Riflessioni di don Ferri in esercizi
"Vieni al Padre, fonte di Misericordia"
18 ottobre 2025 * S. Luca evangelista
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Presso la CroceEsercizi Spirituali 2012
Riflessione dettata a famiglie su tema
mariamo
a San Giovanni Rotondo 23-25 novembre
da don Cesare Ferri, rettore Santuario San Giuseppe in Spicello

Quarta riflessione
IL DONO della MADRE
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Essere madre non è un titolo astratto, ma racchiude in sé una storia.
Non si diventa madre di colpo, né una sola volta, ma attraverso eventi successivi. Essi sono:
“Accettare l’amore e l’opera di un uomo; concepire la vita accettando il frutto dell’opera; portarlo in grembo; sentirlo crescere e abituarsi a vivere con lui; darlo alla luce; presentarlo al pubblico imponendogli un nome; seguirlo nella crescita dandogli una educazione; aiutarlo a scoprire la sua vocazione; essere pronti a distaccarsene”.
Quanto descritto si realizza puntualmente, da parte di Maria, nei confronti di Gesù. Il Concilio di Efeso, nel 325, definisce Maria vera madre di Dio fatto uomo.

Più difficile è comprendere che Maria è anche madre della Chiesa e, quindi, di ciascuno di noi. C’è voluto più tempo, sino al Concilio Vaticano II.
Maria è divenuta nostra vera madre attraverso tre momenti: Nell’Annunciazione; presso la Croce; il giorno di Pentecoste.
Annunciazione: In quel momento ha concepito anche la Chiesa.
“Concepire” significa “accogliere”. Ha accolto lo Spirito Santo e la sua opera. Ebbene, opera dello Spirito Santo, è anche la Chiesa.
Ha accolto anche il frutto di quest’opera che è Gesù. Ebbene dove è presente il capo della Chiesa, vi sono anche le membra che siamo noi.
Ci sono, purtroppo, delle madri che concepiscono senza amore, per sbaglio, con accettazione forzata del figlio.
Maria ci ha accettati con amore. Quando dirà: “Tutte le generazioni mi chiameranno beata”, pensava ai figli che avrebbero ricambiato l’amore.
Presso la Croce: Dopo averci concepiti ed essersi accorta della nostra presenza, ci partorì nel dolore presso la Croce, collaborando con Cristo.
Lì venimmo alla luce, simboleggiati dall’acqua e dal sangue del costato.
Appena nato il figlio è messo sulle braccia della madre. Questo gesto è compiuto ufficialmente da Gesù con l’espressione: “Donna, ecco tuo figlio”.
Nel giorno di Pentecoste: Ci ha presentato al mondo, essendo presenti pellegrini di ogni parte. Ha tenuto uniti e ha confortato gli apostoli.
È quello che continua a fare per ciascuno di noi.
Riprendiamo la riflessione propostaci.
Come avvenne, presso la Croce, la sua maternità?
Vi è descritto uno “transfert affettivo” attraverso l’alternanza degli aggettivi possessivi “sua” e “tua”.
Nel primo momento è posta in risalto la maternità di Maria nei confronti di Gesù: “Stavano presso la Croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Cleofa e Maria di Magdala”.
Nel secondo momento gli aggettivi sono assenti come a dire che la maternità è momentaneamente sospesa, in attesa del passaggio: “Gesù allora, vedendo la Madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre…”.
Ed ecco che subito avviene il passaggio: “Donna, ecco il tuo figlio. Poi disse al discepolo: ecco la tua madre. E da quel momento il discepolo l’accolse con sé”.
Da notare che, come a Cana, è usato l’appellativo “donna”.
Sappiamo che questo titolo amplifica la funzione della persona, per il fatto che, quando la si chiama con questo appellativo, non si riferisce solo alla persona singola, ma al compito della femminilità che genera non solo la vita fisica, ma quella ad ogni livello; nel caso specifico è per mettere in evidenza la maternità universale di Maria.
In due passi importanti della Scrittura, con lo stesso termine, viene indicata Maria. Nella Genesi: “Porrò inimicizia tra te e la donna”. Nell’Apocalisse: “Una donna vestita di sole”.
Mettendo questo episodio a confronto con quello di Cana, possiamo asserire che, mentre a Cana è investita del ministero di mediazione, qui è abilitata al ministero della maternità.
Quali applicazioni per noi?
Come Dio Padre ama tutti gli uomini e ogni uomo come se fosse l’unico al mondo, altrettanto fa Maria.
La devozione a Maria non è facoltativa, ma necessaria per volontà di Dio.
L’espressione “e da quell’ora il discepolo l’accolse con sé”, non significa tanto di averle assicurato un alloggio, ma che l’accolse tra i propri beni, come la cosa più preziosa.
Giovanni Paolo II ha tradotto questa devozione nel motto “totus tuus” .
Don Alberione non faceva nulla senza Maria.
Tale “devozione” non è da confondersi con il “devozionalismo”. La devozione non si dimostra con il moltiplicare le pratiche di pietà, nelle loro varie forme, ma entrare nella verità teologica: tutto passa per Maria.
Anche il Rosario deve entrare in questa logica: non sarebbe vera devozione se esso non ci fa entrare nella meditazione del misteri.
Si tratta di entrare nella devozione alla Santa Famiglia, che, come nel discorso di Pio XI del 19.03.35, ci fa scoprire un’altra cosa importante:
“Sorgente di ogni grazia è il Redentore divino; accanto a lui è Maria, dispensatrice dei divini favori. Ma c’è qualcosa che deve suscitare ancora più fiducia da parte nostra, ed è, in certo qual modo, il riflettere che è san Giuseppe colui che comanda all’Uno e all’Altra; colui che tutto può presso il Redentore divino e presso la Madre sua. Gesù e Maria stessi ubbidiscono e porgono ossequio a Giuseppe; sono essi a rivivere quello che la mano di Dio aveva in lui costituito: l’autorità di sposo, l’autorità di padre”.

Se Maria è madre, per analoghe considerazioni, in quanto suo sposo, Giuseppe è padre.

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"... io piego le ginocchia
davanti al Padre,

dal quale ogni paternità
nei cieli e sulla terra." (Ef. 3,14-15)

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