Riflessioni di don Ferri in ritiri
"Vieni al Padre, fonte di Misericordia"
18 ottobre 2025 * S. Luca evangelista
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Sepoltura di GesùRiflessione tenuta dal rettore alle famiglie riunite in ritiro 13 novembre 2016 presso il Santuario San Giuseppe in Spicello di San Giorgio di Pesaro.

SEPPELLIRE i MORTI - PREGARE DIO per i VIVI e per i MORTI

(Testo di riferimento 2Mac 12, 39-45)
Per il documentio: clicca qui
“Dal secondo libro dei Maccabei. (A seguito della battaglia) il giorno dopo, quando ormai la cosa era diventata necessaria, gli uomini di Giuda andarono a raccogliere i cadaveri per deporli con i loro parenti nei sepolcri di famiglia.
Ma trovarono sotto la tunica di ciascun morto oggetti sacri agli idoli di Iamnia, che la legge proibisce ai Giudei; fu perciò a tutti chiaro il motivo per cui costoro erano caduti.
Perciò tutti, benedicendo l’operato di Dio, giusto giudice che rende palesi le cose occulte, ricorsero alla preghiera, supplicando che il peccato commesso fosse pienamente perdonato.
Il nobile Giuda esortò tutti quelli del popolo a conservarsi senza peccati, avendo visto con i propri occhi quanto era avvenuto per il peccato dei caduti.
Poi fatta una colletta, con un tanto a testa, per circa duemila dramme d’argento, le inviò a Gerusalemme perché fosse offerto un sacrificio espiatorio, agendo così in modo molto buono e nobile, suggerito dal pensiero della risurrezione. Perché se non avesse avuto ferma fiducia che i caduti sarebbero risuscitati, sarebbe stato superfluo e vano pregare per i morti.
Ma se egli considerava la magnifica ricompensa riservata a coloro che si addormentano nella morte con sentimenti di pietà, la sua considerazione era santa e devota. Perciò egli fece offrire il sacrificio espiatorio per i morti, perché fossero assolti dal loro peccato”.

Introduzione
È significativo il fatto che questo tema dell’opera di misericordia del seppellire i morti, propostoci per la nostra riflessione mensile, cada a novembre, nel mese dedicato ai defunti, agli ottavari in loro suffragio, alla visita comunitaria nei cimiteri.
Sappiamo che le prime sei opere di misericordia corporali sono contenute nel capitolo XXV del Vangelo di Matteo, quando parla del giudizio finale.
Questa opera di misericordia del seppellire i morti, invece, è un atto della pietà cristiana. Essa ha una origine immemorabile, tanto che ne parla pure la Bibbia. Si tratta dell’ultimo gesto corporale di amore e di rispetto verso il defunto.
Anche al corpo di Gesù è stato permesso di essere posto in un sepolcro, nonostante fosse stato condannato come malfattore. Di lì a poco, però, quel sepolcro si trasformerà: da luogo di oscurità, di tristezza e disperazione, diventa uno spazio di luce, di gioia e speranza cristiana.
Questo pensiero dovrebbe sempre accompagnare chi, dopo la sepoltura, si recherà ancora a far visita nei cimiteri.
La sepoltura, infatti, non si limita al gesto di un giorno, ma richiede che successivamente si torni in pellegrinaggio nel cimitero ove si trova, per ottenere benefici.

Excursus storico
Facciamo un excursus storico per conoscere lo sviluppo di tale opera.
Da sempre la sepoltura dei morti è stata considerata una delle opere di misericordia perché, come tale, dimostra di rispettare la dignità dell’uomo, anche dopo il suo decesso.
Nell’antichità era praticata dalla premura e dall’affetto dei componenti la famiglia a cui apparteneva il defunto. Successivamente la sepoltura è divenuta sempre più oggetto di regolamenti e di disposizioni, tipici di una società organizzata.
Gli stessi “luoghi” della sepoltura hanno conosciuto una lunga e diversa tradizione: prima presso la famiglia, poi nel villaggio, in seguito accanto ai luoghi di culto e di preghiera (chiese e monasteri) ed infine in aree apposite (i nostri cimiteri o camposanti).
Che la dignitosa sepoltura sia un qualcosa di innato in noi, lo dimostra il fatto del vedere l’impegno che si mette per trovare il cadavere, ad esempio, scavando fra le macerie, fino a cercare nelle profondità del mare. Lo dimostrano anche i fatti recenti causati dal terremoto e dai caduti in mare da parte di profughi.

La sepoltura nella Bibbia
Vediamo cosa ci insegna e come è praticata nella Bibbia.
La tradizione biblica considerava la sepoltura come il coronamento di una lunga vita benedetta da Dio.
Il non avere sepoltura, invece, era ritenuto una maledizione e un grave affronto alla dignità dell’uomo. Infatti, senza sepoltura, il corpo veniva dilaniato dagli uccelli e dagli animali predatori. Ma il non essere sepolti, soprattutto, significava essere cancellati dal ricordo, dalla preghiera, dal pianto, dal lamento, dal lutto.
Ecco come lo descrive il libro del Siràcide: «Figlio, versa lacrime sul morto, e come uno che soffre profondamente inizia il lamento, poi seppelliscine il corpo secondo le sue volontà e non trascurare la sua tomba. Piangi amaramente e alza il tuo caldo lamento, il lutto sia proporzionato alla sua dignità».
Il fatto di essere privati di questi riti di accompagnamento alla sepoltura, era considerato una terribile maledizione, con ogni effetto negativo, proprio come leggiamo nel libro del profeta Geremia: «Non saranno rimpianti né sepolti, ma diverranno come letame sul suolo… I loro cadaveri saranno pasto agli uccelli del cielo e alle bestie della terra… Moriranno in questo paese grandi e piccoli; non saranno sepolti né si farà lamento per loro e nessuno per disperazione si farà incisioni, né per lutto si taglierà i capelli per loro. Non si spezzerà il pane all’afflitto per consolarlo del morto e non gli si darà da bere il calice della consolazione per suo padre e per sua madre».
Tutto ciò spiega l’attenzione che il testo biblico riserva alla sepoltura dei Patriarchi, perché solo così è possibile conservare il loro ricordo e la loro presenza in mezzo al popolo di cui essi sono gli antenati. È frequente, infatti, sulle labbra degli Israeliti questa invocazione rivolta a Dio: “Ricordati di Abramo, di Isacco, di Giacobbe!”.
A tal proposito e tra parentesi, don Stefano Lamera – siamo nell’anno 1989 – scrive un libro dal titolo “Ricordati Signore del nostri Padri”. In esso suggerisce, in quanto appartenenti alla Famiglia Paolina, che quando ci troviamo in qualche difficoltà, dobbiamo ripetere al Signore: “Ricordati delle promesse che hai fatto a don Alberione, e a tutti i suoi discendenti”.
Tornando alla Bibbia, la sepoltura dei morti avviene per mano dei figli, come per ribadire la sacralità di questa opera di misericordia.
La Bibbia ci descrive espressamente quella riservata ad Abramo, ad Isacco, a Giacobbe, a Sara, a Rachele.
È un richiamo anche per noi oggi, per riannodare il filo che lega una generazione all’altra, e per vivere in pienezza sino alla fine il comandamento del Signore di onorare il padre e la madre.
Al riguardo, è significativa la raccomandazione che Tobi fa al proprio figlio Tobia: «Figlio, quando morirò dovrai darmi una sepoltura dignitosa».

La dignità del corpo
Tutto questo, appunto, è per riconoscere la dignità del corpo.
In proposito, così leggiamo nel Catechismo della Chiesa Cattolica: «I corpi dei defunti devono essere trattati con rispetto e carità nella fede e nella speranza della risurrezione. La sepoltura dei defunti rende onore ai figli di Dio, tempio dello Spirito Santo».
Questo corpo che viene sepolto è il corpo con cui abbiamo amato, pregato, sofferto, lavorato, intessuto relazioni.
È il corpo rinato nell’acqua del Battesimo, nutrito dall’Eucaristia, unto con l’unzione del sacro crisma, ed è divenuto tempio dello Spirito Santo. Pertanto, non può non essere sepolto con dignità e venerazione, con rispetto e con cura.
Questo aspetto viene ben sottolineato nel rito delle esequie, al momento del saluto finale, allorquando il cadavere viene incensato da chi ha presieduto l’Eucaristia.
Oggi la Chiesa, dal 1963, permette anche la cremazione, purché tale scelta non metta in discussione la fede nella risurrezione dei corpi, ed anche a certe condizioni.
L’urna che contiene le ceneri non va tenuta nelle abitazioni private, ma va deposta nel cimitero, proprio perché il cimitero è il luogo della comunità, ed il defunto faceva parte di una comunità. Le ceneri non devono neppure andare disperse nell’ambiente, ma conservate; non però in casa dove, spesso e purtroppo, produce liti fra parenti per averne una parte.
Questo fatto sarebbe una privatizzazione che non si addice alla già citata appartenenza del defunto ad una comunità. La Chiesa, comunque, preferisce la sepoltura.
Al dovere della sepoltura, che questa opera di misericordia ci ricorda, va aggiunta anche la carità della preghiera e del suffragio, come ci suggerisce la successiva opera di misericordia spirituale di “pregare Dio per i vivi e per i morti”.

Considerazioni
Ed ecco ora altre considerazioni, relative alla sepoltura.
La sepoltura del corpo del defunto in un determinato luogo, ha costituito da sempre l’occasione di recarsi a visitare il defunto per fare memoria della sua vita, ricordare le sue opere, ringraziare Dio per tutto il bene da lui ricevuto, ed anche per chiedergli perdono, se la coscienza avesse qualcosa da rimproverarci nei suoi confronti.
Recarsi davanti alla tomba di un defunto ha un impatto maggiore rispetto a quello di rimanere lontano dai resti del suo corpo mortale, dal momento che l’elemento della corporeità è fondamentale nella relazione tra le persone.
Il ricordo di una persona riguarda i suoi sentimenti, le sue parole, i suoi pensieri, i suoi gesti, i suoi sorrisi, le sue espressioni del volto, i suoi modi di muoversi, il suo sguardo.
Avvicinarsi alla tomba di una persona cara è quel gesto esteriore ed interiore che ha la forza di attivare quanto detto, facendoci vicini alla persona defunta. Se da una parte ci fanno riaffiorare il dolore del distacco, dall’altra ravvivano la speranza di incontrarsi un giorno nella patria del cielo.
Seppellire i morti, pertanto, non è solo il gesto di una giornata, ma significa soprattutto avere la possibilità di recarsi davanti ad una lapide la quale rispecchia il libro della vita della persona stessa.
Leggere fra le righe quella storia produce sempre sorprese e novità, perché ci viene offerta una nuova possibilità per ricordare la saggezza, l’amore e la dedizione che abbiamo ricevuto da loro e che, purtroppo, non sempre abbiamo compreso ed apprezzato.
Seppellire i morti, allora, significa onorare il corpo e la vita di quelle persone, perché in noi possa rifiorire il loro ricordo, la memoria dei loro insegnamenti, il tesoro della loro testimonianza, la riconoscenza per il bene ricevuto, il tutto unito anche al perdono del male da loro commesso, fosse anche nei nostri confronti.
Per questa motivo, recarsi alla tomba di una persona cara, significa guardarsi allo specchio per riscoprire la nostra identità che ha avuto origine dall’esperienze di chi ci ha preceduto.
Purtroppo capita anche il contrario: i malintesi, le discordie, le divisioni avvenute durante la vita del defunto, rischiano di rimanere alquanto vivi se non vengono sanate prima del congedo finale.
Proprio per questa ragione è importante rimanere vicino ai malati nel momento della malattia e della sofferenza, perché questo può essere un tempo di riconciliazione e di pace, tale da avere la forza di guarire il nostro cuore, a condizione che il gesto sia compiuto con amore vero ed in umiltà.
Ma, anche se questo non fosse pienamente avvenuto durante il tempo della vita terrena, recarsi davanti al luogo della sepoltura, in qualche maniera offre la possibilità di riconciliarsi.
Per tale motivo, pregare per le anime dei defunti è il prolungamento naturale dell’opera di misericordia corporale di seppellire i morti.
Infatti, il seppellimento del corpo ha senso solo quando si eleva una preghiera a Dio, supplicando di ammetterlo alla beatitudine eterna nell’attesa del giorno in cui si compirà la promessa della resurrezione della carne. Ed ecco, allora, l’altra opera di misericordia.

Pregare Dio per i vivi e per i morti

Questa opera di misericordia, fa riferimento in particolare alla preghiera di intercessione, cioè a quella preghiera fatta per gli altri.  
Intercedere significa "interporsi", mettersi tra due parti per cercare di costruire un ponte, una comunicazione tra di esse.
L'intercessore, pertanto, è colui che pone una mano su Dio e una sull'uomo, sulla spalla di Dio e sulla spalla dell'uomo, facendosi lui stesso un ponte tra l'uno e l'altro.
Nel libro dell’Esodo, troviamo di Mosè che, per intercedere, tende le sue braccia al cielo. Così facendo, assicura la vittoria al popolo di Israele, che sta combattendo contro Amalek.
L’episodio mostra la fatica della preghiera per gli altri, tanto è vero che Aronne e Cur, uno da una parte e l'altro dall'altra, hanno dovuto sostenere le mani di Mosè.
L’episodio evidenzia la dimensione spirituale di tale tipo preghiera, quello cioè di stare davanti a Dio a favore di qualcun altro.
E’ la preghiera con cui l'uomo manifesta chiaramente la sua relazione con Dio e la sua responsabilità verso gli altri, e cioè l'amore per il Signore e la solidarietà con i fratelli.
È Dio che ci chiede di farci attenti al nostro prossimo, a immagine della cura che Lui stesso ha per ciascuno di noi. Egli è sempre pronto a rivolgere ad ognuno di noi l’interrogativo che aveva posto a Caino: «Dov'è Abele, tuo fratello?».
Dio, si interessa della sorte dell’uomo e vuole che anche noi ci interessiamo dei fratelli e delle sorelle, chiamandoci alla responsabilità nei confronti dei nostri simili.
Questo non è altro che: «Credo alla comunione dei santi». Esso è uno degli articoli della fede cristiana che professiamo ogni domenica nella recita del “Credo”.
La preghiera fatta con questa convinzione è il filo d’oro che tiene uniti in questa comunione fraterna tutti noi, vivi e defunti, chiamati indistintamente “santi”, un nome molto frequente nelle Lettere di san Paolo per indicare i cristiani
Quando, poi, questa preghiera è fatta a favore dei defunti, la definiamo: “Preghiera di suffragio”. La Bibbia stessa la chiama: «Azione molto buona e nobile, suggerita dal pensiero della risurrezione», come abbiamo ascoltato nella lettura.
Modello di questa preghiera è Giuda Maccabeo, il quale: «Fece offrire il sacrificio espiatorio per i morti, perché fossero assolti dal peccato».
Il libro del Siràcide contiene una esortazione alla preghiera per i vivi e per i morti che mantiene sempre attuale questa settima opera di misericordia spirituale: «La tua generosità [=preghiera] si estenda a ogni vivente, ma anche al morto non negare la tua pietà [=preghiera]».
Senza dimenticare la consegna fatta dall’apostolo Giacomo a ciascuno di noi: «Pregate gli uni per gli altri».
L’attualità di questa opera di misericordia è confermata anche dall’insistente richiesta di preghiere che Papa Francesco non tralascia mai di rivolgere a tutti noi: «Per favore, non dimenticate di pregare per me».

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