Testi liturgici: Mi 5,1-4; Eb 10,5-10; Lc 1,39-45
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“E tu, Betlemme di Efrata, così piccola per essere tra i villaggi di Giuda, da te uscirà colui che deve essere il dominatore”.
È la profezia di Michea che, successivamente, sarà letta in chiave messianica dall’evangelista Matteo; infatti, il Messia atteso della casa di Davide, ha trovato luogo per la sua nascita a Betlemme.
Ancora una volta è chiara la logica di Dio che agisce nel silenzio, nella piccolezza, attraverso la vita degli ultimi e dei poveri.
Sia Davide, sia Betlemme, infatti, erano realtà non considerate.
Davide era il più piccolo tra i suoi fratelli, eppure Dio lo ha scelto per essere il re di Israele; Betlemme era un piccolo villaggio, a confronto della grande Gerusalemme, eppure di lì è nato il Salvatore; se poi consideriamo come Dio, pur eterno ed onnipotente, si è incarnato, ci accorgiamo che ha preso vita nel grembo di una donna estremamente “umile e piccola”.
Tutto ci parla di piccolezza da una parte, e di come Dio la esalti dall’altra. Ciò che di fronte agli uomini è piccolo e insignificante, di fronte a Dio è la più opportuna occasione per manifestarsi; egli, infatti, si serve del piccolo per manifestare tutta la sua grandezza.
Tutto questo, ricollegandoci al tema di domenica scorsa, è motivo di grande gioia per noi. Cosa che esplode pienamente nel Vangelo ascoltato, dove abbiamo tre esplosioni di gioia, unite alla conseguente esultanza.
La gioia di Elisabetta quando le arriva il saluto di Maria. Si manifesta benedicente: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!”.
Nello stesso tempo la gioia di Giovanni nel grembo di Elisabetta: “Appena il tuo saluto il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo”.
Infine, la gioia di Maria che esplode nel cantico: “L’anima mia magnifica il Signore”.
Sono tre tipi di gioia che evidenziano la grandezza di quanto Dio sta operando non solo nella loro vita, ma anche in quella di tutti gli uomini, di tutti i tempi.
Chi di noi non vuol essere felice e contento, non vuol vivere nella serenità, nella pace e nella gioia?
Siccome questo, purtroppo, non sempre si verifica, è necessario porre un’altra domanda.
Da dove proviene la vera gioia, quella che non si rischia di perdere?
Notare bene, ho usato il termine “gioia” e non “felicità”, perché la felicità, che pur soddisfa, ad un certo momento passa.
Non ho detto neppure “contentezza”, perché uno potrebbe essere contento, ma non soddisfatto.
Allora, dove sta la vera gioia?
Nell’essere consapevoli che Dio non ci abbandona, che Dio è sempre con noi, che ci sostiene e ci aiuta in ogni difficoltà e tribolazione; questo avviene anche se contiamo poco davanti agli altri ed anche se non siamo pienamente soddisfatti di noi stessi.
Per forza di cose, questo non è comprensibile e non è vissuto da chi non si trova in sintonia con lo stile di Dio; da chi non sa accogliere la vita nella semplicità e nella ordinarietà di tutti i giorni.
Con il Natale, ormai alle porte, la liturgia ci invita a considerare questa strada scelta da Dio per l’incarnazione.
Se durante questo avvento più volte abbiamo parlato di conversione, oggi siamo giunti alla vetta: se siamo discepoli di Gesù non possiamo non imitarlo nella sua povertà, nella sua semplicità, nella sua umiltà, nel suo servizio di amore.
È forse un natale cristiano quello che molti si preparano a vivere?
Non che non si possano fare regali, che non si possa accendere maggiore luce, che non si debba stare gioiosamente e meglio degli altri giorni a tavola.
Però, non vi sembra che spesso vi è del superfluo, del non necessario, vi è una specie di gara con altri nel seguire la strada del consumismo?
Sac. Cesare Ferri rettore Santuario San Giuseppe in Spicello