Omelia delle domeniche e feste Anno C
"Vieni al Padre, fonte di Misericordia"
22 ottobre 2025 * S. Marco vescovo
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12 Domenica C Confessione di PietroTesti liturgici: Zc 12,10-11.13-1; Sl 62; Gal 3,26-29; Lc 9,18-24
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Dobbiamo accostare, l’una vicino all’altra, le due espressioni che oggi abbiamo ascoltato.
La prima dal profeta Zaccaria: “Guarderanno a colui che hanno trafitto”.
L’altra dal Vangelo: “Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto… ognuno prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”.
A prima vista, può venire da pensare che a Dio piaccia farci soffrire. Invece, è tutto al rovescio. Dobbiamo riuscire a comprendere come l’esperienza della sofferenza e della croce è fondamentale, sia per capire chi è veramente Dio e sia per verificare se noi siamo dalla sua parte.
Per entrare in questo mistero di grazia, dobbiamo conoscere il motivo per cui l’evangelista racconta l’episodio.
Egli si rivolge ad una comunità cristiana che, dopo qualche anno dal suo inizio, ha bisogno di essere richiamata alla perseveranza e ad essere incitata a non perdere di vista i fondamenti della propria fede.
È un pericolo che, a lungo andare, corriamo tutti noi, quello cioè di mettere al centro non più Gesù, ma noi stessi; o anche cercare Gesù, sì, ma non tanto per se stesso, quanto perché faccia quello che vogliamo noi.
Per questo motivo, e per farlo capire, Luca colloca il dialogo di Gesù con i suoi discepoli nel contesto molto preciso di una preghiera che Gesù rivolge al Padre.
Il motivo non è tanto per mostrare Gesù quale nostro modello di preghiera da imitare, ma per sottolineare chi e che cosa debba essere messo al centro della vita. Pregare significa riconoscere che al centro non ci può essere nessun altro se non Dio solo. Del resto all’inizio dei comandamenti troviamo scritto: “Non avrai altro Dio fuori di me”. Ebbene, con la preghiera, Gesù mostra che, al centro della sua vita, c’è il Padre.
I discepoli di allora non lo avevano ben capito. E noi, oggi, lo abbiamo capito veramente?
Ecco, allora, il motivo delle domande poste da Gesù.
La prima: “La gente, chi dice che io sia?”. Dalle risposte risulta che quanto dice la gente non è esauriente.
Ed allora la seconda domanda: “Ma voi, chi dite che io sia?”.
È una domanda importante. Oggi è rivolta ad ognuno di noi. Siamo dello stesso pensiero espresso da Pietro?
Pietro risponde: “Tu sei il Cristo di Dio”. Notiamo bene: non risponde semplicemente “Tu sei Gesù”, e neppure “Tu sei Gesù Cristo”, e neanche “Tu sei il Figlio di Dio”; ma: “Il Cristo di Dio”, cioè colui che è stato inviato per mostrare l’infinito amore misericordioso di Dio, missione che egli porta a termine, a costo di qualsiasi sacrificio.
Infatti, prosegue Gesù: “Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno”. È chiaro, prima di acquistare la vita immortale con la risurrezione, deve passare attraverso molte sofferenze, dimostrando con esse di amare veramente.
Del resto, anche in campo umano, per sapere se una persona ama sul serio, lo si misura dalla capacità che ha di sacrificarsi per la persona amata, costi quel che costi.
L’amore di Dio si misura dal dono che ha fatto del Figlio che si carica dei peccati dell’intera umanità. Se a noi un grosso peso ci schiaccia, quanto più il peso dei nostri peccati ha schiacciato Gesù, facendolo soffrire in maniera indescrivibile!
Ed allora c’è una sola conclusione: La sorte del vero discepolo di Gesù non può essere diversa dalla sua.
Ed è quella che Gesù dice successivamente: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso (cioè, metta al centro non se stesso, ma Dio), prenda la sua croce ogni giorno (cioè, ami veramente ogni giorno della vita senza badare a quanto costa) e mi segua (cioè, facendo come me, alla fine risorgerà alla vita vera)”.
In altre parole, mettere in atto questo non è altro che, apparentemente, perdere la vita, ma di fatto è averla per sempre.
Ed infatti Gesù aggiunge: “Chi vuol salvare la propria vita (cioè, se uno vuol pensare innanzitutto a se stesso) la perderà (cioè, sarà un infelice), ma chi perde la propria vita per causa mia (cioè, se la vive donandola per amore, come ho fatto io), la salverà (cioè, vivrà felice ora ed in eterno)”.
Sac. Cesare Ferri, Rettore Santuario San Giuseppe in Spicello

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