Omelia delle domeniche e feste Anno C
"Vieni al Padre, fonte di Misericordia"
18 ottobre 2025 * S. Luca evangelista
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21 Domenica C Chi si salvaTesti liturgici: Is 66,18-21; Sl 116; Eb 12.5-7.11-13; Lc 13,22-30
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Basta pensarci un po’ e ci accorgeremmo che i nostri modi di ragionare sono diversi da quelli di Dio.
Noi, spesso, assomigliamo a quel tale che interpella Gesù: “Signore, sono pochi quelli che si salvano?”.
Come lui, spesso ci soffermiamo su particolari secondari della nostra vita di fede: servono solo per assecondare la nostra curiosità.
Gesù, invece, va subito al nocciolo.
Vuol farci capire una cosa: la salvezza, essendo un dono di Dio, è offerta a tutti, nessuno escluso. Pertanto, tutti sono chiamati a salvarsi.
Questa verità è stato bene espressa nella prima lettura, anche se, per gli ascoltatori di allora, poteva sembrare una cosa strana.
Cosa intendeva dire Isaia?
Nell’antico popolo di Israele i sacerdoti appartenevano alla tribù di Levi e l’incarico veniva tramandato di padre in figlio. Eppure Dio afferma, per bocca di Isaia, che prenderà sacerdoti anche da altri popoli.
Che significato ha questo?
Significa che la salvezza di Dio non è, come pensava il popolo di Israele, riservata solo a loro, ma è per tutte le genti.
La cosa si realizzerà pienamente nella persona di Gesù, sacerdote unico ed eterno che, a sua volta, farà di tutti i credenti un popolo di stirpe sacerdotale, che offrirà al Padre sacrifici di lode e di adorazione.
Come detto, la salvezza è offerta a tutti, però ad una condizione.
La condizione è quella, come dice Gesù, di “entrare per la porta stretta”.
In altre parole, vuol dire che non basta seguire il Signore all’acqua di rose, quando uno se la sente, ma bisogna impegnarsi sempre, senza lasciarsi impaurire da nulla.
Non basta seguirlo quando è facile, quando non ci sono contrarietà, quando raccogliamo gratificazioni; ma anche quando costa sacrificio, quando non siamo capiti, quando si è in pochi e per di più derisi, quando c’è da perdonare chi ci ha fatto del male: ecco la porta stretta.
La seconda lettura, poi, sottolinea un particolare aspetto.
Quando noi ci troviamo in situazioni di sofferenza, è difficile vedere in essa l’aspetto positivo.
Invece siamo invitati a guardare al di là della situazione contingente, per vedere in essa solo e sempre una visita paterna di Dio.
Nella sofferenza Dio educa ciascuno di noi in un modo particolare, e ci fa capire cose alle quali mai avremmo pensato.
La similitudine più adeguata è quella del comportamento paterno: nessun padre può volere il male di un figlio; tantomeno può volerlo Dio.
Ecco, allora, la risposta per salvarsi: bisogna fidarsi e affidarsi totalmente a Dio, mettendo, da parte nostra, tutto l’impegno per una vita secondo la sua volontà.
Altrimenti noi stessi ci escluderemmo dalla salvezza.
Abbiamo sentito la risposta degli esclusi perché lo hanno accolto, ma non pienamente: “Abbiamo mangiato e bevuto alla tua mensa in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”.
Tradotto per noi all’oggi, potrebbe suonare così: “Abbiamo detto le nostre preghiere, siamo andati in chiesa, ci siamo accostati ai sacramenti, li abbiamo celebrati anche per i nostri figli…” e così via.
Molto bene tutto questo. Ma come è stata vissuta la vita di ogni giorno?
Il modo di comportarsi è stato sempre corretto? C’è stato l’amore vero verso il prossimo e il perdono delle offese? C’è stata onestà e sincerità massima in ogni azione? Il proprio dovere è stato compiuto con esattezza? E così via.
Ecco, allora, come sarebbe la risposta, anche per noi: “Non vi conosco, non so di dove siete”.
Noi non vogliamo essere enumerati in questa categoria.
Sac. Cesare Ferri, Rettore Santuario San Giuseppe in Spicello

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"... io piego le ginocchia
davanti al Padre,

dal quale ogni paternità
nei cieli e sulla terra." (Ef. 3,14-15)

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