
AMMONIRE I PECCATORI (Testo base At 8, 26-31)
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Dal Vangelo secondo Matteo. Se il tuo fratello pecca, và, riprendilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai riacquistato il tuo fratello. Se invece non ti ascolterà, prendi con te una o due persone, affinché sulla bocca di due o tre testimoni si stabilisca ogni cosa. Se non ascolterà neppure loro, deferiscilo all’assemblea e se neppure all’assemblea darà ascolto, sia egli per te come il pagano e il pubblicano.
In verità vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato anche il cielo e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto anche in cielo”.
Introduzione
La Sacra Scrittura e la tradizione della Chiesa ci insegnano che i peccatori vanno sempre ammoniti. Questa è una delle opere di misericordia tra le più difficili.
Infatti, come posso richiamare un altro quando io stesso sono peccatore?
Pertanto, la prima cosa da considerare e da ammettere è proprio questa, che siamo tutti peccatori. A tale scopo l’ammonizione, detta anche “correzione fraterna”, va intesa in senso sia attivo che passivo.
In altre parole, siamo chiamati ad ammonire gli altri, ma anche ad accettare dagli altri, con umiltà e gratitudine, l’ammonizione che viene fatta nei nostri confronti.
Ammonire i peccatori, fra le opere di misericordia, risulta anche la più delicata oltre che, come già detto, la più difficile da compiere.
Per quale motivo?
Perché in genere siamo portati a guardare la pagliuzza sull’occhio del fratello, a puntare sempre il dito sul comportamento degli altri, sottolineando ogni sbaglio da loro commesso.
A volte, tale sbaglio, diventa oggetto di derisione; molto più spesso diventa oggetto di pettegolezzo, la qual cosa a sua volta aggrava e peggiora la situazione, piuttosto che diventare la buona occasione per fare la correzione fraterna.
Eppure, il Signore ci chiama a vivere solo questo secondo atteggiamento dell’amore, escludendo totalmente gli altri due, che sono contro l’amore.
A meno che non si faccia distinzione tra il pettegolezzo superficiale e dannoso ed il parlare del comportamento sbagliato di altri, ma con dolore e nella carità, per trovare la maniera di come comportarsi per raggiungere un bene.
Questo avviene quando ci si confronta con una persona che può consigliarci, può sostenerci, può unirsi in preghiera, e può essere uno degli strumenti per meglio intervenire nell’ammonimento stesso.
In questo caso rimane uno squisito gesto di carità.
Solo questa seconda ipotesi è il vero segno di una responsabilità, diventando un vicendevole aiuto per camminare sulla strada del bene e della verità.
Ed è proprio in tale senso che va intesa l’opera di misericordia della quale stiamo trattando.
Cosa è l’ammonizione
L’ammonizione è l’opera che appartiene solo a Dio, cosa che di fatto egli esercita continuamente, donandoci la sua Parola.
Nella Bibbia tale opera, intesa in senso più ampio, è descritta con il vocabolo “custodia”.
Ad essa fa riferimento il Salmo 121, in cui leggiamo: Il Signore è il tuo custode, ti custodirà da ogni male: egli custodisce la tua vita”.
A imitazione di Dio, anche noi siamo chiamati ad essere “custodi” (altrove “sentinelle”) di ogni persona che il Signore mette sul nostro cammino, proprio allo scopo di custodirla dal peccato e sostenerla nel bene.
Ebbene, l’ammonizione non è altro che un aspetto proveniente dalla custodia.
Non possiamo e non dobbiamo assomigliare a Caino il quale, alla domanda di Dio: “Dov’è tuo fratello?” risponde: “Sono forse io il custode di mio fratello?”.
L’opera di misericordia spirituale dell’ammonizione che stiamo trattando, ci ricorda quanto essa sia importante perché, come detto, fa parte della “custodia”.
La custodia si esprime in tre modi:
con la correzione fraterna;
con l’accoglienza gioiosa di chi inizia un cammino di conversione, avendo ascoltato la parola della correzione;
con la misericordia, per cui non lo deride, non lo critica e non lo condanna anche se dovesse ricadervi, ma lo comprende, prega per lui e, per quanto possibile, continua ad aiutarlo per farlo uscire dalla situazione.
Consideriamo il primo aspetto: la correzione fraterna.
Quello che dice Gesù nel brano ascoltato, non è da intendersi essenzialmente come un codice di diritto sulla procedura da tenere su chi cade in peccato, come sembrerebbe suggerire a prima vista.
Gesù, invece, ci indica la via maestra per poter compiere tale correzione.
Ci indica le tappe da percorrere, ma soprattutto ci indica con quale spirito dobbiamo muoverci per poterla compiere bene.
Possiamo riepilogare tale spirito attraverso i seguenti aspetti:
È caritatevole comprensione, è disponibilità sincera verso chi sbaglia;
è mano tesa verso chi ha sbagliato, per aiutarlo a rialzarsi e riprendere il cammino;
è un intervento premuroso, senza procurare sofferenze e umiliazioni;
è esercitare l’atteggiamento di Dio, come si è manifestato in Gesù;
è rispettosa discrezione e fiduciosa speranza;
è benevola comprensione, senza tuttavia minimizzare il peccato.
In tale procedimento e per rimanere nello spirito evangelico, vediamo le tappe e gli aspetti che Gesù suggerisce.
Il primo aspetto è quello del “tu per tu”: “Riprendilo fra te e lui solo”.
Questo esclude in maniera assoluta ogni inutile e dannoso pettegolezzo e, nel contempo, la massima riservatezza.
Si tratta di dimostrargli dov’è l’errore e di dargli un caritatevole aiuto per fargli aprire gli occhi sul “non valore” del suo atteggiamento e della sua azione.
Se questo primo aspetto non va a buon fine, è necessario uscire dalla riservatezza.
Si chiede l’aiuto di due o tre persone fidate, per poter meglio discernere come intervenire a vantaggio del bene dell’altro.
È doveroso notare che siamo ancora nell’esercizio della carità e quindi all’infuori di ogni leggerezza e superficialità, tanto meno al di fuori del pettegolezzo. Lo si fa, infatti, vivendo da tutte le parti, con il dolore nel cuore.
Se neppure ora ascolta, è bene convocare la comunità, cioè i componenti della realtà associativa o di gruppo a cui appartiene, unitamente ai responsabili e ai superiori, sempre nello spirito della carità. Non solo Pietro, infatti, ma anche l’assemblea – dice il testo che abbiamo letto – ha il potere di legare e sciogliere.
In questa fase, si chiede a tutti di farsi carico di quel peccatore; che tutti gli tendano la mano aiutarlo a cambiare vita. Poi, non potendo fare altro e vivendo di speranza, si continua a pregare per lui.
Alla fine, se neppure ascolta la comunità, Gesù dice: “Sia per te come il pagano e il pubblicano”.
In altre parole, si tratta di tagliare i ponti con esso, si tratta di considerarlo come uno che non appartiene più alla comunità.
Attenzione, però, questo non vuol dire che la persona debba essere abbandonata a se stessa. Rimane sempre una persona da amare e salvare.
Le si perdona tutto, anche se il perdono non è pienamente capito, tanto è vero che davanti ad esso non c’è corrispondenza.
Questo è per mettere in pratica il comportamento di Gesù che sedeva a mensa con i pubblicani e i peccatori.
Si tratta di imitare la sua misericordia. Pertanto – come già detto - si comprende la persona, si continua a pregare per essa e, per quanto possibile, si cerca di aiutarla allo scopo di farla uscire dalla situazione.
Questo ultimo atteggiamento sta a significare che a volte la correzione non può avvenire con la parola, ma deve essere mediata dalla condivisione della vita, dallo stare accanto. Infatti, spesso le conversioni avvengono più per l’assunzione di un atteggiamento, che per la comprensione iniziale di un valore.
A questo punto cito le espressioni di Papa Francesco in una sua recente omelia in cui, parlando della correzione fraterna, afferma che il fratello che sbaglia va corretto con carità.
Ecco le precise parole: “Non si può correggere una persona senza amore e senza carità. Non si può fare un intervento chirurgico senza anestesia: non si può, perché l’ammalato morirà di dolore. E la carità è come un anestesia che aiuta a ricevere la cura e accettare la correzione. Prenderlo da parte, con mitezza, con amore e parlarle”.
Altri eventuali aspetti e condizioni da tener presente
Le parole hanno sempre bisogno di cuore, immaginandosi il fratello o sorella non di fronte, ma accanto. Altrimenti da sole perdono valore e risultano fastidiose, false e spesso offensive. Inoltre, non è detto che quanto c’è nel cuore si debba subito e comunque dire con la bocca.
Quindi, non parlare mai quando si è agitati, perché si sbaglierebbe sempre. Parlare solo quando è passato il gusto del parlare, segno che già si è calmi. Chi a questo punto non parla più, è segno che avrebbe parlato solo per stizza, non per amore.
Non intervenire neppure quando la persona da correggere è alterata e quindi non disposta ad ascoltare.
Inoltre, è da tener presente l’atteggiamento di apertura o meno del fratello da correggere; la sua suscettibilità controllata o ombrosa; la sua disponibilità o meno ad accettare la correzione da “me, ora ed in questo luogo”. È necessario prima acquistarsi amicizia e fiducia.
Evitare sempre il tono del rimprovero. Nel caso del tono riprovevole, si pone istintivamente sulla difensiva e reagisce interiormente e, spesso, anche esternamente.
Da tener presente, infine, che non tutti sanno fare nel modo giusto e con felice esito la correzione. Essa, infatti, è un carisma dello Spirito.
Pertanto, è sempre necessario invocare lo Spirito.