Riflessioni di don Ferri in ritiri
"Vieni al Padre, fonte di Misericordia"
18 ottobre 2025 * S. Luca evangelista
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Dar da mangiareRiflessione tenuta dal rettore alle famiglie riunite in ritiro 10 aprile 2016 presso il Santuario San Giuseppe in Spicello di San Giorgio di Pesaro.
Dar da mangiare agli affamati e da bere agli assetati

(Testo base Mt 25, 31-35a)
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Premessa
Fra le opere di misericordia, questa è la prima richiamata da Gesù al momento del giudizio, come abbiamo ascoltato, ed è anche la più scolpita nel nostro cuore.
Infatti, spesso se ne parla. Soprattutto quando leggiamo e vediamo sugli schermi televisivi il problema della fame nel mondo, la situazione dei tanti migranti che fuggono per motivi diversi, non escluso quello della fame.
Le organizzazioni umanitarie ci tengono ben informati sulla situazione della fame a livello mondiale anche se, purtroppo, la verità non è fatta conoscere nella interezza.
Come comportarci con chi è veramente bisognoso? Come comportarsi con chi finge di essere nel bisogno? Come comportarci con chi usa malamente o impropriamente l’elemosina ricevuta?
Tali situazioni, alle quali non sempre abbiamo una chiara risposta comportamentale, creano anche conflitti di coscienza.
Noi, nella riflessione di oggi, siamo invitati a meditare su tale problema.
Ma dobbiamo riflettere anche da un altro punto di vista. Non solo su quello proveniente dalla fede cristiana, ma anche dal fatto di appartenere alla Famiglia Paolina.
A tale scopo doverosamente ci domandiamo se la fame nel mondo sia solo di questo tipo o se abbia anche valenze diverse e più importanti.
Infatti, non ci sono forse altre forme di fame, a livello morale e spirituale, tali che diventano causa del primo tipo di fame citato?
Cosa dice la Bibbia su questa opera di misericordia
Andiamo a sfogliare la Bibbia su tale argomento, per renderci conto di una realtà che potrebbe sfuggirci.
L’uomo che ha fame e sete non è altro che l’immagine di Dio. Infatti, il primo ad aver fame e sete è Dio stesso. Egli ha fame e sete di noi, ed è per questo che ci ha creato.
Sappiamo bene che siamo stati creati a sua immagine e somiglianza. Pertanto, quando l’uomo ha fame non fa altro che essere segno della fame e della sete di Dio.
In cosa consiste la fame e sete di Dio?
Leggendo la Bibbia, troviamo delle espressioni pronunciate in maniera diretta sull’argomento.
Pensiamo a Gesù sulla croce. L’evangelista Giovanni ci dice: Gesù, sapendo che ogni cosa era ormai compiuta, disse per adempiere la Scrittura: <Ho sete>”. Aveva sete di anime, aveva sete di noi.
Da notare il “per adempiere la Scrittura”; con ciò è come a dire che tutta la Bibbia è impregnata di tale fame e sete di Dio.
Citiamo alcune esempi.
All’inizio della missione di Gesù leggiamo: “Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame”.
Pensiamo a Gesù che incontra la samaritana. Inizia il dialogo con lei chiedendole:“D ammi da bere”.
Altrove, poi, ci sono espressioni indirette ed anche fatti compiuti dal Signore per compassione verso chi ha fame.
Dio compie gesti quanto mai significativi. In qualche modo, intende esprimere la propria fame con un gesto di squisitissimo amore, quello per cui gli altri non abbiano a soffrirla.
Leggiamo in un salmo: “Tu apri la tua mano e sazi il desiderio (la fame) di ogni vivente”.
Cosa fa nel deserto a favore del popolo affamato che mormora?
Dona loro un pane disceso dal cielo, la manna. Poi, donerà l’acqua sgorgata dalla roccia. Infine darà carne facendo cadere le quaglie dall’alto.
Cosa fa Gesù per compassione verso il popolo che, a chiusura di una giornata trascorsa in ascolto di lui, si trova senza pane?
Compie il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci.
Cosa fa dopo la risurrezione, per gli apostoli che nella notte non avevano pescato nulla?
Interviene facendo far loro una pesca miracolosa. Nel frattempo, mentre essi gettano la rete, nella riva prepara il cibo per loro, come leggiamo: “Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane”.
Nel libro di Rut è raccontato l’episodio di Noemi, rimasta vedova con due figli, in tempo di grande carestia. Vi leggiamo: “Si alzò con le sue nuore per andarsene dalla campagna di Moab, perché aveva sentito dire che il Signore aveva visitato il suo popolo, dandogli pane”.
È il continuo agire di Dio, come afferma Maria nel Magnificat: “Il Signore ha ricolmato di beni gli affamati”.
Nella lettera ai Romani, Paolo esorta noi ad imitare il comportamento di Dio. Leggiamo: “Se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete dagli da bere”.
Però fra tutti gli esempi citati, l’immagine più eloquente è quello del luogo in cui è nato Gesù: è Betlemme.
Betlemme significa “casa del pane”, come a voler dire che Gesù è venuto per sfamare l’umanità.
Uscire da se stessi
Le considerazioni sinora fatte, devono però portarci ad una concretezza.
C’è un dato di fatto. Potremmo dire che Dio è uscito dalla sua onnipotenza e dalla sua perfezione per entrare dentro la fame del suo popolo, come a volersi rendere limitato.
Ebbene, il suo agire diventa modello per l’uomo. Ognuno di noi è chiamato ad uscire da se stesso, dalle proprie ricchezze economiche e dal proprio benessere, per aprirsi a coloro che sono nel bisogno e nella fame.
Questo uscire da se stessi, per farsi carico della fame del prossimo, è visto dalla Bibbia come una nuova creazione della luce.
Come Dio ha vinto le tenebre e il caos delle origini con la creazione della luce, così l’uomo che si fa carico della fame del prossimo ridona ad esso vita e luce, speranza e futuro, come leggiamo nel profeta Isaia: “Se aprirai il tuo cuore all’affamato, se sazierai l’afflitto di cuore, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio”.
Quali persone hanno bisogno di questa nostra apertura?
Certamente tutte! Anche se in forme diverse.
Cosa fare?
Non avendo una soluzione immediata, si potrebbe rispondere: “Noi preghiamo per queste persone!”.
Niente da dire. Infatti le opere di culto - la messa, la preghiera, il digiuno, l’astinenza, l’elemosina, le novene, i sacrifici - sono importanti e necessarie per risolvere ogni problema.
Però, attenzione ad un rischio, quello che le fa essere solo formalismo, tali da farci sentire bravi e a posto per il fatto di averle messe in pratica.
Non dobbiamo dimenticare la sottolineatura che Isaia formula in proposito: Non consiste forse il digiuno (e ogni pratica di culto) nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, i senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo?”.
A proposito, la fame ricorda due cose. La prima è la nostra totale dipendenza da Dio. La seconda è la totale interdipendenza fra di noi.
La fame e la sete nel pensiero di don Alberione
Ma c’è un’altra facciata della fame e della sete che, in quanto paolini, non possiamo sottovalutare. Anzi, siamo chiamati a saziarla con tutti i mezzi e le forze.
È quello che leggiamo nel profeta Amos: “Ecco, verranno giorni – oracolo del Signore – in cui manderò la fame nel paese; non fame di pane né sete di acqua, ma di ascoltare le parole del Signore”.
Sono la fame e la sete della Parola di Dio. Lo ricorda anche Gesù quando nella tentazione risponde al diavolo: “L’uomo non vive soltanto di pane, ma di ogni parola che esce dalla bocca del Signore”.
Questo tipo di fame e di sete è ancor più profondo, terribile e devastante. Esso, infatti, non si sazia alla maniera della fame e della sete del nostro corpo.
A tal proposito, continua Amos: “Allora andranno errando da un mare all’altro e vagheranno da settentrione a oriente per cercare la parola del Signore, ma non la troveranno”.
“Non la troveranno!”. È la vera tragedia che attanaglia il mondo, oggi quanto mai! Non la trovano perché, presi dalle cose terrene, non la cercano. Ma anche perché non c’è chi l’annuncia.
È un appello rivolto a tutti, particolarmente a noi paolini, in forza del nostro carisma.
Per saziare questa fame e questa sete dello spirito occorre ritornare alle nostre origini, sia come vocazione paolina, sia come essenziale volontà di Dio per noi.
Dove sta la vera sorgente che disseta e il vero pane che sfama?
Sta nel tornare alla verità dell’immagine di Dio che è nell’uomo e dell’immagine dell’uomo chiamato a vivere nella verità di Dio.
La più grande opera di misericordia, pertanto, è la carità della verità, come dice San Paolo. L’uomo ha bisogno della verità, donata nella carità come opera di misericordia. È il programma di vita di don Alberione che trasmette ai suoi figli spirituali.
Niente da dire che i paolini curino anche la fame del corpo, che entrino anche nelle organizzazioni della “Caritas”, ma non è lo specifico apostolato, non è la specifica opera di misericordia che nasce dalla propria vocazione e missione, pertanto, limitati a tale opera, non usufruiscono pienamente della grazia di stato.
Mentre invece, se esercitiamo ministero secondo la propria vocazione, ci è garantita una grazia specialissima. È quella descritta nel famoso “segreto di riuscita”, cosa che riceviamo e porta frutto solo se rimaniamo fedeli alla vocazione e missione.

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"... io piego le ginocchia
davanti al Padre,

dal quale ogni paternità
nei cieli e sulla terra." (Ef. 3,14-15)

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