Riflessioni di don Ferri in esercizi
"Vieni al Padre, fonte di Misericordia"
24 ottobre 2025 * S. Marco solitario
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Alberione7  Esercizi Spirituali 2014 - Rilessione dettata a famiglie dal Rettore Sac. Cesare Ferri nei giorni 9-11 maggio, nel Santuario San Giuseppe in Spicello di San Giorgio di Pesaro, sul tema inerente al primo centenario della Famiglia Paolina.
   Prima riflessione - "Io sono la luce" - " Voi siete la luce" -  La santità nella quotidianità
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Una delle definizioni che Gesù dà di se stesso è proprio questa: “Io sono la luce del mondo”.
In un altro contesto, riferendosi a noi, dirà: “Voi siete la luce del mondo”.
Parafrasando potremmo tradurre con questi termini: “Io sono la luce del giorno, alla maniera del sole, per mezzo del quale tutto è ben illuminato; voi siete la luce della notte, alla maniera della luna, che solo parzialmente e limitatamente illumina”.

San Paolo, in proposito, dirà: “In mezzo ad una generazione perversa dovete splendere come astri nel mondo”.
Dove sta la differenza?
Il sole illumina di luce propria; la luna, invece, di luce ricevuta e riflessa. Essa non ha in sé la luce, ma riflette quella del sole. Questo non può avvenire quando si verifica una eclissi, cioè quando si frappone qualcosa fra i due oggetti: nel caso, il globo terrestre.
In altre parole, essere luce di riflesso, significa la necessità di rimanere a contatto con la luce e la capacità di rifletterla, cioè, nel nostro linguaggio, di darne testimonianza. Cosa che non avverrebbe se si frappone qualcosa fra noi e Gesù. La frapposizione è il peccato, è il comportamento non retto, non secondo la volontà di Dio.
In questi giorni di esercizi dobbiamo individuare quello che potrebbe frapporsi fra noi e Gesù, per essere veramente luce riflessa e capaci di dare testimonianza di lui.
Gesù, immediatamente prima di definirci “luce”, aveva detto: “Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, a che serve ancora?”.
Prima di capire il senso dell’essere luce, abbiamo bisogno di capire cosa significa essere sale, perché le due immagini sono vicendevolmente collegate.
Avete notato? Nella espressione di Gesù c’è qualcosa di paradossale! Come è possibile che il sale perda il sapore? E’ un contro senso!
Cerchiamo di capire.
I compiti del sale sono: dar sapore ai cibi, purificarli, conservarli. Ebbene, dobbiamo trasferire l’immagine sul piano soprannaturale. Il sale è l’immagine della Sapienza di Dio, che ha un compito analogo.
Cosa significa per i cristiani essere sale della terra?
Se il paradosso del sale, che non ha sapore, non esiste, esiste invece la possibilità che i credenti vengano meno al compito sapienziale e che si trovino nel mondo del tutto insignificanti, quindi senza sapore.
Che terribile realtà! Quanti che si dicono credenti, ragionano, però, alla maniera del mondo, si adeguano ai comportamenti del mondo.
Proprio in questo caso il sale ha perduto sapore!
Come pure anche la luce è inservibile se non sta sul candelabro, ma sotto il moggio.
In altre parole, per essere sale e luce, il cristiano è chiamato a far sì che la sua fede sia visibile in ogni luogo, davanti a tutti, e sempre.
Anche qui: sono troppi i cristiani che, in certi ambienti, si vergognano di essere tali, facilmente approvano l’andazzo sbagliato e vi si adeguano.
Finora abbiamo parlato di cristiani e di credenti.
È necessario trasferire l’applicazione ai membri dell’Istituto Santa Famiglia, a noi.
Dobbiamo perciò porci delle domande.
Come appartenenti all’Istituto di vita consacrata paolina, siamo veramente sale e luce? Si accorgono gli altri che siamo diversi a confronto dai normali cristiani? Le altre famiglie colgono in noi una testimonianza credibile?
Sia chiaro! La visibilità e la coerenza richieste non sono per una semplice ostentazione, ma di linearità, di chiarezza e di sincerità, per il fatto della vocazione e dell’appartenenza.
Il sussidio, che avete in mano, passa ai vari aspetti e modi dell’essere luce. Parte dalla considerazione che Dio non può non esistere, non può non amare, non può non essere luce.
E, proprio per dimostrare questo, ha mandato nel mondo il suo Figlio, il quale, appunto in quanto tale, si è definito: “Io sono la luce del mondo”.
Egli cammina con noi, è al nostro fianco, ci illumina, ci riempie della sua luce, ci sostiene e ci ripete: “Non temete, io sono con voi!”.
Sappiamo bene che questa asserzione è stata esplicitamente riconfermata con don Alberione, con particolare riferimento all’Eucaristia: “Non temete! Io sono con voi. Di qui voglio illuminare”. Ma anche prosegue: “Abbiate il dolore dei peccati”, cioè vivente in un continuo atteggiamento di conversione.
In altre parole, ognuno di noi è chiamato ad essere sempre la dimora di questa luce: cosa che ha avuto inizio il giorno del battesimo e che aumenta di intensità ogni volta che celebriamo gli altri sacramenti, e per il fatto di appartenenza all’Istituto.
Come riuscire?
Per imparare dobbiamo andare alla fonte che è l’Incarnazione, come Giovanni descrive nel prologo del vangelo parlando del il Verbo di Dio: “ In lui era la vita, e la vita era la luce degli uomini… Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo…”.
Pertanto, questa luce che brilla nelle tenebre dell’umanità, fa divenire luminosi coloro che l’accolgono.
Purtroppo, leggiamo ancora nel prologo: “La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta… Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto”.
Considerato che Cristo si è incarnato, è vissuto, ha predicato, ha sofferto ed è morto solo per amore, ne consegue che noi rifletteremo la sua luce solo se coltiviamo l’amore verso Dio e verso il prossimo.
Dobbiamo assomigliare a Giovanni Battista di cui, sempre l’evangelista Giovanni, dice: “Venne come testimone per dare testimonianza alla luce… Non era lui la luce, ma doveva rendere testimonianza alla luce”.
È quanto detto pocanzi: Cristo è la luce, Giovanni è l’astro che la riflette.
Solo se l’amore sta alla base di tutto, noi diventiamo grandi e facciamo luce. L’essere grandi non sta nella quantità o qualità delle opere che compiamo, ma nell’amore che mettiamo nel compiere tali opere, fosse anche la cosa più banale.
Alberione è grande non per le opere e le innumerevoli fondazioni, come alcuni pensano, ma perché era veramente uomo di Dio, attento a fare solo e sempre la sua volontà.
Saper fare le cose piccole, di tutti i giorni, con cuore grande e aperto a Dio e agli altri. Si tratta di valorizzare ogni gesto che si fa, ogni parola che si dice, ogni azione che si compie.
Tenere viva la coscienza che il soggetto principale di quello che si dice, si fa e si compie è Gesù. Noi siamo il soggetto operativo, perché permettiamo a Gesù di usare la nostra bocca, le nostre mani, i nostri piedi, realizzando le parole di Paolo: “Non son più io che vivo, ma Cristo vive in me”.
Questo non è altro che il sottotitolo della presente riflessione: la santità nella quotidianità.
Papa Francesco ha ben indicato come vivere bene il quotidiano in famiglia, mettendo in pratica le tre dimensioni del: “permesso”, del “scusa”, del “grazie”.
Riflettete anche su questo, facendovi guidare dalle considerazioni scritte nell’opuscolo.
                                       

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"... io piego le ginocchia
davanti al Padre,

dal quale ogni paternità
nei cieli e sulla terra." (Ef. 3,14-15)

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