Riflessioni di don Ferri in ritiri
"Vieni al Padre, fonte di Misericordia"
18 ottobre 2025 * S. Luca evangelista
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Insegnare agli ignorantiRiflessione tenuta dal rettore alle famiglie riunite in ritiro 17 luglio 2016 presso il Santuario San Giuseppe in Spicello di San Giorgio di Pesaro.
INSEGNARE agli IGNORANTI
(Testo base At 8, 26-31)
Per il documento: clicca qui
Dagli Atti degli Apostoli. Un angelo del Signore così parlò a Filippo: Alzati e cammina verso mezzogiorno, nella strada che da Gerusalemme conduce a Gaza. Alzatosi si mise in cammino.
Ed ecco un Etiope, alto ufficiale di corte della regina degli Etiopi, soprintendente a tutti i suoi tesori, che era venuto a Gerusalemme per fare adorazione; se ne stava ritornando e, seduto sul carro, leggeva il profeta Isaia.
Lo Spirito disse a Filippo: “Avvicinati e accompagnati a quel carro”.
Filippo si mise a correre e, sentendo che quello leggeva il profeta Isaia, disse: “Capisci quello che leggi?”.

Quegli rispose: “Come potrei, se nessuno mi fa da guida?”.
E pregò Filippo di salire e di sedersi accanto a lui.
Premessa e introduzione
Ricordo bene come da ragazzo, a seguito delle normali testardaggini fanciullesche dei figli, l’espressione di richiamo dei genitori era: “Quanto sei ignorante!”.

Noi ragazzi, per il fatto di aver cominciato a studiare, ci ritenevamo saputelli, ed avevamo la risposta pronta: “Ignorante è chi non sa le cose!”.
Questo per sottolineare il fatto che essi non potevano applicare l’espressione a chi avesse combinato una qualche birichinata.
Oggi però, a ripensarci, riconosco che non era fuori luogo il vocabolo usato per il richiamo; infatti, voleva dire che noi non conoscevano le norme della buona educazione e delle buone maniere, ecco perché eravamo ignoranti.
Il tema della riflessione di oggi, è appunto sul mettere in pratica una grande opera di misericordia, quella di insegnare agli ignoranti.
Chi sono gli ignoranti
Lo sappiamo bene. Sono coloro che non conoscono alcune cose ed il loro pieno valore, che non sanno valutare le situazioni, che hanno bisogno di luce per prendere decisioni. Questo è valido sia sul piano umano, sia su quello spirituale.
Ovviamente, in questa nostra riflessione, ci soffermiamo solo sul piano spirituale.
Però, permettete prima che legga la testimonianza di una professoressa, anche se si limita al solo piano umano.
Ecco cosa dice: “Insegnare è il mio lavoro, sono pagata per farlo.
Penso, però, che l’insegnamento faccia parte della mia vocazione, perché sin da piccola amavo giocare alla scuola con pupazzi e bambole, con la pretesa che imparassero tutti quanti a leggere e scrivere.
Sono considerata una prof di lettere severa ed esigente, perché per me la cultura, o meglio, l’approccio serio e approfondito con gli autori e i testi è una esperienza unica, che arricchisce per sempre la persona.
Mi affascina e mi appassiona liberare questi ragazzi, almeno un poco, dalla superficialità e dall’ignoranza, così diffuse nella nostra società.
Mi commuovo, insieme ai colleghi, quando qualche alunno coglie con orrore, misto ad ironia, gli strafalcioni di qualche politico o personaggio televisivo.
Alla fine di ogni anno scolastico, tutti ci accorgiamo di aver imparato qualcosa e di essere un po’ meno ignoranti.
Gli studenti stimolano i loro prof ad aggiornarsi, a cambiare punto di vista, a misurarsi col mondo attuale.
Anche i ragazzi, magari inconsapevolmente, hanno qualcosa da insegnare, perché stare insieme in classe significa sempre incontrarsi e regalarsi reciprocamente del tempo, tanto tempo per crescere”.
Sottolineo le ultime parole: l’insegnamento è un’azione vicendevole; i professori si rivolgono agli alunni, ma anche gli alunni hanno da dire qualcosa ai professori.
Quanto vale anche nel rapporto tra marito e moglie, tra genitori e figli, tra nonni e nipoti questo insegnarsi ed aiutarsi vicendevolmente!
E questo, sia sul piano naturale sia su quello spirituale; questo soprattutto per aiutarsi a crescere nella fede.
Il brano ascoltato dagli Atti, ci porta proprio su questo piano prettamente spirituale, per crescere nella conoscenza di Dio e della sua volontà.
Certamente Filippo è stato un buon insegnante, nei confronti dell’Etiope, per far comprendere la Sacra Scrittura. Nel contempo è stato anche un buon intermediario, tanto che alla fine l’Etiope stesso, senza forzature, chiederà di essere battezzato.
Come è importante insegnare ed educare, senza alcuna pretesa!
Senza arrabbiarsi quando l’educando non corrisponde, ma sapendo attendere con fiducia e pazienza i tempi del Signore!
L’oggetto e lo stile del buon insegnamento
Il buono ed efficace nostro insegnamento sul piano della fede, è proporzionato alla nostra conoscenza della Sacra Scrittura.
Nella lettera a Timoteo, leggiamo: “Tutta la Scrittura, ispirata da Dio, è utile per insegnare, convincere, correggere ed educare nella giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona”.
In tale senso, l’opera di misericordia che stiamo trattando, è per aiutare gli altri a conoscere e comprendere il pensiero di Dio.
Di fatto, tutta la Bibbia ha come suo impegno fondamentale la formazione del popolo di Dio. Esso viene educato alla luce della Parola che vi è contenuta; e viene condotto, nel cammino interiore, dalla mano di Dio che si fa suo pastore e guida.
Pertanto, è Dio stesso che compie l’opera di misericordia verso gli uomini; li istruisce e li forma nelle verità della fede.
Noi a nostra volta, educati e formati da lui, in sintonia con lui e con la sua grazia, diveniamo suoi strumenti nel confronto degli altri.
In altra parole, per compiere bene l’opera dell’insegnamento agli ignoranti, si tratta di essere ripieni del dono della Sapienza.
Quindi non si tratta solo di sapere e conoscere bene le cose di Dio, come potrebbe essere un teologo.
Si tratta, invece, di fare un passaggio: dal “sapere” al “sapore”; dal “conoscere” al “gustare”; e poi, dal gustare al vivere di conseguenza.
Ognuno di noi rimane molto ignorante, se le cose che impara non diventano anche sapienza e stile di vita.
Ovviamente, questo può essere meglio messo in pratica se c’è qualcuno che affianca, che insegna, che aiuta, che educa.
Ecco i nostri ritiri mensili, gli esercizi spirituali annuali, gli altri periodici momenti di formazione e di incontri; tralasciarli è rimanere ignoranti e, di conseguenza, incapaci di insegnare agli altri.
Da qualche tempo, questo momento non è più chiamato “catechesi” (non può limitarsi alla sola istruzione), ma “riflessione”. I punti dettati per la riflessione devono servire per aiutare ad acquistare uno stile di vita diverso (la catechesi, da sola, sarebbe tempo quasi perduto se non ci fosse il successivo tempo di silenzio; esso serve per assaporare, applicare a noi stessi, spingerci a proporre un comportamento diverso).
Cosa è più precisamente l’insegnamento
“Insegnare” significa “lasciare un segno”.
Dove viene scolpito il segno?
I segni, che si trasmettono attraverso i vari gesti, devono essere tali che permettono, a colui al quale vengono inviati, di orientarlo nella vita.
La particella “in” significa “dentro”. Pertanto il segno che viene lasciato deve incidere dentro; deve aiutare a cambiare vita, pur tenendo presente che non sempre e subito si vede l’effetto.
Pertanto, “insegnare” non è uguale a “istruire”.
Quanti genitori soffrono perché i figli vanno fuori strada, ripetendo l’espressione: “Eppure ho sempre insegnato loro a comportarsi bene!”.
Ma quel vostro insegnamento di genitori, ha lasciato veramente un segno dentro?
Non basta insegnare, bisogna anche ammaestrare.
Una volta quelli che insegnavano a scuola si chiamavano “maestri”, non semplicemente “insegnanti”, come avviene nella prassi attuale; a meno che, nel contempo e di fatto, l’insegnante non sia anche maestro, cioè esempio di vita e testimone.
Eloquenti a tal proposito sono le parole di Paolo VI, pronunciate a suo tempo: “L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni”.
Infatti, non basta insegnare con le parole. La persona, alla quale ci rivolgiamo, ha bisogno di segni, di gesti, di segnali per camminare bene nella vita.
C’è un altro errore da segnalare.
Talvolta qualcuno per insegnare si mette in cattedra, come a voler far vedere che ne sa più degli altri; e, per questo fatto, pensa di insegnare con “autorità”, e quindi di essere ascoltato. Di fatto poi si accorge di non essere ascoltato affatto, proprio perché non si è guadagnato la “autorevolezza”.
Non è l’atteggiamento dell’autorità che incide, che anzi può portare al rifiuto, ma è l’autorevolezza. Essa si acquista vivendo rettamente e sinceramente quello che si insegna; e questo, a sua volta, esclude qualsiasi atteggiamento di imposizione.
Si tratta di mettere in pratica quello che si legge nella prima lettera di Pietro: Pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi”.
La speranza – come detto pocanzi - consiste nel mettersi nelle mani di Dio, attendendo serenamente i suoi tempi.
Dunque, dobbiamo essere “maestri”, nel senso come detto prima.
È vero, e lo sappiamo, che Gesù è l’unico maestro, il maestro per eccellenza, perché lui stesso si è definito tale: “Uno solo è il vostro Maestro”.
Sappiamo pure che insegnava con autorevolezza, perché per primo metteva in pratica quanto diceva.
Tanto è vero che, ad esempio nel tempio, i “dottori” della legge lo ascoltavano stupiti, perché insegnava “come uno che ha autorità”, pur essendo un ragazzo di dodici anni.
Questo dimostra che la sua conoscenza non proveniva dallo studio di libri, ma per il contatto che aveva con il Padre, come successivamente asserirà: “La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato”.
Tutti dobbiamo imparare da Gesù.
Perché questo avvenga, è necessario che ciascuno di noi si consideri al tempo stesso “istruttore”, ma anche “ignorante”; saggio consigliere, ma anche dubbioso; amante della santità, ma anche peccatore, e così via.
Da questo umile atteggiamento ognuno di noi si può accorgere di dover essere istruito, perché fondamentalmente siamo tutti ignoranti.
Concludendo, qual’ è l’atteggiamento retto per istruire ed essere istruiti?
In un passo delle opere di San Bernardo leggiamo: Vi sono coloro che vogliono conoscere solo per conoscere, e questa è curiosità; vi sono coloro che vogliono conoscere solo per essere conosciuti, e questa è vanità; e ci sono coloro che vogliono conoscere per essere edificati, e questa è la vera saggezza; vi sono infine coloro che vogliono conoscere per edificare, e solo questa è la carità”.
Noi, quando mettiamo in pratica l’opera di istruire gli ignoranti, stiamo vivendo questo tipo di carità.  

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"... io piego le ginocchia
davanti al Padre,

dal quale ogni paternità
nei cieli e sulla terra." (Ef. 3,14-15)

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