Omelia delle domeniche e feste Anno C
"Vieni al Padre, fonte di Misericordia"
17 ottobre 2025 * S. Ignazio d'Antiochia
itenfrdeptrues

Anno C Nativita
Testi liturgici: Is 52,7-10; Eb 1,1-6; Gv 1,1-18

Per il documento: clicca qui
È una grande gioia celebrare il Natale, perché è sempre un giorno straordinario: si festeggia la decisione di Dio di farsi talmente vicino al mondo, da diventare uno di noi.
Quanto amore in questa decisione! Dio che si abbassa e che si umilia, Dio che si incarna per essere in mezzo a noi; tutto questo per far sì che anche noi possiamo partecipare alla sua gioia infinita. Il fatto non può non toccarci profondamente, perché apre uno squarcio di luce sulle nostre tenebre, sul pessimismo generale, sull’abitudine che abbiamo di lamentarci di tutto e di tutti, subendo e tirando avanti la vita da rassegnati, nel sopportare le cose per forza, più che accettarle per amore.

Ebbene, per un maggiore nostro arricchimento, nelle Messe di Natale, vengono proposti tre formulari di letture diverse: per la notte, per il mattino, per il giorno. Però tutte hanno come sfondo la “luce” che è Cristo e, pertanto, tutte sono all’insegna della gioia.

In quella della notte si sottolinea il fatto che solo Cristo è la luce vera, la gioia per tutte le genti; in quella del mattino si sottolinea il fatto che la sua presenza di luce è innanzitutto riconosciuta dai pastori, cioè dalle persone umili e povere, le quali meglio sono disposte a comprendere ed accogliere il Signore.

In quella del giorno – lo abbiamo appena ascoltato - è detto che, purtroppo, questa luce non è accolta da tutti: “Venne tra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto”.

In ogni prima lettura delle tre messe è presentato un brano del profeta Isaia. In quello della notte è stata presentata la situazione dell’umanità prima della venuta di Gesù: essa camminava nelle tenebre, senza un punto di riferimento. Ma proprio su questo buio, ad un certo punto, rifulge la presenza luminosa di Gesù Cristo: la sua nascita è fonte di gioia per tutti i popoli che attendono la liberazione.

Chi di noi non ha bisogno di essere liberato?

Proprio perché la nostra vita, senza Gesù, si svolge nelle tenebre e nel buio.

Perché oggi, in tante situazioni, non ci si capisce più niente?

Appunto, perché non ascoltiamo e non seguiamo la parola di Gesù, non la comprendiamo pienamente, non ci rendiamo conto che senza di lui siamo falliti su ogni fronte.

La cosa è sottolineata dal brano della lettera agli ebrei: “Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente ha parlato a noi per mezzo del Figlio”.

In questa Messa del giorno, sempre lo stesso Isaia, ci dice che proprio per questo dobbiamo prorompere in canti di gioia.

Cosa dice a noi, oggi?

Ci dice che la presenza di Gesù, di colui che stiamo celebrando, è un grande dono attraverso il quale, anche se nella vita non siamo pienamente esonerati dai problemi di ogni genere, pur tuttavia c’è lui che commina con noi per sostenerci e consolarci.

È in questa ottica che dovremmo fare i regali di Natale.

In altre parole, questi regali assumono pienezza di significato solo se esprimono e diventano dono di se stessi, proprio come ha fatto Dio.

Che direste, di un dono ricevuto, ma che si lascia impacchettato, senza aprirlo e quindi senza rendersi conto del valore che contiene, per poter ringraziare con più consapevolezza?

Il dono che Dio fa di suo Figlio fatto carne, lo apriamo o lo lasciamo impacchettato?

Purtroppo c’è chi lo lascia così, senza rendersene conto!

Proprio come ha sottolineato il vangelo: “Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo… eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne tra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto”.

Sac. Cesare Ferri rettore Santuario San Giuseppe in Spicello

Messa della notte

Tutte le letture del tempo natalizio sottolineano il valore ed il significato della luce spirituale, in quanto prima di Gesù il mondo era sommerso nelle tenebre dell’errore e del male.

Questo, purtroppo, si verifica anche ai nostri giorni, ma se guardiamo e ascoltiamo Gesù, tutto può essere superato.

A tal proposito utilizzo le parole di Papa Francesco pronunciate nella sua omelia la notte di Natale del 2014.

In essa parla della pazienza di Dio e tra l’altro dice: “Aprendo il nostro cuore abbiamo anche noi la possibilità di contemplare il miracolo di quel bambino che rischiara l’orizzonte come il sole che sorge.

L’origine delle tenebre che avvolgono il mondo si perde nella notte dei tempi.

Ripensiamo all’oscuro momento in cui fu commesso il primo crimine dell’umanità, quando la mano di Caino, accecato dall’invidia, colpì a morte il fratello Abele.

Così, il corso dei secoli è stato segnato da violenze, guerre, odio, sopraffazione. Ma Dio, che aveva riposto le proprie attese nell’uomo fatto a sua immagine e somiglianza, aspettava. Dio aspettava.

Egli ha atteso talmente a lungo che forse ad un certo punto avrebbe dovuto rinunciare. Invece non poteva rinunciare, non poteva rinnegare sé stesso. Perciò ha continuato ad aspettare con pazienza di fronte alla corruzione di uomini e popoli.

La pazienza di Dio. Quanto è difficile capire questo: la pazienza di Dio verso di noi!

Lungo il cammino della storia, la luce che squarcia il buio ci rivela che Dio è Padre e che la sua paziente fedeltà è più forte delle tenebre e della corruzione.

Altro aspetto da sottolineare è quello che insegna il valore ed il significato della grotta e della stalla.

È quello che il Papa dice nella notte di Natale del 2016, in cui parla del paradosso di Dio: “Se vogliamo festeggiare il vero Natale – dice - contempliamo questo segno: la semplicità fragile di un piccolo neonato, la mitezza del suo essere adagiato, il tenero affetto delle fasce che lo avvolgono. Lì sta Dio.

E con questo segno il Vangelo ci svela un paradosso: parla dell’imperatore, del governatore, dei grandi di quel tempo, ma Dio non si fa presente lì; non appare nella sala nobile di un palazzo regale, ma nella povertà di una stalla; non nei fasti dell’apparenza, ma nella semplicità della vita; non nel potere, ma in una piccolezza che sorprende.

E per incontrarlo bisogna andare lì, dove Egli sta: occorre chinarsi, abbassarsi, farsi piccoli.

Il Bambino che nasce ci interpella: ci chiama a lasciare le illusioni dell’effimero per andare all’essenziale, a rinunciare alle nostre insaziabili pretese, ad abbandonare l’insoddisfazione perenne e la tristezza per qualche cosa che sempre ci mancherà.

Ci farà bene lasciare queste cose per ritrovare nella semplicità di Dio-bambino la pace, la gioia, il senso luminoso della vita”.

Sac. Cesare Ferri rettore Santuario San Giuseppe in Spicello

facebook

"... io piego le ginocchia
davanti al Padre,

dal quale ogni paternità
nei cieli e sulla terra." (Ef. 3,14-15)

Visite agli articoli
3655565

Abbiamo 129 visitatori e nessun utente online