la vicendevole armonia, dà a ciascuno un nome. Però si rende conto che gli animali non riescono a mettersi in relazione con lui.
In questa situazione, vive in profonda solitudine. Ecco l’espressione ascoltata: “Non trovò un aiuto che gli corrispondesse”.
Come rimediare?
Ci pensa il Signore con la successiva azione.
In essa si parla di “torpore” e di “costola”. Sono due parole di cui dobbiamo comprendere il significato.
Il “torpore”. È quando non siamo pienamente coscienti, cosa che avviene sia nel sonno che nel dormiveglia. Ci sono anche altre situazioni analoghe nella Bibbia. Ci sono quando Dio sta facendo qualcosa di grande.
Possiamo subito applicare il fatto alla nostra vita, ovviamente a livello di fede. Quante volte ci vien da dire, quando ci capita qualcosa di inspiegabile, che non ci capiamo nulla.
Che bello! Il Signore sta compiendo meraviglie a nostro favore; mentre agisce si comporta in modo tale da non farci capire nulla. In un certo senso ci addormenta.
Nel sonno non ci rendiamo conto di quanto capiti attorno. Solo al risveglio ce ne accorgeremo.
La “costola”. Sta a significare che è qualcosa non al di fuori di noi, ma che fa parte di noi.
Pertanto, l’immagine della costola vuol significare che la nuova creatura non è più tratta dalla terra, come la prima, ma da un essere già vivente, della stessa natura, del tutto simile, perché facente parte di lui.
Tanto è vero che l’uomo, al risveglio, esclama: “Questa volta è osso delle mie ossa, carne della mia carne. La si chiamerà donna perché dall’uomo è stata tolta”.
In parole semplici, è come a voler dire di aver diviso una persona in due parti, non perché rimanga divisa, ma perché torni ad essere una, per ricomporre l’unità.
Come avviene questa ricomposizione?
Mettendo in relazione ed in dialogo le due realtà. È l’unico modo per superare la solitudine. Ed ecco l’espressione: “I due saranno un’unica carne”.
Questa visione dell’uomo e della donna è bellissima per la sua positività. Non c’è niente di sbagliato o di peccaminoso, ma nella relazione, nel dialogo e nel rapporto tra l’uomo e la donna, così come è stato pensato da Dio, vi è solo armonia e intesa perfetta.
Questa riflessione aiuta a correggere le convinzioni errate che abbiamo riguardo alla relazione che intercorre tra uomo e donna in genere ed, in particolare, tra marito e moglie.
Il rischio, in certi casi, è quello di rendere tale rapporto squilibrato, dimenticando che l’essere umano è completo, nel progetto di Dio, soltanto quando in esso vi è posto per entrambi, senza superiorità o inferiorità, con vicendevole rispetto.
Attenzione, però, a interpretare bene l’espressione “saranno una sola carne”!
Essere una sola carne non ha soltanto un significato fisico, come alcuni potrebbero pensare, valido solo per la vita matrimoniale.
Indica, invece, che Dio ha pensato l’uomo e la donna, qualsiasi uomo e qualsiasi donna, in continua relazione e dialogo profondo. Pertanto, la cosa riguarda anche coloro che, o per scelta o per impossibilità, non possono o non vogliono essere una sola carne fisicamente.
Però, nessuno è chiamato a vivere in maniera solitaria, appunto come detto dal Signore: “Non è bene che l’uomo sia solo”.
Senza voler andare fuori tema, questo ha un valore anche più ampio. Non si può vivere bene senza amici, senza gruppi cui appartenere, senza preghiera comunitaria, senza avere momenti di distensione in compagnia di altri e così via, senza una certa forma di vita comunitaria, senza l’incontro di fraternità.
Se, qualche volta, è importante e necessario vivere nel silenzio e da soli, mai, però, dobbiamo vivere in solitudine!
A questo punto – lo aggiungo come fra parentesi - vien da pensare ad un grave rischio dei rapporti umani, prodotto dalla cultura attuale. Oggi assistiamo al fatto che le relazioni sono sempre più virtuali, con il risultato che proprio il motivo della relazione, cioè la fine della solitudine, viene messo a rischio.
Per fare un esempio - senza nulla negare all’utilità dei messaggini, della posta elettronica e dei siti web - una cosa è la comunicazione scritta, altra cosa è quella personale e a viva voce.  
Torniamo all’episodio biblico.
Conosciamo l’espressione di Dio, mentre si accinge a creare l’uomo e che troviamo nel primo racconto: “Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza”.
Potremmo ben dire che questo fatto diventa concreto e reale solo dopo la creazione della donna. Avviene quando, attraverso la relazione, tornano ad essere uno. Infatti, il mistero dell’unico Dio in tre persone, di cui l’uomo è immagine, è proprio la relazione che intercorre fra loro.
L’uomo, piccola trinità, rimane immagine e somiglianza di Dio solo quando mette in pratica la complementarietà. È il tema di oggi.
In base a questo, la solitudine è vinta non dall’essere donna e uomo “uguali”, ma “simili”. Il termine “simile” rimanda a due persone che si completano nella integrazione della differenza.
A questo proposito, comprendiamo le parole di Giovanni Paolo II: “Ogni comportamento umano va stabilito partendo dal <Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza> che rivela la comune origine dell’uomo e della donna. L’uomo è simile a Dio e non simile alla donna in ciò che è maschile; e la donna è simile a Dio e non simile all’uomo in ciò che è femminile”.
In pratica, come applicare tutto questo a noi, nell’oggi?
Ognuno di noi è immagine e volto di Dio. Siamo soliti chiamare Dio con l’appellativo di padre, ma nel contempo è anche madre. Ciò significa che le sue qualità in parte le ha effuse sull’uomo ed in parte sulla donna.
Con ciò l’uomo e la donna hanno la medesima dignità, ma non lo stesso compito. Capite come siamo fuori strada quando, ad esempio, sosteniamo i matrimoni gay!
Ne segue che nessuno dei due può esercitare il dominio sull’altro e neppure pretendere che l’altro pensi ed agisca in tutto allo stesso modo. E, d’altra parte, neppure può esserci una forzata imitazione di comportamento.
Il pensiero e il comportamento diverso sono necessari, servono per dialogare, per smussare le angolature che non si adeguano, per completarsi ed arricchirsi. Ciò, però, richiede tanta pazienza e molto tempo per trovare l’equa soluzione.
Ne segue che la donna non è in funzione dell’uomo, e l’uomo non è padrone della donna, ma ambedue sono per un aiuto reciproco.
Purtroppo, il peccato ha squilibrato e squilibra sempre tutte queste cose.
Gesù con la sua redenzione ha restaurato questo rapporto di interazione tra l’uomo e la donna.
Ne ha dato l’esempio, risanandolo anche a livello spirituale e apostolico, non solo sessuale. Nei suoi viaggi, infatti, Gesù ha sempre avuto al suo seguito un gruppo di donne che, con i loro beni e il loro servizio, assistevano lui e i dodici.
Nella storia della Chiesa, il fatto si è manifestato in particolare nello sviluppo degli Istituti di vita consacrata. Quando, ad esempio, un uomo ha fondato un Istituto di vita consacrata maschile, accanto vi è anche una donna che ha condiviso e parallelamente ha fondato il ramo femminile.
Per citarne solo uno: San Francesco e Santa Chiara d’Assisi.
Don Alberione, alla scuola del Vangelo, ha intuito chiaramente che a livello spirituale e apostolico la piena maturità umana e la fecondità apostolica si ha nel giusto rapporto tra il consacrato e la consacrata, tra il sacerdote e la suora.
A tal proposito, sin dai primi anni, aveva scritto il libro “La donna associata allo zelo sacerdotale”. Da notare che non ha detto associata “allo zelo del sacerdote” ma “allo zelo sacerdotale”, cosa questa che richiama la partecipazione al “sacerdozio regale” ricevuto nel battesimo.
Commentando il “facciamogli un aiuto simile”, don Alberione così si esprime: “Questo aiuto non è tanto e non vale solo per la generazione o per l’educazione dei figli o per allietare la vita dei due sposi. Vale anche nell’ordine soprannaturale e nell’aiuto spirituale, perché l’uomo è inclinato piuttosto alla terra e ha bisogno allora che vi sia un essere gentile, buono. Oh, la donna, quante cose capisce che l’uomo non capisce!”.
In un altro passo, parlando della Famiglia Paolina – non per nulla composta di dieci istituzione maschili e femminili per il vicendevole completamento – dice: “Oggi, nel cristianesimo meglio vissuto, si prepara questo: arrivare a stabilire la donna di fronte al sacerdote, come aiuto del sacerdote; ma la donna vergine, la donna santa, con il sacerdote santo. Allora mutuo aiuto”.
Ed ancora: “Oh, la donna fu creata per essere aiuto all’uomo e ne diventò la rovina. Maria fu creata per essere aiuto a Gesù Cristo. Se noi avremo sacerdoti che imitano Gesù Cristo, faranno un buon servizio sacerdotale alle suore; se avremo delle suore che imitano Maria, queste faranno un buon servizio al sacerdote nel ministero”.
In questo stesso alveo carismatico si muove l’Associazione “Ancilla Domini”, legatissima alla Famiglia Paolina, formata da donne consacrate che vivono nel mondo e che si mantengono con la propria attività lavorativa.
Essa si richiama, per la sua origine, a don Stefano Lamera coadiuvato da don Furio Gauss.
Alla fondamentale visione spirituale di santità, in esse si unisce una particolare e attività apostolica, se possibile, ma sempre quella di pregare e offrirsi per la santità dei sacerdoti. Sono disposte ad attuare “tutti i servizi” nello spirito di come una madre fa verso un figlio.
Questo vale anche per i consacrati nell’Istituto Santa Famiglia. Chi ha conosciuto don Lamera, sa bene quante volte ripeteva di amare i sacerdoti nello spirito di cui stiamo parlando.
Amarli significa anche desiderare che altri li sostituiscano nel loro venir meno. Questo si ottiene non solo proponendo ai figli e ai giovani la vocazione sacerdotale, ma anche pregando, in conformità all’ordine di Gesù: “Pregate, perché il Signore mandi operai nella sua messe”.
Concludo ponendo alcune domande.
Come viviamo il fatto di accogliere annualmente l’“adozione” di un sacerdote?
Siamo comprensivi per tutti i loro limiti e debolezze, tenendo presente quanto il Papa ha detto alcuni giorni or sono: “Le critiche e le maldicenze sono un terrorismo”?
Preghiamo per le vocazioni e partecipiamo qui in Santuario all’adorazione mensile del primo giovedì, proprio allo scopo di ottenere vocazioni?

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nei cieli e sulla terra." (Ef. 3,14-15)

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