Riflessioni di don Ferri in ritiri
"Vieni al Padre, fonte di Misericordia"
27 aprile 2024 * S. Ida vergine
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Gesù Maestro

Riflessione dettata dal Rettore alle famiglie riunite in ritiro il 14 luglio 2013 presso il Santuario San Giuseppe in Spicello di San Giorgio di Pesaro
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Siamo soliti dire, nelle nostre preghiere: “Gesù Maestro, Via, Verità e Vita: abbi pietà di noi”.
Più che una giaculatoria, è un atto di fede. Come se dicessimo: “Credo che tu sei la Via, la Verità e la Vita. In quanto tuoi discepoli dovremmo imitarti, ma, purtroppo, ci accorgiamo di non essere all’altezza e perciò ti supplichiamo: abbi pietà di noi”.
Questo ci fa capire che la Fede non è solo aderire alle verità da credere, ma sta nell’entrare in rapporto con una persona.
Questa persona è unica: è Gesù, in primo luogo; è il Cristo, in secondo luogo; è il Figlio di Dio in terzo luogo. Paolo dice: “Chi crede in lui, non sarà deluso”.

In altre parole, la fede significa “fidarsi”.
Per capire e mettersi in sintonia con la sua persona, ci sono – come poc’anzi detto - tre passaggi, intimamente connessi e inseparabili tra loro. Anche la gente di allora lo ha scoperto di mano in mano.
Del resto, come lo si desume dal Vangelo, il cammino stesso della manifestazione di Gesù, in tale senso, è stato graduale.
Ha cominciato col dimostrare di essere un uomo di nome “Gesù”, come tanti altri in quell’epoca. Era un nome comune. Ma questa volta, presso la gente, la sua persona ha qualcosa di misterioso, ha poteri diversi; quindi è considerato più grande degli altri, anche se per alcuni suonava scandalo e dicevano: “Non è il figlio del falegname?”.
Proprio per tale motivo, in seguito, pone una domanda: “Cosa dice la gente che io sia?”. Ad essa, solo Pietro risponde adeguatamente: “Tu sei il Cristo!”. Cioè, lo riconosce come il “Messia” (in greco: “Cristo”), atteso da secoli, e finalmente giunto. Messia significa “Unto”, cioè “Consacrato”. Gesù è consacrato totalmente alla volontà del Padre e lo dimostra compiendo perfettamente la missione, a costo di qualsiasi sacrificio.
Nella risposta di Pietro, poi, emerge pure che è Figlio di Dio: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. La risposta è giusta, ma, in quel momento, non è stata colta dalla gente nel suo vero significato. Bisognerà aspettare che salga sulla croce, allorquando il centurione esclamerà: “Davvero costui è Figlio di Dio!”.
Se prima, come Gesù e Messia, faceva stupire in quanto compiva miracoli e guariva, ora, come Figlio di Dio, è riconosciuto quale unico Salvatore.
Negli esercizi spirituali di quest’anno, nell’ultima meditazione, è trattato esplicitamente l’argomento: “Gesù Maestro, Via, Verità e Vita”. Nella riflessione viene mostrato che in tutta la creazione, soprattutto nell’uomo ed in ogni aspetto della vita, tutto ruota intorno a una triade, cosa che ci riporta all’essere immagine dell’Unità e Trinità di Dio.
Ebbene, anche nella persona fisica di Gesù oggi applichiamo questa triade: Gesù, in quanto uomo, è la Verità da credere (e così illumina la nostra mente); Gesù, in quanto Messia, è la Via da seguire (e così rafforza la nostra volontà); Gesù, in quanto Figlio di Dio, è la Vita da godere (e così ci rende felici per l’eternità).
In altre parole, credere in Gesù Cristo, è riconoscere la sua centralità per la nostra vita, è riconoscere che senza di lui non c’è salvezza.
Pertanto si tratta di ascoltare tutto quello che dice, fidandosi pienamente di lui.
Il brano, oggi letto, ci invita a riflettere su alcuni aspetti della fede.
Vediamo le diverse espressioni.
“Chi salirà in cielo?”, cioè “chi può salvarsi?”.
Dobbiamo credere che la salvezza non sta tanto nel nostro sforzo – impegno che ovviamente ci vuole - e non sono, pertanto, i nostri meriti che ce la fanno guadagnare. Quindi, non abbiamo bisogno di salire chi sa dove, perché lui stesso è disceso per primo verso di noi: egli è in mezzo a noi, è il Dio con noi; ed è con noi perché vuol salvarci.
“Chi scenderà nell’abisso?”, cioè “chi può tirarci fuori dal peccato e farci risorgere per ricominciare una vita nuova?”.
È lui che, caricandosi dei nostri peccati, li ha sepolti con lui e risorgendo ci ha ridato la vita nuova. Ovviamente, questo avviene non senza la nostra collaborazione: ma egli è il Dio con noi per aiutarci.
Allora, che fare perché questo si realizzi veramente?
Se lui è la Parola del Padre, cioè il rivelatore dell’amore misericordioso di Dio, si tratta di accoglierlo. Infatti, abbiamo ascoltato: “Vicino a te è la Parola”.
Per similitudine, cosa facciamo per comunicare il nostro pensiero agli altri?
Usiamo la bocca e in essa facciamo risuonare la parola.
Anche Gesù rivela il pensiero del Padre – dal cuore infinitamente misericordioso - attraverso la Parola che è lui stesso dimostrandolo con i fatti. Questa Parola tradotta in fatti, a loro volta, è scritta e predicata dagli apostoli ed oggi custodita ed annunciata dalla Chiesa.
Pertanto, se abbiamo fede in lui, l’ascoltiamo, l’accogliamo e la mettiamo in pratica, comportandoci come lui si è comportato: “Vi ho dato l’esempio perché come ho fatto io facciate anche voi”.
Quali sono i rischi in cui si può incorrere?
La fede, per molti, non è adesione piena a Cristo e a quello che lui dice, ma adattamento di questo alle proprie idee, al proprio modo di vivere.
Un poco più avanti del brano oggi ascoltato, Paolo dirà: “La fede viene dalla predicazione, e la predicazione si fa per mandato di Cristo”.
E nella seconda a Timoteo sottolinea: “Verrà un tempo in cui gli uomini non sopporteranno più la sana dottrina; ma, abbandonandosi ai loro capricci, avidi di ciò che può solleticare le orecchie, si circonderanno di una folla di dottori, e distogliendo l’udito dalla verità, si rivolgeranno a favole”.
In concreto, come comportarci per rimanere nella sana dottrina, sia a livello di Chiesa che di Istituto?
A livello di Chiesa. Essere consapevoli che credere è aderire alle verità rivelate da Dio, non per laintrinseca credibilità, ma per la fiducia in colui che ce le ha fatte conoscere.
Di conseguenza, senza alcuno sforzo e quasi istintivamente, vediamo tutti gli avvenimenti, grandi o piccoli, lieti o tristi, alla luce di Dio e li giudichiamo con l’occhio della fede. La conseguente espressione è: “Come piace al Signore!”.
In altre parole, è abbandono totale. Insomma, dobbiamo credere che Dio, creandoci, ha preparato un piano per ciascuno di noi; un piano che, se attuato, darà a noi la pienezza della felicità.
Non siamo noi che dobbiamo pianificare la vita; il piano è già fatto, sta a noi scoprirlo. Questo piano non ce lo scopre tutto da principio, perché vuole che viviamo di fede sulla sua parola, che ci rivela di giorno in giorno.
La sua Parola è come il faro dell’autovettura: di mano in mano che il mezzo avanza, mostra come regolare la marcia e dove deviare per giungere la meta.
Noi dobbiamo essere come il bambino che va in macchina con suo padre e non sa dove lo porterà, ma è tranquillo, perché sa che suo padre non lo porterà in luogo cattivo.
A livello di Istituto. Si tratta di accogliere la Parola, applicandola allo stato di vita di coniugi consacrati. Questo, anzitutto, porta a non perdere gli incontri formativi che, a ciò finalizzati, portano una particolare grazia.
Poi, quando non comprendiamo il motivo di certe decisioni o di certe richieste da parte di chi esercita il servizio dell’autorità, ancora una volta, visto con l’occhio della fede, l’atteggiamento è: “Come piace al Signore”.
È l’esercizio dell’obbedienza.
Pertanto, l’Istituto non può essere modellato sul nostro punto di vista, salvo, ovviamente, il far presente il proprio pensiero, con finalità costruttiva, ma sempre disponibili ad accogliere, nella fede, un parere diverso.
Concludo con una carrellata sui livelli della fede.
Mi auguro che abbiate raggiunto il terzo livello, ma certamente c’è da perfezionarlo.
Il primo. È quello di chi non ha affatto la fede. Per essi l’attore unico è l’ “Io”.
Se c’è da risolvere un problema, ci si affanna, ci si affatica, ci si logora il cervello, si ricorre a questo e a quello, ma non certamente a Dio. Dice, in proposito, un salmo: “Se non è il Signore che edifica la casa, si affaticano invano i costruttori”.
Il secondo. È quello di chi ha un po’ di fede. Questi chiede al Signore l’aiuto, ma è un aiuto marginale, integrativo, perchè l’attore principale rimane sempre l’ “Io”.
Si invoca l’intervento di Dio, ma come agente secondario. Guai se non concede quanto si chiede, altrimenti – si dice – “non credo più”, dimostrando che quella fede, che dici di avere, in realtà non c’è.
Il terzo. È quello di affidare al Signore, e a lui solo, tutta la soluzione del problema, come affare suo, non nostro.
Non che noi restiamo passivi o ce ne disinteressiamo, ma, pur facendo del nostro meglio, intendiamo non fare noi, ma collaborare con Dio, convinti che è lui che farà tutto.
Pur di fronte ai più ardui problemi, noi vogliamo restare liberi e sereni, ripetendo ogni momento con Paolo: “So in chi ho posto la mia fiducia”.
Crediamo contro l’incredibile, anche quando tutte le circostanze contrarie congiurano contro questo atto di fede, senza chiederci come, per quali vie e con quali mezzi il Signore ci verrà incontro, sapendo che le sue vie sono differenti dalle nostre, misteriose e imprevedibili.

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"... io piego le ginocchia
davanti al Padre,

dal quale ogni paternità
nei cieli e sulla terra." (Ef. 3,14-15)

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